Nietzsche: la verità come menzogna, parte II

Abbiamo analizzato, nei precedenti articoli, lo scritto del 1873, Su verità e menzogna fuori dal senso morale, dell’allora giovane Friedrich Nietzsche. Siamo dunque arrivati alla parte conclusiva di questo percorso.
In questo scritto vediamo in forma embrionale tutte le caratteristiche del Nietzsche che conosciamo per le sue opere maggiori: la critica ad ogni forma di idealismo – da Platone ad Hegel, l’attenzione al linguaggio allusivo, quella alla cultura dell’antica Grecia, l’aspirazione ad un nuovo modo di percepire il mondo e infine quello che poi sarà la definizione di un nuovo uomo – lo ubermensch.

La critica di Nietzsche alle filosofie occidentali

Andiamo direttamente a riprendere il filo del discorso tramite le stesse parole di Nietzsche che, in una serrata critica alla visione del mondo propria della cultura occidentale, scrive:

Solo col dimenticare quel primitivo mondo di metafore, solo indurendo e irrigidendo una originaria massa Nietzsched’immagini che sgorga in ardente fluidità dalla capacità originaria della fantasia dell’uomo, solo attraverso la fede invincibile che questo sole, questa finestra, questo tavolo, siano una verità in sé, in breve solo per il fatto che l’uomo dimentica se stesso come soggetto e in primo luogo come soggetto artisticamente creativo, egli vive in una particolare calma, sicurezza e coerenza; se per un attimo soltanto egli potesse evadere dalle pareti della prigione di questa fede, la sua “autocoscienza” svanirebbe subito.

Tutto questo costerebbe fatica all’uomo, sarebbe come voler comprendere il modo in cui un uccello o un insetto percepiscono il mondo e dopo chiedersi quale percezione del mondo, tra la nostra e quella di un animale, risulta quella corretta; un paradosso in sé, perché per deciderne l’esattezza bisognerebbe poterle giudicare secondo l’unità di misura della corretta percezione, ma per Nietzsche una simile unità di misura è già una sciocchezza colma di contraddizioni. Implicherebbe che tra  le due sfere assolutamente diverse, quella del soggetto (l’io)  e quella dell’oggetto (il mondo), ci fosse una condizione di causalità; ma, ci dice Nietzsche, al massimo c’è tra soggetto e oggetto:

un rapporto estetico, intendo una trasposizione allusiva, una traduzione ridondante in una lingua del tutto straniera. Al che sarebbe tuttavia necessaria, in ogni caso, una sfera di mezzo e una forza intermedia libera di poetare e libera d’inventare.

 È  qui che Nietzsche gioca tutta la cifra della svolta rispetto alla tradizione filosofica occidentale.

L’insostenibilità della verità

NietzscheIn quella che sommariamente potremmo definire riproduzione umana del mondo che viviamo, l’uomo, ormai abituato da quelle che sono nate come convenzioni e che sono ora per lui certezze incrollabili, è assolutamente persuaso di vedere la verità. Nietzsche, mettendo in discussione l’aderenza della parola nominata all’essenza della cosa che si vuole nominare, ha messo in discussione tutta la visione del mondo e di se stesso che l’uomo ha, e tutte le speculazioni su di esso. L’inconoscibilità della cosa in sé (che reminescenza kantiana!) ci spinge a dubitare dell’esattezza di tutti i prodotti umani, dunque anche delle leggi che ci spiegano presuntuosamente il funzionamento del mondo sotto i nostri occhi. A tal proposito Nietzsche scrive:

[…] una legge di natura; essa non ci è nota in sé, ma solo nel suo effetto, cioè nelle sue relazioni con altre leggi di natura, che ci sono note di nuovo solo come relazioni. Tutte queste relazioni allora […] ci sono da parte a parte incomprensibili nella loro essenza; solo ciò che v’immettiamo noi, il tempo, lo spazio, quindi i rapporti di successione e i numeri ci sono effettivamente noti.  Ma tutto quanto è meraviglioso […] sta direttamente e interamente solo e soltanto nel rigore matematico e nell’inviolabilità delle rappresentazioni del tempo e dello spazio. Queste però le produciamo in noi e a partire da noi […] se siamo costretti a concepire tutte le cose solo sotto queste forme non c’è poi da meravigliarsi che in tutte le cose concepiamo propriamente solo queste forme.

Verso un nuovo uomo

Per Nietzsche, a questo punto, la soluzione è solo una, e dalle sue parole la intuiamo quando, alla fine della prima parte del testo, ci dice che ogni formazione artistica di metafore (e poniamo la nostra attenzione su quella definizione di artistica) presuppone già le forme di spazio e tempo, e che quindi è compiuta in esse.

Quell’impulso a formare metafore, quell’impulso Nietzschefondamentale dell’uomo, che in alcun momento non si può non tenere in conto, perché con esso non si terrebbe in conto l’uomo stesso […] cerca da sé un nuovo campo d’applicazione della sua azione e un altro alveo, che trova nel mito e nell’arte in generale. Continuamente esso sconvolge le rubriche e le celle dei concetti, installando nuove trasposizioni, metafore, metonimie: mostra continuamente il desiderio di configurare il mondo esistente dell’uomo desto al modo del mondo variopinto, irregolare, inconseguente, incoerente, stimolante ed eternamente nuovo quale è quello del sogno.

Ed è così che inizia a configurarsi nella mente di un giovane Nietzsche l’immagine di un nuovo uomo, l’uomo desto al mondo per com’è e come mai potremmo comprendere per intero nella sua essenza.

Nella seconda parte del testo, parte più breve e conclusiva, continua ad addentrarsi nella raffigurazione del risveglio al nuovo vecchio mondo. Un’analisi, anche se breve, profonda e mirata, che affonda le sue radici negli studi del Nietzsche filologo che approfondisce in diversi libri l’antica cultura greca. Un’analisi che ognuno di noi dovrebbe leggere e rileggere continuamente e con dedizione prima di poter dare uno sguardo al mondo fuori di sé.

Nunzia Rescigno

Fonti

Fonte citazioni: Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna fuori dal senso morale; Filema edizioni.

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