Bob Dylan e il Nobel: riflessione sul senso della letteratura

Il premio Nobel per la Letteratura nel 2016 è stato assegnato a Bob Dylan.

Fremiti, scalpore, facce indignate, reazioni incontrollate e fan affezionati al settimo cielo: un’icona culturale come Bob Dylan non poteva che scatenare reazioni da parte di chiunque abbia ascoltato anche una sola delle sue canzoni. Al di là della situazione contingente, però, quest’assegnazione ci offre la possibilità di ragionare su una questione mai conclusa: se il premio si chiama Nobel per la Letteratura (e non “per le arti” o “per la cultura”), cosa intendiamo per letteratura?

L’opinione di chi scrive è che le etichette servano solo a ordinare i libri sugli scaffali.

Le manifestazioni culturali, al contrario degli oggetti concreti (come l’oggetto libro e l’oggetto CD musicale), non hanno una categorizzazione precisa, ma tutt’al più una sistemazione intuitiva e asistematica, in ogni caso mai rigida e inflessibile. In questo caso, chi è a favore di una concezione ampia di letteratura converrà sul fatto che le canzoni siano assimilabili alla poesia, che è uno dei modi attraverso cui la letteratura si è espressa nel corso dei secoli. Detto in termini categorici: la poesia è una delle forme della letteratura. Per quale motivo, quindi, l’assegnazione del Nobel per la letteratura ad un cantautore – non un poeta, che mette per iscritto i suoi testi, ma un autore che li esprime accompagnandosi con la musica – suscita tanto scalpore?

La vexata quaestio tra cultura alta e cultura popolare

Una possibile risposta potrebbe essere la seguente: Bob Dylan appartiene alla cosiddetta “cultura popolare”. Negli Stati Uniti è stato (ed è tutt’ora) l’icona di una controcultura, quella veicolata dalla musica rock ed esplosa nelle rivoluzioni giovanili del ’68. Forse la cultura popolare – e la musica “leggera” che ne è espressione, in questo caso – non è degna di confrontarsi con la cultura alta, quella accademica studiata nelle università? Per non parlare poi del fatto che Bob Dylan sia già da anni considerato un poeta – ad esempio da Fernanda Pivano, che ha curato una raccolta di sue canzoni in traduzioni con testo a fronte. Per non menzionare, inoltre, tutti gli studi condotti nei dipartimenti di letteratura, soprattutto americani, proprio sul tema del superamento di questi presunti confini culturali.

Negli ultimi decenni, la contrapposizione tra cultura alta e cultura bassa sta subendo colpi da ogni parte: gli studi sul cinema si intrecciano a quelli sulla letteratura, le serie TV ci spiazzano sempre di più con la qualità dei dialoghi e delle trame e alcuni studiosi di letteratura, in particolar modo di letterature comparate (per il panorama italiano basterà citare Massimo Fusillo), sostengono la necessità di superare i compartimenti stagni coi quali siamo soliti pensare le tante espressioni culturali che caratterizzano l’epoca in cui viviamo.

Esiste uno specifico letterario?

È molto difficile stabilire delle divisioni marcate, definendo “ciò che è letteratura” (gli strutturalisti parlerebbero di specifico letterario) e decidendo quindi – arbitrariamente? – di tagliare fuori ciò che, evidentemente, non si considera tale. Si è tentato di farlo con il teatro, cercando di separare lo “specifico teatrale” (caratterizzato non solo da un testo, ma dalla performance che, necessariamente, prevede che il testo scritto venga modificato ogni volta che viene messo in scena) da quello letterario, eppure oggi non fatichiamo a inserire il teatro in quel grande calderone multiforme che è la letteratura. Per quale motivo, allora, la canzone – che pure nell’antichità era inscindibile dalla poesia, nel senso che ogni composizione poetica veniva accompagnata dalla musica – non dovrebbe essere considerata essa stessa una forma di letteratura?

Un po’ di chiarezza: letteratura e performance

C’è bisogno di chiarezza, questo è vero. Mettere tutto nel calderone senza neppure dare una motivazione non è mai una buona cosa, quindi cerchiamo di fare chiarezza sull’assegnazione di un premio letterario a Bob Dylan, cantautore. Partiamo dalla letteratura: consideriamola come una forma d’arte che si esprime attraverso il mezzo scritto.

Adesso passiamo a due forme letterarie assodate: la poesia e il teatro. Il testo poetico è dotato, oltre ad una dimensione scritta, di una musicalità, anche quando l’accompagnamento musicale è assente: provate a recitare un verso di Shakespeare rispettando i giusti accenti – lo schema ritmico che viene normalmente chiamato pentametro giambico – e ve ne accorgerete. Ma la menzione a Shakespeare non è un caso: la sua scrittura teatrale, come la musica di Bob Dylan, era anche performativa, nel senso che esprimeva a pieno le sue potenzialità quando veniva recitata sul palcoscenico. La musica e il teatro sono quindi forme di performance, così come lo era anche la poesia nell’antichità e in epoca medievale: il testo scritto è solo una parte dell’insieme. Ciononostante, poesia e teatro vengono entrambe normalmente considerate parte dello “specifico letterario”.

Ogni piede, cioè coppia di sillabe, va letta accentando la seconda sillaba.
Ogni piede, cioè coppia di sillabe, va letta accentando la seconda sillaba.

Ha quindi senso mettere in discussione l’appartenenza di un’arte performativa, che proprio come il teatro contempla il testo scritto solo come uno dei momenti del suo farsi, alla macrocategoria “letteratura”? Secondo la modesta opinione di chi scrive, la risposta è no. Si può sicuramente discutere sui tanti, illustri nomi che da anni attendevano questo premio: Philip Roth e Haruki Murakami sono solo i più discussi.

In questo articolo vorremmo quindi proporre una visione alternativa dell’assegnazione di questo premio Nobel: non al migliore autore letterario, ma (proprio in linea con ciò che ha affermato la giuria) ad un autore che “ha creato nuove espressioni poetiche all’interno della tradizione della grande canzone americana”.

Perché, in conclusione, la portata di questo gesto è enorme, rivoluzionaria.

Ci costringe a ripensare a ciò che abbiamo sempre dato per scontato, cioè che che la letteratura sia solo un testo scritto di varia forma e lunghezza. Come sostiene Massimo Fusillo, ogni fenomeno culturale ha un suo potenziale simbolico […] e la qualità estetica, l’innovazione espressiva, lo spiazzamento delle attese, il sovvertimento dei ruoli sociali e sessuali si possono trovare dappertutto, non solo nell’arte più nobile e sublime.* Forse l’assegnazione del Nobel a Bob Dylan contribuirà a diffondere questo messaggio antigerarchico; forse, i tempi stanno cambiando. Per dirlo con le parole di Bob, the times they are a-changing.

 Maria Fiorella Suozzo

*il testo da cui è stato tratto questo passaggio è “Passato presente e futuro”, contenuto in Letterature Comparate, Carocci 2014. L’intero contributo di Fusillo è disponibile all’indirizzo http://www.leparoleelecose.it/?p=17467 e tenta di ridefinire l’ambito della letteratura comparata alla luce degli studi interdisciplinari svolti negli ultimi decenni.