Mastuggiorgio: un mestiere tra dialetto e folklore

L’aspetta mastuggiorgio! Quante volte abbiamo sentito questa esclamazione. Quando si ha a che fare per la prima volta con un napoletano doc si resta sempre un po’ basiti. La disomogeneità di questa popolazione rappresenta un vero e proprio prodotto artistico, così come la differenziazione dialettale della Campania costituisce un fatto eccezionale del nostro patrimonio culturale. Ciò che sorprende maggiormente è la notevole presenza dei proverbi all’interno del lessico napoletano. Come scrive il professor Francesco Montuori, docente universitario di Linguistica Italiana presso il Dipartimento di  Studi umanistici di Napoli, i proverbi sono:

[…] quelle sentenze che la tradizione orale ha strutturato e diffuso allo scopo di trasmettere un corpus di conoscenze e di regole […].

Nel lessico dei proverbi, sottolinea ancora Montuori, si osserva una conservazione di parole che tendono a cadere in disuso. Tuttavia, la “resistenza” di questi lemmi non sempre garantisce una spiegazione del proverbio. Per avere una parziale conoscenza del contesto d’uso nel quale il proverbio è nato e si è diffuso, si ricorre a testimonianze letterarie, di cui il napoletano può vantare una lunga tradizione.

In questo contesto, tenteremo di risolvere (per quanto è nelle nostre facoltà) l’enigmatica quaestio che spesso segue un detto napoletano: perché si dice così?

Là ce sta Mastuggiorgio ca t’addrizza!

Nel linguaggio comune, o’ mastuggiorgio (Masto Giorgio/Mastrogiorgio/Mastroggiorgio) è il “castigamatti”, ossia l’infermiere che negli ospedali per malati mentali aveva il compito di sorvegliare questi pazienti particolari. Oggi il termine è anche sinonimo di “prepotente”, “arrogante”, o sta ad indicare colui che deve sedare una rissa. Nel Vocabolario di Ferdinando Galiani (1789), alla voce Masto Giorgio leggiamo:

Nome d’un tanto illustre, quanto crudele correttor di matti al grande Ospedale degl’Incurabili, divenuto generico di tutti quei ch’esercitano sì fatto mestiere. Pare che quell’uomo necessario alla repubblica, se non inventore, almeno ristoratore dello specifico di un morbo ritenuto incurabile (specifico voluto indi applicare, ma non con egual successo, ad altri mali nell’età nostra) abbia fiorito dopo la metà del secolo passato.

Dunque, Galiani fa riferimento ad una persona realmente esistita nel XVII secolo, che svolgeva il mestiere di medico o infermiere dei malati mentali presso l’Ospedale degli Incurabili. Nel Vocabolario di Basilio Puoti (1850) “mastogiorgio emastuggiorgio mastrogiorgio” è colui che ha in custodia i matti; tale anche in Volpe (1869). In D’Ambra (1873) è assente il lemma, ma alla voce “chiazzata” (piazzata, grido) leggiamo il detto Te conzigne deritto a masto Giorgio, ad indicare come questo personaggio sia collegato a manifestazioni di pazzia. Mastuggiorgio è il custode dei matti anche nel Vocabolario di Andreoli (1887).

Buonocore nel suo studio Mastrogiorgio nella storia della cura della pazzia (1907) cercava di identificare il personaggio con la figura di Giorgio Cattaneo, che avrebbe operato nel nosocomio proprio tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo. La celebrità di Mastro Giorgio Cattaneo riguardava i metodi, probabilmente da lui inventati, con i quali trattava i malati. La pazzia era ritenuta una conseguenza della concentrazione di troppa forza accumulata nei centri nervosi. Per tale motivo, si tendeva a sfinire fisicamente il paziente facendogli, solitamente, girare una pesantissima ruota (che all’epoca era presente nel cortile dell’Ospedale) per attingere l’acqua da un profondo pozzo, subendo continuamente energiche battiture con una frusta, detta cignone; infine, il malato era costretto a mangiare cento uova fresche, forse con l’intento di riacquistare il senno perduto.

