Inside Out: un cartone per adulti

Vi capita mai di guardare qualcuno e chiedervi cosa gli passi per la testa?

Inside Out è il nuovo film di Pete Docter (già autore di altri titoli Pixar come Monsters & Co., Wall-E, Up) che racconta la storia di Riley, una bambina di undici anni che affronta il difficile trasloco della sua famiglia dal Minnesota a San Francisco. Ma, come anticipa il titolo, il racconto si svolge su due piani: dall’interno (Inside) all’esterno (Out). Infatti i veri protagonisti del film sono cinque simpatici omini colorati, le emozioni Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto, che a seconda della loro natura gestiscono diversamente le situazioni in cui si viene a trovare la bambina durante la sua crescita, gestiscono i ricordi e creano le fondamenta della sua personalità attraverso i “ricordi-base”, che – citando testualmente – “rendono Riley… Riley“.

Le emozioni guidano la bambina da una torre di controllo, ma Riley è soprattutto una bambina felice, per cui è Gioia il personaggio centrale, è Gioia a far sì che la maggior parte dei ricordi di Riley siano felici, è Gioia la principale plasmatrice della sua personalità. E proprio mentre è intenta a tenere lontana Tristezza dal contaminare in “negativo” i ricordi della bimba, queste due finiscono per errore in un’altra parte del cervello, e dovranno faticare non poco per tornare al quartier generale, mentre Riley cerca di tornare felice nel Minnesota sentendosi un’estranea nella sua nuova città.

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Inside Out ruota tutto intorno a questo: una rappresentazione allegorica dei meccanismi della mente umana nel momento più decisivo della crescita. E come al solito la Pixar non lascia niente al caso: mentre sono stati chiamati a partecipare alla stesura del copione Dacher Keltner e Paul Ekman, professori di psicologia all’Università della California, due dei più quotati esperti del settore, dall’altra ha chiamato a dare forma alle loro teorie Pete Docter, quello stesso regista che ci aveva commosso attraverso gli occhi elettronici di Wall-E e ci aveva fatto riflettere sul senso profondo della solitudine e del dolore con le frasi ciniche del vecchietto di Up. Lo stesso regista che, questa volta, non ci offre solo uno squarcio su come possano essere i meccanismi più profondi della nostra mente, ma ribalta completamente la concezione di lieto fine.

In ottanta anni di cartoni animati, l’elemento cardine ed immancabile era l’happy ending, fatto di gioia e felicità eterna. La stessa Gioia, personaggio principale, che per prima, alla nascita di Riley, si era industriata per farla crescere nel modo migliore. La stessa Gioia che, nel finale, deve far spazio alla sua pacioccona amica blu, Tristezza, per riuscire bene nel suo intento.

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L’happy ending in Inside Out ha un sapore agrodolce, diventando quasi un elogio alla malinconia, necessaria per poter raggiungere la piena felicità. Dimostra quanto non esistano emozioni dannose o pericolose: l’unico pericolo è non provarle affatto. Non esiste una vita fatta di sola gioia o di sola tristezza, ma che la nostra personalità è un arcobaleno di colori che nel mescolarsi tra loro trovano la giusta armonia.

E mentre queste riflessioni si fanno spazio nel cuore degli adulti a suon di lacrime che scendono fino al collo – perché, a discapito del nome dell’emozione principale, Inside Out resta un film estremamente triste -, la risata arriva all’improvviso, spontanea, grazie alla commedia fisica stile Minions che traspare dalle vicissitudini dei personaggi marginali quali Disgusto, Paura e Rabbia e che, travolgente, ci ricorda che questo è soprattutto un film per bambini.

Quello che rende Inside Out un capolavoro è proprio questo: la sua duplicità, il dentro e il fuori, la diversa reazione che riesce a provocare da un lato agli adulti – che rivedono loro stessi qualche anno prima – e dall’altro nei bambini – che rivedono se stessi sullo schermo (specialmente nelle scene di disgusto alla vista dei broccoli) -. A condire questo cocktail esplosivo (che magari porterà anche una candidatura agli Oscar come fu per Up, chi lo sa), ci sono degli esilaranti titoli di coda, che ci dimostrano come le emozioni che ci guidano siano sì le stesse per tutti, ma che per ognuno reagiscono in modo differente.

«Volevo parlare di quel momento difficile in cui l’innocenza dell’infanzia finisce e ci si ritrova nel mondo degli adulti senza ancora sapere bene come funziona – spiega il regista a Tv Sorrisi&Canzoni -. Quando l’infanzia finisce si prova una sensazione dolce e amara al tempo stesso. È questa l’atmosfera del film».

 

Camilla Ruffo

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