Salvate il soldato Ryan: analisi del film di Steven Spielberg

Steven Spielberg ha diretto alcuni tra i maggiori capolavori del cinema mondiale. Nei suoi quasi cinquant’anni trascorsi dietro la macchina da presa il regista statunitense ha sempre mostrato notevole versatilità nel passare da un genere all’altro. Tra questi, il genere drammatico legato alla guerra sembrerebbe ispirarlo particolarmente. Salvate il soldato Ryan (Saving Private Ryan), prodotto nel 1998, è la seconda opera di Spielberg ambientata nel periodo del secondo conflitto mondiale. Il film presenta tutte le caratteristiche del perfetto blockbuster tanto in voga negli anni ’90: durata vicina alle tre ore, prorompenti effetti speciali, trama avvincente, musiche coinvolgenti e cast di livello.

Correva l’anno 1994 quando lo sceneggiatore Rober Rodar osservava un monumento alla memoria dei caduti durante la guerra civile americana. A catturare la sua curiosità un’incisione contenente i nomi di otto fratelli periti a seguito del conflitto. Rodar trae ispirazione dal tragico evento, svolge alcune ricerche, e scrive un abbozzo di sceneggiatura per la realizzazione di un film ambientato nel periodo della seconda guerra mondiale. La trama piace ed intriga, ma occorrono ben undici stesure prima che venga portata all’attenzione di Steven Spielberg.

L’arte della guerra secondo Spielberg

Salvate il soldato Ryan

Già pochi anni prima, con Schindler’s list, il regista ha voluto raccontare l’orrore dell’Olocausto vissuto dall’interno ricreando meticolosamente i campi di sterminio nazisti. Salvate il soldato Ryan si differenzia dalla precedente pellicola soprattutto per il maggior utilizzo degli effetti speciali dovuto ad una maggiore presenza di scene d’azione militare. La riproduzione dello sbarco in Normandia è stata definita dalla rivista Empire “miglior scena di battaglia mai realizzata“.

Nel nutrito cast di attori spiccano i nomi di Tom Hanks, Matt Damon ed un giovane e semisconosciuto Vin Diesel. Nei giorni precedenti alle riprese gli attori che impersonavano i soldati della “compagnia Charlie”, al fine di accrescere la credibilità dei loro personaggi, hanno anche sostenuto un corso militare intensivo della durata di dieci giorni. Matt Damon chiese di non partecipare all’addestramento in gruppo, ritenendo opportuno non familiarizzare o entrare troppo in contatto con i colleghi. L’intenzione era rendere il personaggio di James Francis Ryan ancor più estraneo ai componenti della squadra adibita al suo salvataggio.

L’utilizzo di colori dalle tonalità opache, di riprese effettuate con videocamere a mano e della prospettiva ad angoli stretti, pone le basi per nuove tipologie di film e videogiochi ispirati al genere militare. Il New York Times definisce Salvate il soldato Ryanil miglior film di guerra della nostra epoca“. Nel corso della cerimonia degli oscar 1999 la pellicola si aggiudica cinque statuette su undici nomination, tra cui miglior regia, montaggio e colonna sonora. Steven Spielberg conquista così il suo secondo oscar da regista dopo quello ottenuto con Schindler’s list. Nel corso di quello stesso anno Salvate il soldato Ryan ottiene il primato di incassi nei botteghini statunitensi, figurando al secondo posto nel mondo dopo Armageddon – Giudizio finale.

Sacrificarne tanti per salvarne uno

Salvate il soldato Ryan

Salvate il soldato Ryan si svolge seguendo la modalità del flashback. Il capitano John Miller riceve l’incarico di formare una squadra di recupero. Obiettivo della missione: recarsi nella Normandia in mano ai nazisti per scovare e condurre in salvo il paracadutista Ryan, ultimo sopravvissuto di quattro fratelli. Nonostante la riluttanza iniziale Miller accetta l’incarico, consapevole del potenziale rischio della missione. La squadra, composta da esperti soldati, riesce a portare a termine la missione, ma la salvezza di Ryan comporta la perdita di gran parte dei membri della Compagnia Charlie“. Il lungo flashback volge al termine mostrando l’ex paracadutista dell’esercito degli Stati Uniti James Francis Ryan piangere commosso sulla tomba del capitano Miller.

La vita di un singolo uomo vale il sacrificio di più vite innocenti? Miller e gli altri membri della compagnia Charlie affrontano innumerevoli peripezie e muoiono per salvare Ryan. Lo fanno perché è dovere di ciascun soldato ubbidire agli ordini impartiti dall’alto, non per propria iniziativa. Sin dal principio il capitano ritiene, infatti, la folle impresa alla pari di un suicidio, ma sarà proprio il suo eroico gesto finale a permettere la salvezza del giovane paracadutista.

Apparentemente l’obiettivo fisico della missione di salvataggio risulta essere l’aiuto in favore del singolo a discapito di un intero manipolo di soldati. Lo scopo reale consiste invece nel poter garantire a una madre disperata di riabbracciare l’unico sopravvissuto dei suoi quattro figli. Se la guerra è innanzitutto morte e desolazione, l’amore materno ne simboleggia esattamente l’opposto. La vita di un singolo individuo non vale il sacrificio di tante vite innocenti, l’amore infinito di una madre invece sì.

Davide Gallo