Su verità e menzogna in senso extramorale di Nietzsche: un’analisi

La questione sulla verità è in tutta la storia della filosofia occidentale tema fondante della ricerca filosofica; ma con Friedrich Wilhelm Nietzsche la storia del pensiero subisce una forte scossa. Su verità e menzogna in senso extramorale, pur essendo uno scritto del giovane Nietzsche filosofo, anzi lo scritto decisivo che segna il passaggio dagli studi prettamente filologici a quelli filosofici, contiene già i nuclei fondamentali del suo pensiero rivoluzionario.

Su verità e menzogna in senso extramorale

Più che Ricerca della verità, com’è stata posta la questione per molti pensatori, con Nietzsche, grazie al suo saggio Su verità e menzogna in senso extramorale, possiamo parlare di smascheramento della verità, ovvero riconoscimento della facciata di apparenza di ciò che definiamo verità e del suo utilizzo e della sua nascita prettamente umani.su verità e menzogna

In un qualche angolo remoto dell’universo, riverso nello scintillio d’innumerevoli sistemi solari, c’era una volta un astro sul quale alcuni animali intelligenti inventarono la conoscenza. Fu il minuto più presuntuoso e più bugiardo della «storia del mondo»: e tuttavia fu soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura l’astro si rapprese, e gli animali intelligenti furono costretti a morire. – Qualcuno potrebbe inventare una favola di questo tipo, eppure non avrebbe illustrato abbastanza il modo deplorevole, oscuro e fugace, senza scopo e casuale, con cui l’intelletto umano eccelle nella natura; ci furono eternità, in cui esso non c’era; e quando sarà finito di nuovo, non sarà successo nulla.

Queste le parole con cui Nietzsche sceglie di introdurre il tema. Un inizio, non a caso, definibile quasi mitologico, una denuncia esplicita della facciata menzognera della conoscenza umana e la messa in risalto dell’aspetto creativo da parte dell’uomo di quest’ultima:

Difatti non c’è per quell’intelletto una missione ulteriore, che conduca oltre la vita umana. Piuttosto esso è umano, e soltanto il suo possessore e produttore lo considera in modo così patetico, come se su di esso ruotassero i cardini del mondo.

In effetti, ci spiega il filosofo, la questione della Verità, dal punto di vista gnoseologico, cioè della conoscenza, è da basare sul presupposto di una visione prettamente relativistica. All’uomo costa fatica convincersi del fatto che:

l’insetto o l’uccello percepiscono un mondo del tutto diverso dall’uomo e che domandare quale delle due percezioni del mondo sia quella giusta è del tutto privo di senso.

Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire come Nietzsche in Su verità e menzogna in senso extramorale arrivi a questa impostazione del problema.

Genealogia della ricerca della verità

L’intelletto, strumento prettamente umano, è concesso a quest’essere vivente – il più infelice – in quanto, nella sua condizione fisica di minorità nei confronti degli altri animali, ha bisogno di qualcosa d’altro per contrastare la minaccia che fisicamente la natura costituisce per lui.
Nel momento in cui l’intelletto produce “quella superbia legata al conoscere e sentirela conoscenza non è più un tratto che eleva l’uomo al di sopra degli altri esseri viventi, ma diventa “nebbia accecante sugli occhi e le menti“, ingannando gli uomini su ciò che l’esistenza stessa è, e portando ad un plusvalore della conoscenza stessa. Dunque ciò che l’intelletto produce, nella fame di conoscenza, è l’inganno.

L’intelletto, che è uno strumento di conservazione dell’individuo, dispiega le sue forze maggiori nella finzione, perché questa è il mezzo attraverso cui si conservano gli individui più deboli […]. Nell’uomo quest’arte della finzione giunge al suo apice.

L’apice della finzione è la visione del mondo eretta a verità che, anziché prosperare la conoscenza, non fa altro che volgersi esclusivamente alla Forma delle cose; esperienza sensibile che si allontana dalla verità. su verità e menzogna su verità e menzognaIn effetti l’uomo sa così poco di sé e della natura che la sua percezione è tanto alterata che la coscienza appare altezzosamente buffonesca, ci dice Nietzsche; e guai a chi in uno spiraglio di luce avverta il presentimento che l’uomo poggi su ciò che è spietato, avido, insaziabile, micidiale.

Questo utilizzo dell’intelletto però, fin quando l’uomo si pone nei limiti della natura, ovvero della contrapposizione ad altri individui, resterà circoscritto nella produzione di mere apparenze: la finzione.

ma poiché l’uomo, allo stesso tempo per necessità e per noia, vuole esistere in gregge e in società, ha bisogno di un trattato di pace che miri alla scomparsa dal suo mondo almeno del più grossolano “bellum omnium contra omnes”.

Proprio questo trattato – un contratto sociale, in altri termini – porta con sé qualcosa che sembra essere

il primo passo per il conseguimento di quell’enigmatico impulso di verità.

Ovvero, con la stipulazione, in qualche modo, di un contratto l’uomo pone i primi limiti al suo agire, cioè le prime convenzioni, e con esso il linguaggio, di natura altrettanto convenzionale, getta le basi per le prime leggi della verità:

si istituisce dunque qui per la prima volta il contrasto tra verità e menzogna.

Ma il discorso, che il filosofo porta vanti in Su verità e menzogna fuori dal senso morale, certamente non si conclude qui; resta ancora da chiarire – e lo chiariremo in seguito! –  la natura convenzionale del linguaggio, che cos’è una parola, cosa sono i concetti e la questione fondamentale: che cos’è la verità?

Nunzia Rescigno

 Fonti

Fonte citazioni: Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna fuori dal senso morale; Filema edizioni.

Fonte immagini media I; II; III.