Recensione di “Heavy Weather” dei Weather Report

Heavy Weather
Copertina del disco “Heavy Weather”.

Prefazione

I Weather Report furono una band che si formò a inizio anni settanta e che si prefissò come scopo quello di fondere vari generi musicali diversi tra di loro, facendoli ruotare attorno a fortissime basi jazzistiche. La formazione, sin dal primo disco, pur cambiando quasi sempre molti dei suoi componenti, ha sempre avuto due elementi fondamentali e costanti: l’austriaco Joe Zawinul (pianoforte, piano elettrico, organo e sintetizzatori) e Wayne Shorter (al sassofono tenore e soprano), entrambe facenti parte del gruppo di Miles Davis, a fine anni ’60. Nel 1977, dopo svariati dischi molto sperimentali e non, pubblicano forse quello che è il loro disco più conosciuto, Heavy Weather.

Oltre a Zawinul e a Shorter, troviamo nella formazione di questo disco il batterista Alex Acuña, il percussionista Manolo Badrena e il bassista Jaco Pastorius, il cui innesto, già avvenuto nel precedente Black Market, nonostante nel quale abbia suonato solo in due pezzi, diverrà importante per l’evoluzione del sound della band.

Analisi track-by-track di Heavy Weather.

L’album parte con il pezzo più “famoso” di tutta la loro discografia, Birdland, scritto da Zawinul. Un pezzo decisamente molto orecchiabile e ritmato ma allo stesso tempo articolato e armonicamente ben fatto, dove tutti i componenti fanno dignitosamente la loro parte ricreando qualcosa di davvero strepitoso per l’epoca, ma ciò che lo rende davvero interessante sono le particolarissime le linee di basso di Jaco, il quale ricorrerà nel tema iniziale agli armonici artificiali, roba impensabile per qualsiasi bassista all’epoca.

Birdland negli anni a venire sarà considerato uno standard jazz fusion, il quale verrà ripreso da vari gruppi e in diverse modalità di esecuzione, come quella in “vocalese” dei Manhattan Transfert.

https://www.youtube.com/watch?v=Ae0nwSv6cTU

Un altro pezzo che porta la firma di Zawinul, da cui si intuisce subito che è lui la mente della band, è A Remark You Made. Una ballad costruita sulle note del piano elettrico, dove basso e batteria, trovandosi perfettamente a loro agio, costruiscono una pregevole base di accompagnamento, su cui Shorter e lo stesso Zawinul dipingono temi melodici e solistici, che si intrecciano e danno all’ascoltatore un senso di piacevole nostalgia, però, essa raggiunge la sua apoteosi con l’assolo finale del sintetizzatore, quasi mistico. Un consiglio: ascoltatela preferibilmente di notte quando piove, farà più effetto.

https://www.youtube.com/watch?v=0RKsaRt3PCw

La terza traccia, Teen Town, scritta da Jaco, è un pezzo molto ritmato, dove questa volta sono le tastiere di Zawinul insieme alle percussioni a fungere da base d’accompagnamento per i semplici ma efficaci fraseggi di Shorter che si intrecciano alle impressionanti, intricate e rapide linee di basso di Jaco, che rendono la composizione un altro classico della band, la quale veniva riproposta nei concerti quasi sempre con l’aggiunta di qualche improvvisazione, allungandone la durata.

Il quarto pezzo è Harlequin, scritto da Shorter, la quale riprende leggermente le stesse atmosfere di A Remark You Made, dove il sassofono e le tastiere dipingono melodie in maniera sapiente, mentre Jaco riesce a dare un’impronta notevole al suo basso, riuscendo ad essere decisivo sia sul lato melodico che sul lato ritmico, dialogando con intensità con la batteria, soprattutto durante i vari stacchi.

Il quinto, Rumba Mama, è un mini-duello fra le percussioni di Badrena e la batteria di Acuña suonato dal vivo, il quale non ci fa dimenticare della loro presenza nel disco e che il loro lavoro, seppur rivolto all’aspetto ritmico, è sempre importante per il valore delle composizioni.

La seguente, Palladium, è la seconda che vede la firma di Shorter, parte in maniera esplosiva e procede con ritmi quasi cubani. Ancora una volta i due percussionisti riescono a farsi valere, aiutati anche dai riff di basso di Jaco, molto particolari e interessanti nel loro sviluppo durante lo scorrere del pezzo, mentre Shorter espone un tema efficace con Zawinul che lo segue dando varietà al tutto, grazie ai suoni sperimentali dei suoi sintetizzatori.

La settima è The Juggler, dove ritroviamo la firma di Zawinul, infatti nel suo incedere somiglia a un valzer viennese, molto sognante, dove, un’ennesima volta, Badrena e Acuña danno un forte spessore al pezzo con le loro ritmiche raffinate ed esotiche e Shorter dipinge semplici ma efficaci soli di sassofono.

L’ultima, Havona, scritta da Jaco, è ritmicamente molto veloce e potente al punto giusto, il quale riesce a imporsi come protagonista, trainando con se il resto della band, con le sue intricatissime e micidiali linee di basso, mai fini a se stesse. In questo pezzo, in particolare, Jaco riesce quasi a far parlare il suo strumento, dando vita a qualcosa davvero all’avanguardia per l’universo bassistico dell’epoca.

Heavy Weather
Da sinistra verso destra: Joe Zawinul, Jaco Pastorius, Alex Acuña, Wayne Shorter e Manolo Badrena.

Breve conclusione

Tirando le somme, questo “Heavy Weather” non è particolarmente arduo da assimilare, anzi nei suoi quasi 38 minuti di lunghezza, saprà essere oro per le vostre orecchie già dai primi due o tre ascolti, sia per il valore tecnico, artistico e storico dei musicisti che per il sapiente mixaggio, che ancora oggi lo fa suonare moderno, pulito e mai piatto.

Voto Album: 5/5.

Tracce consigliate: le prime tre sono imprescindibili, ma se volete ascoltatelo tutto.

Davide Cangiano