Tommaso Becket e Geoffrey Chaucer: il santo e il poeta

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Scorcio della cattedrale di Canterbury (1890-1900), Libreria del Congresso, Washington D.C

Cosa lega San Tommaso BecketGeoffrey Chaucer? Tanto per cominciare due città: Londra, loro città natale, e Canterbury, che ospitava il santuario del santo prima della sua distruzione ad opera di Enrico VIII Tudor nel 1538.

Chaucer, figura cardine della letteratura inglese, deciderà infatti di basare la sua opera più famosa, i Canterbury Tales, su un pellegrinaggio verso la tomba di San Tommaso. Due figure distanti nel tempo, ma accomunate da una grande storia che ha inizio molti secoli fa con un brutale assassinio…

Omicidio nella cattedrale

CanterburyKent, Inghilterra sud-orientale. Oggi una cittadina di circa 55.000 anime dominata da una splendida cattedrale medievale, gioiello dell’architettura gotica d’Oltremanica dalle vivaci vetrate policrome. Una di esse, in particolare, raffigura un omicidio. La vittima è l’allora arcivescovo di Canterbury Tommaso Becket, santo e martire della Chiesa Cattolica Romana e della Comunione Anglicana.

I suoi aguzzini sono quattro cavalieri leali al re d’Inghilterra Enrico II Plantageneto, il padre di Riccardo Cuor di Leone e Giovanni senza Terra. Il sovrano inglese era ormai da anni in conflitto con l’arcivescovo, stoico difensore dei privilegi della Chiesa nel suo regno e minaccia all’autorità della corona.

Reginaldo Fitzurse, Ugo di MorvilleGuglielmo di Tracy e Richard le Breton si recheranno quindi a Canterbury, dove aggrediranno e uccideranno brutalmente Tommaso durante i Vespri nonostante la mancanza di un ordine esplicito da parte del monarca.

thomas becket
L’omicidio di Tommaso Becket in una miniatura del XIII secolo.

La principale testimonianza dell’omicidio proviene dalla penna di Edward Grim, testimone oculare del delitto. L’autore tenterà persino d’intervenire in difesa dell’arcivescovo quasi rimettendoci un braccio e, circa un decennio dopo, deciderà di raccontare il cruento accaduto nella sua opera agiografica sul martire inglese, la Vita S. Thomae. L’omicidio nella cattedrale è particolarmente truculento, da film splatter: dopo diversi colpi di spada, l’arcivescovo viene finito con un tremendo fendente che gli scoperchia il cranio.

Il suo cervello viene sparso macabramente al suolo per puro sfregio.

È il 29 dicembre 1170.

Nasce San Tommaso Becket

L’efferatezza del crimine ha una vasta eco in tutta Europa. Aggredire un uomo di Chiesa nella casa del Signore con una tale ferocia era stato un atto mostruoso, satanico. Il 25 marzo 1171 papa Alessandro III scomunica tutti e quattro gli assassini che si recano prontamente nella Città Eterna in cerca di clemenza. La ottengono, ma sono comunque costretti a servire per ben quattordici anni come cavalieri del Tempio in Terra Santa per fare ammenda.

Giunge inoltre la canonizzazione lampo da parte del pontefice: a poco più di due anni dall’omicidio: il 21 febbraio 1173, il defunto arcivescovo Tommaso Becket è già santo. Il re, l’anno successivo, si umilierà dinnanzi alla sua tomba in segno di pubblica penitenza.

Le sue spoglie mortali divengono oggetto di culto da parte dei cristiani di tutta l’Inghilterra e l’importanza di Canterbury come meta di pellegrinaggio tra il XII e il XIV secolo cresce esponenzialmente.

Non sempre per pio fervore religioso però.

Dal XIII secolo in poi, infatti, sempre più fonti riferiscono riguardo la licenziosità e l’attitudine scalmanata dei pellegrini che considerano il pellegrinaggio un’occasione di piacere più che un’iniziativa spirituale e mostrano ben poco spirito cristiano di penitenza e di sacrificio.

Nel XIII secolo, il frate domenicano Stefano di Borbone riferisce che sono soliti intonare inni osceni in coro e persino danzare sulle tombe dei cimiteri delle chiese. Il predicatore tedesco Bertoldo di Regensburg afferma che i viaggiatori diretti a Santiago di Compostela preferiscono divertirsi piuttosto che ascoltare messe durante il loro viaggio e recitare paternoster.

William Langland, poeta del XIV secolo, li fa a pezzi nel suo poema Piers Plowman e adotta toni molto accesi nei confronti dei pellegrinaggi, svuotati ormai della loro componente spirituale autentica.

Nasce un poeta

Contemporaneamente è però cresciuta anche l’importanza di Londra che, nel XIV secolo, costituisce il volano economico del regno d’Inghilterra.

La vita economica cittadina è vivace grazie all’intraprendente borghesia mercantile che commercia con il continente di cui il mercante di vini John Chaucer è un esponente emblematico.

