Montefusco: l’antico carcere infernale dell’Irpinia

Montefusco è un piccolo paese della provincia di Avellino, si trova a 700 mt. sul livello del mare ed è un  borgo antichissimo posizionato tra l’Irpinia ed il Sannio. Noto per la storia che lo lega al Carcere Borbonico, sorge su di un’altura da cui è possibile godere di panorami spettacolari che si aprono sulla valle del Calore fino a toccare il Molise, la Puglia e la Basilicata.

Luogo di antiche tradizioni artigianali ed eno-gastronomiche come la lavorazione del tombolo e la produzione di olio extra-vergine DOP e vini pregiati (il greco di Tufo), esso ha ospitato grandi personalità del passato, tra cui si ricordano Silvio Pellico, la Beata Teresa e San Pio da Pietrelcina.

Devoto al Santo protettore Egidio, conta circa 1600 abitanti e, nel suo piccolo, offre un percorso culturale arricchito da chiese e monumenti; basti pensare: la Chiesa di San Giovanni del Vaglio, il Monastero di Santa Caterina da Siena, l’Oratorio di San Giacomo, il Convento dei Cappuccini, la Chiesa di San Bartolomeo ed il famoso Castello Longobardo.

Quest’ultimo, adibito nell’800 a sede del più importante Carcere Borbonico, è passato alla storia come lo “Spielberg d’Irpinia” per le atroci torture qui consumate  che portarono Montefusco ad essere concepito come un luogo infernale, da cui nessuno sarebbe uscito vivo, tanto da riassumerlo nel detto dialettale: “Chi trase a Montefusco e pò se nn’esce pò di ca ‘nterra nata vota nasce” ( Chi entra a Montefusco e riesce ad uscirne vivo può dire di essere rinato per una seconda volta sulla terra).

Il toponimo “Montefusco”, secondo una prima ipotesi, deriverebbe da “Monte Fosco” nel senso di nebbioso, tenebroso ed oscuro dato che per la sua altitudine spesso è circondato da nuvole e bruma; qualcun altro, invece, dà a “fosco” un’accezione differente riconducibile all’idea di luogo maledetto, empio, diabolico e peccaminoso dati i delitti qui perpetrati.

Non a caso, per poter giungere in questo posto si deve inevitabilmente attraversare paesi che hanno nomi di santi (Santa Paolina, San Nazzaro, Santa Lucia, Sant’Angelo a Cupolo etc.), quasi come se prima di arrivare a destinazione ci fosse una misteriosa necessità di proteggersi entrando e uscendo dall’abitato. Una tesi più recente, inoltre, farebbe derivare il nome da “Mons Fusculi” (Monte di Foscolo), Foscolo sarebbe un personaggio romano che avrebbe occupato per primo il poggio e fondato il castello.

Montefusco: tra barbarie e crudeltà del passato

Montefusco
Carceri borboniche-Montefusco (Av)

Montefusco attualmente è un piccolo paese che visto da lontano appare come un presepe ma, un tempo, fu città capitale del Principato Ultra fino al 1806 e a cui lo storico Eliseo Danza dedicò i suoi studi racchiusi nel “Cronologia di Montefusco”.

Secondo alcuni, fondata dai Longobardi nel VII sec., nasce come roccaforte e punto di vedetta; secondo altri, riconducibile alla “Falsulae” menzionata più volte da Tito Livio nel racconto della seconda guerra punica, sarebbe stata, in un secondo tempo, occupata dai Longobardi nell’alto  Medioevo o da una colonia di Saraceni.

Sorge come “castrum” (fortezza) per divenire solo successivamente “civitas”; una città che fu sempre cara agli Angioini e agli Aragonesi per la grande devozione e fedeltà verso i sovrani.

Tra il 1600 e il 1800, a Montefusco fu inserito un Tribunale Regio e per le feroci pene applicate sui condannati, il luogo passò alla storia come una delle prigioni più crudeli e spietate dell’Irpinia. Delitti come: rapine, omicidi, atti di brigantaggio, violenze carnali, furti, incendi, incesti erano puniti con la pena capitale mediante impiccagione. Le esecuzioni dei prigionieri destinati al patibolo avvenivano presso località Serra, fuori dalle mura cittadine, sulla strada regia delle Puglie e i loro cadaveri venivano sepolti secondo l’uso cristiano. In seguito all’impiccagione, spesso, il corpo poteva anche essere smembrato e squartato con affissione pubblica di singole parti, al fine di ammonire le folle. Queste orribili uccisioni avvenivano alla presenza di tutta la popolazione, secondo un macabro cerimoniale mirato a ostentare il trionfo della Giustizia sulle umane aberrazioni. Nelle carceri, prima di andare a morire, al condannato venivano concessi gli ultimi conforti religiosi, per essere poi condotto al capestro con un corteo aperto da un trombettiere che gridava il nome del detenuto e l’autorità del Tribunale.

Di quel passato intriso di violenza e brutalità, a Montefusco, resta la prigione come testimonianza di una storia densa delle più efferate crudeltà, che fu chiusa definitivamente nel 1923 e dichiarata Monumento Nazionale nel 1928.

Durante le due Guerre Mondiali, il paese fu luogo di esilio, qui venivano confinati tutti coloro che si opponevano al Regime e le antiche segrete del castello divennero galere.

Montefusco: curiosità e l’arte del tombolo

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Tradizione del tombolo

Montefusco gode di fama anche grazie al suo noto bosco, risorsa naturalistica che arricchisce il territorio e che è stato riconosciuto come Sito d’Importanza Comunitaria, oltre che per la tradizione della lavorazione del Tombolo.

Il tombolo, detto anche “pezzillo”, è uno strumento utilizzato per lavorare tessuti (in particolar modo lino e cotone) attraverso una specifica tecnica, ed è una forma preziosa di arte ed artigianato che sarebbe qui stata introdotta durante la dominazione Sveva, o quando Manfredi s’insediò con una colonia di turchi, o ancora, con gli Aragonesi. Infatti nel 1476, Eleonora Beatrice d’Aragona avrebbe approntato un merletto a tombolo con le sue damigelle da donare alla regina d’Ungheria. Ciò non esclude, però, che questa tecnica creativa possa essere anche stata diffusa a Montefusco da donne abruzzesi che ivi si sono trasferite nel corso degli anni, portando l’uso dei fuselli nell’ambito del filato.

Più sottile era la lavorazione, più il manufatto acquistava valore e, tra questi potevano essercene alcuni anche realizzati con fili d’oro e d’argento come quelli delle suore Domenicane, i cui lavori di ricamo e tombolo erano talmente pregiati da essere destinati in regalo ai Pontefici.

Pasqualina Giusto

Fonte fotografie: Internet