Uno, nessuno e centomila è l’ultimo romanzo di Luigi Pirandello, considerato alla stregua di un romanzo testamentario. Come lui stesso dirà: “c’è la sintesi completa di tutto ciò che ho fatto e che farò“. Infatti è, tra tutti, il romanzo che riesce a sintetizzare il pensiero dell’autore in maniera più completa.
Uno, nessuno e centomila fu iniziato già nel 1909. Tuttavia, pubblicato soltanto nel 1925 come romanzo a puntate per la rivista “La Fiera Letteraria”, vedrà la luce come unico volume nel 1926.
Luigi Pirandello, in una lettera definisce Uno, nessuno e centomila il romanzo “più amaro di tutti, il più umoristico, di scomposizione della vita“.
Vitangelo Moscarda è un uomo comune, un usuraio, un marito che non si era mai accorto di avere il naso storto. Dopo questo banale commento della moglie, Vitangelo Moscarda vede apparire nello specchio un nuovo sé. Un Vitangelo Moscarda con il naso storto, che non aveva mai conosciuto prima.
Il protagonista inizia così il racconto della frantumazione della propria identità. Moscarda comprende di non essere uno, e alla fine del primo libro narra il suo proposito di conoscere tutti i suoi doppi, e di scomporne la forma.
L’autoanalisi dell’inetto porta Moscarda alla lotta contro la prigionia delle forme di alcuni dei suoi più temibili doppi, come “il lusso di bontà” del padre e ” buon figliuolo feroce” dei suoi concittadini; per auto-rigenerarsi e riconoscersi nella propria più profonda identità, decide di uccidere il più noto dei suoi doppi: il Moscarda usuraio.
L’esito però è diverso da quello sperato. Moscarda, invece di tramutarsi agli occhi di tutti da usuraio a benefattore, assume la forma di pazzo.
La follia è per Pirandello lo strumento di contestazione per eccellenza delle forme fasulle della vita sociale, l’arma che fa esplodere convenzioni e rituali, riducendoli all’assurdo.
Pazzia, è quella di Vitangelo Mostarda, di non voler essere prigioniero di una, nessuna e centomila maschere. Eppure, nell’ideologia pirandelliana, questa pazzia è l’unico modo per aderire alla vita.
Alla base del pensiero pirandelliano c’è una concezione vitalistica della realtà: la realtà tutta è vita, perpetuo movimento vitale, inteso come eterno divenire.
Tutto ciò che si distacca da queste incessanti trasformazione per darsi una forma individuale e distinta, inizia a morire. Questo è quello che fa l’uomo: si distacca dall’universale, assume una forma individuale entro cui si costringe, indossa una maschera.
Ma non esiste la sola forma che l’io dà a se stesso. Nella società esistono anche le forme che ogni io da a tutti gli altri .
In questa moltiplicazione l’io perde la sua individualità, da uno diviene centomila e quindi nessuno.
Nadia Rosato
Fonti: Luigi Pirandello; Uno, nessuno e centomila
Borsellino, Introduzione, in Uno, nessuno e centomila, Garzanti Editore s.p.a., Milano 1993
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