Intorno al 1340, sua moglie Agnes Copton partorisce un figlio della cui infanzia e prima adolescenza si sa molto poco. Di sicuro, tuttavia, il suo ritratto da adulto non è quello di uomo qualunque. Fu soldato nella prima fase della Guerra dei Cent’Anni ma anche un intellettuale e diplomatico, attività che lo condusse in Francia, nelle Fiandre e in Italia, dove approcciò le opere di Dante e Boccaccio. Nel 1368, forse conobbe personalmente a Milano Francesco Petrarca.

Servì ben tre re, fu sovrintendente edile della Torre di Londra e del Palazzo di Westminster, funzionario delle gabelle portuali londinesi, giudice di pace, rappresentante della contea del Kent nel Parlamento inglese ma, soprattutto, il più grande interprete della tradizione medio-inglese, il cui contributo letterario sarà fondamentale per la consacrazione letteraria del volgare inglese, da secoli oscurato da anglo-normanno e latino.

Morto nel 1400, fu il primo poeta ad essere sepolto in quello che, successivamente, sarà definito Poets’ Corner, quella parte del transetto sud dell’abbazia di Westminster che accoglie i monumenti dedicati ai grandi autori d’Inghilterra e i loro sepolcri. Al di sopra del suo sarcofago, un’iscrizione in latino riferisce il suo nome: “Galfridvs Chavcer”.

Geoffrey Chaucer adotterà il pellegrinaggio alla tomba canterburiense di Tommaso Becket come base narrativa dei Canterbury Tales, composti tra il 1387 e il 1400 e massimo capolavoro della letteratura in inglese medio. Ambizioso progetto incompiuto di centoventi novelle narrate da trenta pellegrini, comprendono ventiquattro racconti quasi tutti scritti in versi. Ispirati al Decameron di Boccaccio, i Tales ne ereditano la peculiare struttura narrativa a cornice di antichissima origine orientale.

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Geoffrey Chaucer ritratto da Thomas Hoccleve nel suo “Regement of Princes” (1412)

Lungo la via per Canterbury: i pellegrini del Tabarro

È primavera, la stagione della rigenerazione per eccellenza, il momento della gioia e della celebrazione per la rinascita della natura e della vita che, a detta dello stesso Chaucer nel celeberrimo Prologo Generale, spinge i fedeli ad intraprendere il pellegrinaggio, che è, concettualmente, anche una rinascita spirituale.

La sera del 16 aprile 1387 ventinove pellegrini diretti a Canterbury si riuniscono nella locanda del Tabarro a Southwark, sobborgo londinese sulla sponda meridionale del Tamigi, dove incontrano lo stesso Chaucer, prima voce narrante dell’opera, diretto anch’egli al santuario di San Tommaso Becket e che diverrà il trentesimo pellegrino della brigata.

L’Oste del Tabarro, lo scapestrato Harry Bailey, si autoproclamerà guida del gruppo e proporrà così ai trenta personaggi di raccontare quattro novelle ciascuno, due all’andata e due al ritorno, per alleggerire le fatiche e la noia del viaggio. Il premio in palio per il narratore delle storie più divertenti e significative? Una cena alla locanda a spese di tutti viaggiatori della compagnia.

Ritratti autentici e crudi dell’eterogenea società inglese descritti con maestria da Chaucer, sono i pellegrini che Stefano, Bertoldo e Langland hanno aspramente criticato: ridono, scherzano, litigano, bestemmiano, raccontano storie oscene, manifestano palesemente la propria avidità, le proprie debolezze, il loro essere peccatori, imperfetti ed umani, come emerge anche dalle ardite metafore utilizzate della Comare di Bath nel prologo del suo racconto. Viaggiano alla volta della tomba di San Tommaso, quella sacra meta remota che, parafrasando Ermanno Barisone (1), tutti tentano di dimenticare e che non sarà mai effettivamente raggiunta.

Il grande mosaico dei Canterbury Tales

Dal poemetto dal sapore cavalleresco del nobile Cavaliere ai vivaci e osceni fabliaux del Mugnaio e del Fattore, dal macabro exemplum del cupido Indulgenziere dove la Morte si personifica come in un morality play fino al sermone conclusivo del Parroco prima del commiato dell’autore, il capolavoro di Chaucer rappresenta non solo un collage di generi narrativi ma anche un grande mosaico sociale che prende vita attraverso l’impalcatura narrativa del pellegrinaggio.

Chaucer offre così un vivo spaccato della quotidianità dell’Inghilterra di fine XIV secolo, quella della rivolta dei contadini di Wat Tyler del 1381, di Wyclif e dei lollardi, quella delle gerarchie ecclesiastiche corrotte rivelatisi inermi di fronte al castigo divino della Morte Nera che aveva stroncato un inglese su due innescando diversi mutamenti economici, sociali e culturali.

L’intera società inglese prende parte al pellegrinaggio verso la tomba di San Tommaso Becket, incarnata dai pellegrini chauceriani: la nobiltà,  il clero,  la borghesia, la classe contadina, uomini e donne, nobili e plebei, pii e blasfemi.

E tutti, lungo la via per Canterbury, hanno il diritto di dire la loro se in grado di non annoiare.

Pasquale Sbrizzi

(1) CHAUCER G., I racconti di Canterbury, a cura di E.BARISONE, Introduzione, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2000.

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