Categories: Pensiero scientifico

La casistica: una “disreputable word” per la bioetica

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Come ho anticipato nello scorso articolo, la casistica  è quella linea di pensiero secondo la quale in bioetica i casi avrebbero la priorità sui principi. Tale linea di pensiero, inaugurata nel 1988 da Albert Jonsen e Stephen Toulmin con la pubblicazione di The Abuse of casuistry. A history of moral reasoning, rifiuta l’etica dei principi.

In The Tyranny of principles (1988), Toulmin considerava il dibattito etico statunitense bloccato in un “excess of generality“, un eccesso di genericità.

Da una parte gli strenui difensori dei “matters of principles“, ovvero delle questioni di principio, incorrono nel dogmatismo. Dall’altra chi propone di scardinare l’etica e i suoi punti fermi incorre in un relativismo che potrebbe  ammutolire i valori oggettivi. Sembra che la casistica sia uno dei modi con cui si può definire il relativismo e che pertanto sia da condannare. Eppure essa potrebbe anche rivelarsi la degna palladina di una virtuosa diversità personale, culturale e sociale.

In The abuse of casuistry possiamo leggere di come la casistica abbia avuto fin dal principio un nome che reca in sé una connotazione spregiativa. In inglese il termine è infatti casuistry. Il suffisso “–ry” lo inserisce di diritto nelle disreputable words, quelle parole che, letteralmente, non hanno una buona fama. Per intenderci meglio, tra queste rientra anche “sophistry” (e non è un mistero che i sofismi non godano di buona fama in filosofia).

La casistica cristiana

La prima opera di casistica risale al XIII secolo ed è la Summa de casibus poenitentialibus, del domenicano san Raimondo di Peñafort. Quest’opera era una sorta di manuale destinato ai confessori. La casistica in senso stretto si sviluppò a partire dall’XI secolo e fiorì nel corso dei secoli successivi. Fino al XVIII si strutturò come elaborazione di soluzioni a casi morali particolari alla luce degli insegnamenti provenienti dalla teologia, dal diritto canonico e dai trattati devozionali. La casistica cristiana sorse come guida per l’applicazione dei principi etici generali ma finì, secondo molti, per fornire una serie di scusanti che indebolirono la forza e la serietà dei principi morali.  L’obiettivo era una maggiore misericordia perso i peccatori così da ridurne la colpa e conseguentemente la pena.

Fortemente  critico verso questo approccio fu Blaise Pascal, che nelle Lettere Provinciali, in polemica con i gesuiti, affermò che esso erodeva la prescrittività dei principi, dato che era sempre possibile trovare cavillosità e sofismi che li invalidassero. Al pari di Pascal, Adam Smith in Teoria dei sentimenti morali affermò che la casistica, creando continue scappatoie per mettere a posto la nostra “coscienza dolorante”, incoraggiava un’eccessiva indulgenza verso noi stessi.

La casistica contemporanea

Jonsen e Toulmin si distaccano dall’accezione tradizionale di casistica. La casistica contemporanea deriva dal sentore che l’etica dei principi stia per vivere una grossa crisi e dall’insoddisfazione per l’etica teorica convenzionale.

Nella casistica contemporanea il ragionamento morale viene considerato una riflessione pratica in cui i singoli casi rivestono una grossa importanza per il giudizio, come nella medicina e nel diritto. Così come l’esame di un caso clinico è condotto alla luce di casi simili presentatisi all’esperienza del medico, il giudizio morale su una situazione trova fondamento nell’analogia coi casi simili.

Da una parte in questo modo il “singolo”, con la sua peculiare storia esistenziale ed emotiva potrebbe avere più spazio. Dall’altro se il metro di giudizio è l’analogia c’è il rischio che il medico si omologhi  troppo ai casi precedenti o che la bioetica si avvicini troppo ai metodi delle scienze della natura. Inoltre resta irriflesso l’interrogativo sul ruolo della teoria morale in bioetica.

I principi assoluti e inviolabili, sacri come solo una divinità può esserlo, possono generare etiche poco critiche. Un’etica poco critica può a sua volta facilmente diventare un’etica “per sentito dire”, che ha cristallizzato le risposte alle sue antiche domande. John Stuart Mill in L’utilitarismo aveva avanzato questi timori in merito alla religione cristiana, una religione così consolidata che non viene più messa in dubbio. In Mill questa non è una vera e propria critica al cristianesimo ma semplicemente il destino di ogni religione secolare, che a un certo punto diventa ereditata e non più pensata.

Che l’etica si trovi anch’essa a questo punto? I casi, ovvero gli individui singoli, possono davvero essere il luogo della certezza morale? Ai posteri l’ardua sentenza.

Bibliografia

Lecaldano E., Dizionario di bioetica, Laterza, Roma-Bari, 2007

Jonsen A.- Toulmin S., The abuse of casuistry. A history of moral reasoning, University of California press, 1988.

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Rita Obliato

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