La figura di Giorgio Cattaneo dovette colpire così tanto l’immaginario popolare, che entrò a far parte del folklore e del dialetto partenopeo. Infatti, ancora oggi si usa indicare con mastuggiorgio colui che si occupa della cura e della custodia dei pazzi, e con l’espressione “l’aspetta mastuggiorgio” si tende, solitamente, ad indicare un soggetto che mostra segni di follia, per cui necessita di essere rinchiuso in manicomio. Il termine occorre anche in alcuni testi letterari. In primo luogo, lo troviamo in un canto popolare del Seicento, ad indicare un uomo capace di riportare al senno:

Comme te voglio amà, ca sî ‘na pazza?

Nun tiene ‘na parola de fermezza…

Vatténne a Nnincuràbbele pe pazza, /

là ce sta Mastu Giorgio ca t’addrizza!

A Mastuggiorgio fa ricorso Gianbattista Valentino nel suo Napole scontraffatto:

Deh, mastro Giorgio mio, dotto e saputo,

che tanta cape tuoste haje addomate,

si nun te muove a dare quarch’ajuto,

nuje simmo tutte quante arroinate.

Come non citare il mastuggiorgio della poesia Si è Rosa ca mme vò dell’illustre Salvatore Di Giacomo, nella quale il poeta chiede di essere curato con misure estreme per la sua malattia d’amore:

Nzerrateme, nzerrateme addò stanno

tant’ ate, comm’ a me, guardate e nchiuse,

addò passano ’a vita, sbarianno,

pazze cuiete e pazze furiuse.

Nchiuditeme pè sempe ‘int’ a sti mmura,

e ’o mastuggiorgio mettiteme allato;

p’ ’o mmale ca tengo io ce vo’ cchiù cura:

io so’ stato traduto e abbandunato.

Come ultimo (ma non ultimo) riferimento letterario si riporta una strofa della canzone ‘O guappo ‘nnammurato di Raffaele Viviani, nella quale mastuggiorgio è ancora una volta associato ad una condizione di follia mentale:

Mm’hê ‘ncarugnuto cu chist’uocchie belle,

mm’hê fatto addeventá nu vile ‘e core,

n’ommo ‘e lignammo: nun só’ cchiù Tatore,

‘o mastuggiorgio ‘e vasci’â Sanitá!…

Nun só’ cchiù io, mannaggi”a libbertá!

Dunque, i proverbi posso essere la prova della vitalità dei dialetti, i quali conservano in sé frammenti della tradizione, accogliendo anche neologismi e usi giovanili, essendo utilizzati, nella maggior parte dei casi, in contesti quotidiani. Tuttavia, con questa breve rassegna sulle occorrenze del lemma mastuggiorgio, si è visto come il dialetto sia impiegato anche in testi letterari, spesso quale testimonianza della sua evoluzione.

Giovannina Molaro

Bibliografia:

F. Montuori, Sui proverbi della Campania, in La fortuna dei proverbi, identità dei popoli, Roma, 2014

S. Di Giacomo, Le poesie e le novelle, a cura di F. Flora e M. Vinciguerra, Mondadori, 1971

F. Galiani, Vocabolario delle parole del dialetto napoletano, Napoli, Porcelli editore,1798

R. D’Ambra, Vocabolario napolitano – toscano domestico di arti e mestieri, a spese dell’autore, 1873

R. Andreoli, Vocabolario napolitano – italiano, Torino, Paravia, 1887

B. Puoti, Vocabolario domestico napoletano e toscano, Napoli, 1850

P.P. Volpe, Vocabolario napolitano – italiano: tascabile compilato sui dizionari antichi e moderni, Napoli, G. Sarracino, 1869