Dinosauri: tassonomia e caratteristiche anatomiche

Quando si pensa alla Paleontologia inevitabilmente affiorano alla mente i dinosauri. Nessun altro vertebrato fossile li eguaglia in fatto di fama. Fin dalla loro scoperta accendono dibattiti tra gli studiosi, e col tempo sono diventati delle vere e proprie icone della cultura di massa.

Ma chi erano i dinosauri, e come erano fatti? In questo articolo cercheremo di fare ordine in uno dei gruppi di animali più diversificati mai comparsi sulla Terra.

Un’identità misteriosa

Come spesso avviene nella discipline che cercano di decifrare reperti antichi, occorse molto tempo (ed altrettanto studio) prima che i resti di dinosauro venissero inquadrati e classificati. Il mondo è disseminato di testimonianze di creature vissute milioni d’anni fa e poi scomparse. E ben presto l’uomo iniziò a trovarne.

È ragionevole pensare che le creature che i cinesi chiamarono 恐龍 (draghi terribili) fossero dinosauri. Pratiche (pseudo)medicamentose basate sulle loro ossa sono attestate in testi risalenti al III secolo d.C. Altri fossili furono rivenuti invece ad Occidente furono attribuiti ai giganti.

Il mondo accademico si interessò al fenomeno solo dal 1600. I primi a farlo furono gli inglesi, che ritrovarono tra le mani fossili di Megalosaurus. Erano gli anni in cui si iniziò a forgiare una visione indirizzata verso l’evoluzionismo, seppur in maniera rudimentale.

Nel 1842 sir Richard Owen coniò il termine “dinosauro”, ma non si avevano ancora a disposizione scheletri completi. Frammenti di un record fossile abbondante, ma insoddisfacente, permisero di descrivere tre specie. Tutte declinavano un piano corporeo di tipo rettiloide. Si stimava fossero creature gigantesche, morfologicamente vicine ai coccodrilli, ma per certi versi ricordavano i sauri.

Thomas Huxley – forte del ritrovamento di molte altre ossa – ampliò il concetto, individuando quattordici caratteristiche condivise che permettessero di inquadrare il taxon dal punto di vista sistematico.

Essere Dinosauri: un questione di testa

Tracciare la filogenesi evolutiva di un taxon è un processo che passa attraverso molte tappe. Occorre codificare delle caratteristiche che ci permettano di catalogare i viventi in gruppi (più o meno) discreti. Per ricostruire le linee di parentela che intercorrono tra questi si possono usare approcci diversi, che vanno dal molecolare all’embriologico.

La paleontologia si occupa di studiare creature scomparse da tantissimo tempo. È quindi facile capire come le metodologie suddette risultino spesso inapplicabili in questo campo. La classificazione degli organismi estinti passa per lo studio delle testimonianze fossili. Non tutte le strutture però hanno la stessa fortuna di riuscire a conservarsi attraverso lo scorrere inesorabile degli eventi. Per questa ragione le strutture dure e mineralizzate risultano le più utili allo scopo.

Il cranio rappresenta l’elemento diagnostico chiave per fare ordine tra i Tetrapodi. Questo componente scheletrico è fondamentale per la tassonomia. In primis ci permette permette prima di tutto di individuare i Vertebrati, distinguendoli dal resto dei cordati; in secundis ci fornisce indizi preziosi per distinguere le linee filetiche divergenti all’interno del clade.

Da quando è comparso nella scala evolutiva il cranio ha assunto diverse forme. Negli amnioti (i tetrapodi che sono riusciti ad affrancarsi dall’ambiente acquatico) osserviamo tipi che sono riconducibili ad alcuni modelli ricorrenti. Le variazioni rispetto alle versioni standard di questi ci permettono di rintracciare testimonianze di discendenza filogenetica.

Oltre alla forma strutturale – che ne rappresenta l’aspetto più macroscopico – si prende in considerazione la presenza di aperture laterali comparse sistematicamente su alcune ossa. In base a queste si individuano tre categorie:

  • Anapsidi: privi di fenestratura
  • Sinapsidi: un paio di fenestrature
  • Diapsidi: due paia di fenestrature

I dinosauri appartengono al gruppo dei diapsidi. Il loro cranio rappresenta però una variazione al tipo di partenza, in quanto aggiunge un’ulteriore finestra: quella anteorbitale.

Dinosauri ai raggi X

Il grado di differenziamento che i dinosauri raggiunsero nel corso della loro storia evolutiva fu notevole e molto vario. Molti dei loro peculiari adattamenti riguardano diverse delle loro strutture scheletriche. Vale la pena quindi osservare il loro scheletro nella sua totalità, sia come elemento diagnostico che per avanzare ipotesi circa la loro biologia.

Al fine di schematizzarne la descrizione (e facilitarne così la comprensione) risulta comodo suddividere lo scheletro in due sottotipi:

  • Assile: comprende il cranio nella sua totalità (neurocranio e splancnocranio), la colonna vertebrale, la gabbia toracica.
  • Appendicolare: costituito dalle ossa che formano gli arti superiori e quelli inferiori.

