La storia di Vivian Maier, una vita per la fotografia

La storia di Vivian Maier, una vita per la fotografia

Vivian Maier nasce a New York, giorno 1 febbraio del 1926. Attualmente è una degli artisti più importanti al mondo, esponente della street photography, che ha cambiato per sempre il modo di concepire la fotografia. Ma ha vissuto la sua vita completamente da sola, nell’anonimato, lontana da mostre ed esposizioni.

Fotografie di strada

Le foto di Vivian Maier più famose sono in bianco e nero, raccontano le città e le strade che ha vissuto, New York, Los Angeles e Chicago, in primis, ma anche quello che ha visto, lontano da montaggi e luci da studio. Sono fotografie attente ai dettagli, alla vita di tutti i giorni, narrata con i ritratti di bambini, anziani o attraverso mani che si sfiorano, sguardi, gente della strada, artisti, mendicanti, operai. Sono opere che mettono in scena la realtà.

Vivian Maier
Senza titolo, 1962

Ogni tanto immortalava anche se stessa, attraverso specchi o vetrine, una donna alta, dallo sguardo penetrante, sicuramente non molto aggraziata. Considerata “strana” poiché non parlava molto, aveva pochissimi amici, nessun amore, e trascorreva anche le vacanza da sola a scoprire nuovi orizzonti.

Un’artista particolare

Ma c’è una grande particolarità che la distingue da tutti: Vivian Maier non fotografava per gli altri ma per se stessa. Le sue opere, infatti, non sono mai state esposte o pubblicate quando lei era in vita, anzi molti rullini non sono mai stati sviluppati.

La sua vita è circondata da un alone di mistero così come la sua attività artistica. Vivian Maier era una semplice bambinaia di piccoli benestanti, che ha esercitato la sua professione, in mancanza di altro, per quarant’anni, ma che non ha mai abbandonato la sua macchina fotografica.

Una donna, indipendente e forte, che ci ha lasciato un dono inestimabile quando, in maniera compulsiva e con uno sguardo meticoloso, annotava tutto quello che vedeva e succedeva attraverso scatti e fogli, come se avesse una doppia vita nascosta. Basti pensare che nel suo bagno privato, a casa dei Gensburg, dove lavorò come tata per diciassette anni, aveva la sua camera oscura. Stampe, filmini, fotografie in bianco e nero, a colori, dai forti contrasti e chiaroscuri, prodotti prima con la Rolleiflex poi con KodaK e Leica erano tutti conservati in soffitta, dentro scatoloni, lontani da sguardi indiscreti.

Vivian Maier
New York, 1954

Una “fotografa ritrovata”

La vita della Maier non fu facile, nel 2008 ebbe un grave incidente, cadendo sul ghiaccio e battendo la testa. Subito fu trasferita in ospedale e poi in una casa di cura, dove morì il 21 aprile 2009.

Due anni prima, a causa di problemi economici ed affitti non pagati, i suoi bauli, con dentro le opere, la maggior parte rullini non sviluppati e negativi, vennero messi all’asta per poi essere acquistati (per 380 dollari) da John Maloof, uno scrittore e giornalista americano, che stava scrivendo un libro su Chicago ed era alla ricerca di ulteriori testimonianza. Sbalordito dall’arte di Vivian, non riuscì mai a mettersi in contatto con lei.

Per fortuna, per noi, Vivian Maier è una “fotografa ritrovata”.

Come scrive Marvin Heiferman, curatore e scrittore americano:

«Seppur scattate decenni or sono, le fotografie di Vivian Maier hanno molto da dire sul nostro presente. E in maniera profonda e inaspettata Maier si dedicò alla fotografia anima e corpo, la praticò con disciplina e usò questo linguaggio per dare struttura e senso alla propria vita conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle o utilizzarle per comunicare con il prossimo. Proprio come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi»

Valentina Certo