L’uomo della sabbia di Hoffmann e l’analisi di Freud

l'uomo della sabbia Hoffmann Nachtstücke
Edizione tedesca della raccolta di racconti notturni, “Nachtstücke”.

“Der Sandmann”, uno dei più celebri racconti dello scrittore tedesco E. T. A. Hoffmann, ha dato non poco filo da torcere a traduttori, interpreti e lettori. Contenuto nella raccolta “notturni” pubblicata nel 1816, per noi italiani risulta complicato fin dal titolo: in effetti oltre a “l’uomo della sabbia” è possibile trovare un’altra versione, recante il titolo “il mago sabbiolino”.

Questo perché Hoffmann vuole richiamarsi a un personaggio del folklore germanico: il lettore tedesco, inglese o danese del tempo aveva subito in mente l’humus fiabesco a cui il racconto fa riferimento.

L’uomo della sabbia è diventato famoso anche grazie all’interpretazione psicoanalitica fornita da Freud nel suo saggio “il perturbante“: cerchiamo quindi di capire cos’abbia questo racconto di così interessante.

L’uomo della sabbia di Hoffmann

Iniziamo, dunque: chi è l’uomo della sabbia nella tradizione nordeuropea? È un personaggio positivo, che cosparge sabbia magica sugli occhi dei bambini per farli addormentare serenamente. Esiste una fiaba di Andersen, Ole Lukøje (in italiano “Ole Chiudigliocchi”), in cui alla sabbia è sostituito il latte spruzzato negli occhi dei bimbi con una sorta di siringa.

l'uomo della sabbia Hoffmann Ole Lukøje
Illustrazione di Vilhelm Pedersen per Ole Lukøje

Contrariamente alla figura dell’immaginario popolare, Hoffmann rende il Sandmann, l’uomo della sabbia, un personaggio negativo ed inquietante, direttamente collegato ad un trauma infantile del protagonista.

Nathaniel è uno studente dalla fervida immaginazione, un poeta e un romantico: il suo nome deriva dall’ebraico e significa “Dio ha dato”, facendo riferimento al suo dono poetico che, paradossalmente, sarà anche la sua maledizione. Nel presente in cui si svolge la storia, egli incontra Coppola, un uomo che vende a domicilio “occhi” (cioè occhiali e altri strumenti ottici): costui gli riporta alla mente un episodio rimosso, quello della morte di suo padre.

Ci spostiamo quindi nel passato di Nathaniel che, bambino, aveva terrore di essere accecato dall’uomo della sabbia, di cui gli parlavano la madre e la governante. Il personaggio del folklore diventa quindi paura viscerale del bambino, che lo associa ad un uomo vero, Coppelius, un alchimista che faceva esperimenti insieme a suo padre.

Hoffmann, maestro nel sintetizzare tanti contenuti in poche pagine, ha celato nel nome di ogni personaggio il suo ruolo: Coppelius/Coppola richiama infatti la parola “coppo”, oggi sinonimo di orcio ma che, anticamente, aveva anche il significato di cavità oculare, e inoltre la “coppella”, ossia un crogiolo utilizzato dagli alchimisti per la raffinazione dei metalli.

Nathaniel, nascosto dietro ad una tenda, spia gli esperimenti alchemici di suo padre e Coppelius
Nathaniel, nascosto dietro ad una tenda, spia gli esperimenti alchemici di suo padre e Coppelius

È qui che entra in gioco Freud, offrendoci una prima chiave di lettura del trauma di Nathaniel; non vogliamo però costruire castelli di carta ed estraniarci troppo dal nodo del racconto, per cui cercheremo di fare nostri solo gli aspetti più calzanti della sua interpretazione.

Nathaniel, lo abbiamo detto, era terrorizzato da Coppelius, che considerava un vero e proprio “uomo nero”; un giorno, nascostosi nello studio del padre per vedere cosa mai facesse in compagnia dell’amato genitore, viene scoperto e, ironia della sorta, l’alchimista lo minaccia proprio di cavargli via gli occhi. In un esperimento futuro il padre di Nathaniel morirà a causa di un’esplosione.

Cosa avviene allora nella mente di Nathaniel? L’imago paterna, dice Freud, è scissa nelle due figure del padre buono e del padre cattivo, associate rispettivamente al genitore biologico e a Coppelius; il desiderio della morte del padre cattivo si realizza però nella morte del padre buono, così da lasciare a Nathaniel un terribile senso di colpa.

Il racconto si sviluppa sul tema della crescente follia di Nathaniel, pungolata non solo dall’incontro con Coppola, ma anche con il professor Spallanzani e la sua strana figlia, Olimpia. In tedesco l’aggettivo olympisch non traduce solo il significato corradicale di “olimpico”, ma anche, per affinità semantica, “distaccato” (“olympische Ruhe”: una calma olimpica): in effetti la fanciulla, di cui Nathaniel si innamora perdutamente, si rivela essere una bambola senz’anima, un automa.

Il motivo degli occhi

Leitmotiv dell’uomo della sabbia è senza dubbio la presenza, quasi ossessiva, del termine Augen, occhi. [1] Essi sono presenti in molteplici situazioni: Nathaniel ha paura che il mostro possa accecarlo e Coppelius lo minaccia, in maniera che risulta difficile considerare casuale, proprio di privarlo della vista.

Più avanti nel racconto, Nathaniel acquista un cannocchiale tascabile attraverso il quale spia la bella Olimpia, immobile e chiusa nella casa del professor Spallanzani: è a causa di questa modificazione nella vista che il giovane non riuscirà più a distinguere la verità dalla fantasia, infondendo in Olimpia un’anima che essa non possiede.