Scheletro Assile

Molti dei tetrapodi terrestri presentano strutture articolari pesanti. Per questa ragione hanno avuto la necessità di evolvere parti anatomiche solide, che resistessero sotto il loro stesso peso, irrobustendo gli elementi dello scheletro assile. La colonna vertebrale è deputata a questa funzione, oltre a quella di proteggere l’estensione extracefalica del Sistema Nervoso Centrale.

Le vertebre dei dinosauri presentano un grado di differenziazione settoriale più spinto della media. Le cervicali sono molto numerose, articolandosi in collo lungo e flessibile (caratteristico del clade degli Ornithodira). Quelle dorsali sono dotate di processi spinosi alti e di processi articolari zigapofisari spessi e talvolta arcuati.

Le vertebre sacrali – come spesso avviene fra i grandi animali – sono fuse insieme, per dare maggiore rigidità. Lo scheletro infine termina con una coda (probabilmente) rigida. Questa aveva lo scopo di bilanciare il peso dell’animale, quindi era solitamente di dimensioni proporzionali alle strutture scheletrico-cefaliche.

I dinosauri possiedono numerose coste, alcune anche posteriori rispetto al cinto pelvico. Inoltre alcune specie presentano coste ventrali, non articolate al rachide, dette gastralia.

Scheletro appendicolare

Gli elementi che costituiscono lo scheletro appendicolare dei dinosauri presentano un gran numero di forme, con un buon grado di diversità morfologica le une dalle altre. Nel corso del tempo le pressioni ambientali hanno selezionato strutture adatte alle strategie ecologiche dei diversi taxa che costituiscono il clade. Caratteri comuni sono però ravvisabili nei tipi ancestrali.

L’arto anteriore presenta un omero robusto, che si articola direttamente al cingolo scapolare. L’ulna e il radio sono di solito sottili e molto più corti rispetto all’omero. Gli arti superiori dei dinosauri bipedi, non essendo coinvolti né nella deambulazione né nel sostegno, si sono progressivamente ridotti. Nei quadrupedi al contrario si sono irrobustiti diventando colonnari.

L’arto posteriore si trova in posizione centrale rispetto al cingolo pelvico, contrariamente alla maggior parte delle specie del classe dei Reptilia. Il femore si articola inserendosi nell’acetabolo, tipicamente perforato, e si articola con l’osso tibiale e quello fibulare, relativamente sviluppate rispetto alla totalità dell’arto.

Molti gruppi perseguirono la tendenza evolutiva che vide la riduzione del primo e del quinto dito delle estremità. In alcune specie si atrofizzarono fino a diventare semplici vestigia. Raramente poggiavano a terra durante la deambulazione.

Mettere ordine fra i Dinosauri

L’abbondanza e la variabilità nel record fossile testimonia il grande successo adattativo dei dinosauri. La loro diffusione fu dovuta soprattutto alla plasticità del loro piano architettonico, modellato su misura dei molti ambienti che riuscirono a colonizzare.

Inizialmente gli esperti ritennero il clade Dinosauria un gruppo improprio, un contenitore di animali non correlati da discendenza comune. Gli studi di evoluzione morfologica ne hanno dimostrato invece il carattere monofiletico. La chiave di svolta in tal senso provenne dalle analisi condotte sulle strutture che costituiscono il cingolo pelvico.

I dinosauri sono ancestralmente bipedi. Questa postura è permessa dalla disposizione parallela degli arti inferiori, colonnari ed articolati centralmente rispetto al cinto. Molte caratteristiche scheletriche dei primi Dinosauri derivano dall’acquisizione della postura eretta. L’ischio e il pube sono piuttosto sottili, e quest’ultimo è diretto in avanti rispetto al primo, come avviene tipicamente nei Sauri.

Nel corso del tempo assistiamo ad un riassetto dell’orientamento spaziale del cingolo pelvico, con il pube che si dispone parallelamente rispetto all’ischio. In più vi si aggiunge un processo prepubico. A questa modifica ne conseguirono anche molte altre, di minore entità.

Questo evento evolutivo ci permette di individuare una biforcazione netta nell’albero filogenetico dei Dinosauri. Possiamo così suddividere quest’ordine in un due sottogruppi:

  • I Saurischi, caratterizzati dal pube rivolto in avanti rispetto all’ischio.
  • Gli Ornitischi, caratterizzati dal pube diretto indietro, parallelo all’ischio.

Tra i due sottotaxa fu il primo a conoscere il maggior successo evolutivo, sebbene la straordinaria varietà che raggiunsero nel Mesozoico sia andata persa con l’estinzione di massa del limite KT. Solo poche specie sopravvissero, riadattando profondamente il loro bauplan e andando incontro a una seconda riespansione soltanto in seguito: gli Aves.

Lorenzo Di Meglio

Bibliografia

Micheal J. Benton – Paleontologia dei Vertebrati – Luccisano Editore

Andrea Allasinaz – Paleontologia generale e sistematica degli Invertebrati – ECIG

Approfondimenti

https://www.researchgate.net/figure/Cladogram-of-basal-Dinosauria-showing-the-position-of-node-based-dot-and-stem-based_fig1_240241685