Non a caso si dice che gli occhi di Olimpia apparivano stranamente senza vita, laddove quelli di Clara erano stati descritti come “un lago di Ruisdael, nel quale si specchia l’azzurro limpido di un cielo senza nubi […]”. Negli incubi di Nathaniel, Clara lo accusa di rifiutarsi di guardarla e, quando lui finalmente alza lo sguardo, “quella che lo fissa amorevolmente con gli occhi di Clara è la morte“. Potremmo andare avanti così per molte pagine ancora, tanto è continuo e martellante il riferimento alla vista.

Ruisdael l'uomo della sabbia Hoffmann  Clara
Paesaggio lacustre rappresentato dal pittore olandese Jacob van Ruisdael.

Secondo Freud, la paura dell’accecamento consiste nella traslazione di un’originaria paura dell’evirazione. È interessante notare che proprio nel mito di Edipo, così amato da Freud, costui si acceca per punirsi del peccato da lui inconsapevolmente commesso.

Freud e il perturbante

Arriviamo dunque al punto centrale del nostro articolo. Cos’ha di tanto interessante “l’uomo della sabbia” secondo Freud? Pur volendo rimanere il più possibile avulso da questioni estetiche, per definire la qualità del sentire detta “perturbante” (in tedesco unheimlich, di cui tenteremo di capire il significato linguistico) egli considerava necessario fare appello sia a fatti realmente avvenuti ai suoi pazienti sia alla reazione scatenata dalle finzioni, ossia dai racconti.

l'uomo della sabbia Hoffmann  Nathaniel
illustrazione molto eloquente della paura di Nathaniel verso l’uomo della sabbia.

La parola unheimlich è costituita dalla radice Heim, “casa”, dimora”; da essa si forma primariamente l’aggettivo heimlich, “familiare”, “abituale”, di cui unheimlich sarebbe la negazione. Concludere che perturbante significhi “estraneo”, “inconsueto”, è però quantomeno semplicistico: il sentimento del perturbante non è, per Freud, scatenato da qualcosa che non conosciamo e che per questo ci spaventa, ma da qualcosa che, originariamente familiare, è per qualche ragione stato rimosso. Senza arrivare a conclusioni troppo arrischiate, possiamo quindi sintetizzare che

il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare.

Diversi dei fenomeni descritti da Freud compaiono nel racconto di Hoffmann: la stranissima casualità tra la paura di essere accecato dall’uomo della sabbia e la minaccia di Coppelius, l‘incredibile somiglianza tra il nome dell’alchimista e quello di Coppola, l‘incertezza intellettuale nei confronti di Olimpia e così via.

Senza perderci nei meandri delle distinzioni psicoanalitiche sulle diverse fonti che originano il perturbante, che meriterebbero una trattazione a parte, ci limitiamo in questa sede alla seguente riflessione: molti casi, che nella realtà risulterebbero perturbanti, non lo sono nella finzione, perché ne abbiamo inconsapevolmente accettato le regole. Così fantasmi, spiriti e révenants possono semmai incuterci paura, ma non perturbarci: siamo consapevoli che essi si limitano alla sfera dell’immaginario.

Il racconto di Hoffmann, però, è diverso. Il sentimento del perturbante, che porta Nathaniel alla follia ed è riconducibile a due diverse cause interconnesse (la presenza di un automa e la figura dell’uomo della sabbia/Coppelius/Coppola), perturba ugualmente anche il lettore perché esso è irrimediabilmente confuso: cosa è realmente accaduto?

Una questione irrisolta

Anche se Freud sembra liquidare la questione affermando che sì, quella di Nathaniel non è solo un’allucinazione, Coppola è davvero Coppelius e non solo il prodotto della sua mente, a noi sembra che le cose stiano in maniera più complessa.

Hoffmann non prende mai realmente posizione rispetto al suo racconto, ed è questo l’elemento più interessante: ci vengono presentati due punti di vista diversi, quello di Nathaniel “romantico” (perché è la sua mente “creatrice”, tramite la deformazione ottica provocata dal cannocchiale, ad aver infuso vita nell’inanimata Olimpia) e della fidanzata Clara, pragmatica e realista, che tende a razionalizzare e a semplificare tutto, affermando in sostanza che i mostri sono solo nella mente di chi ci crede.

Non vi è nulla di più meraviglioso e di più folle della vita reale e il poeta solo questo può fare: afferrarla come un pallido riflesso di uno specchio opaco.

È il narratore esterno a fornirci questo terzo punto di vista: dobbiamo quindi concludere che il fascino di questo racconto sta proprio nella insolubile ambiguità tra vita reale, alla quale anche lo stesso Nathaniel sembrerebbe appartenere, e creazione poetica, non solo quella che stiamo leggendo, ma anche quella che avviene nella mente di Nathaniel… oppure no?

Maria Fiorella Suozzo

Fonti

L’uomo della sabbia e altri racconti, Hoffmann, Mondadori 1987

Il perturbante, Sigmund Freud

[1] Nel sito tedesco Goethezeit è possibile trovare un conteggo della parola nelle sue forme flesse: la sola forma “Augen” (plurale) ricorre ben 49 volte, seguita da “Auge” (singolare, “occhio”) 8 volte e da svariate parole composte.

fonte immagine in evidenza: Fussli, l’incubo (1781)

fonte immagini: I, II, III, V