La grande scommessa: il film ambientato prima della crisi

La grande scommessa diretto da Adam McKay, candidato al premio Oscar per la regia, con Christian Bale, Brad Pitt, Ryan Gosling e Steve Carell, è uscito nelle sale italiane il 7 gennaio 2016. La pellicola s’ispira al best-seller di Michael Lewis The Big Short: Inside the Doomsday Machine ed è la storia della crisi finanziaria del 2007-2010, scoppiata in America e dilagata al punto da compromettere l’intero equilibrio economico mondiale.

Nel panorama cinematografico d’inizio anno, caratterizzato da trame seducenti (Carol), introspezioni crude (The Revenant), narrazioni sognanti e toccanti (Il piccolo principe) e colossi della letteratura (Macbeth), The Big Short (La grande scommessa) si è immediatamente distinto rappresentando un’alternativa realistica, ponendosi come resoconto e testimonianza di un avvenimento storico, che ha segnato la nostra società.

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Tutto inizia a Wall Street, con immagini che delineano un giorno comune. Siamo in un ufficio finanziario dove lavora uno dei protagonisti, Michael Burry, interpretato da Christian Bale, manager di un hedgefound (un fondo comune d’investimento o fondo speculativo). Michael ha un’intuizione geniale: scopre che il punto debole del sistema economico americano è il mercato immobiliare e che si potrebbe scommettere contro di esso per ricavarne una colossale somma di denaro. Una previsione del tutto inaspettata e quasi inconcepibile, in quanto, il mercato immobiliare sembrava più solido che mai! Perché scommettere, quindi, contro la roccaforte dell’economia, perché compiere questa mossa così azzardata? Per la possibilità di trarne degli enormi profitti economici, sembra questa la ragione più evidente, che spinge Michael ad agire, ma forse sotto c’è qualcosa di più.

L’intenzione di svelare l’instabilità e la corruzione che è alla base di questo sistema. Le fondamenta dell’economia (delle banche e della finanza) sono, in realtà, fragili. Tutto ciò che appare affidabile, stabile, tutto ciò che è venduto come un affare sicuro e vantaggioso, come un prodotto di qualità, è in realtà l’esatto contrario. Alla base dei meccanismi economici vi è un’illusione, o peggio, un consapevole inganno e chi sa guardare oltre quest’apparenza, come il nostro protagonista, non può che avere la ferma convinzione dell’inevitabile crollo del mercato e puntare contro di esso.

La decisione, quindi, è presa. Michael Burry crea dei Credit Default Swap con le banche più potenti d’America, ovvero, dei contratti che in un paio d’anni gli avrebbero assicurato interessi altissimi. Un altro gruppo d’investitori fiuta l’affare: Mark Baum, interpretato da Steve Carrel, e due giovani imprenditori, Charlie Geller e Jamie Shipley. Ad aiutarli interviene Ben Rickert, interpretato da Brad Pitt, ex-banchiere disilluso e disgustato dall’ipocrisia di questa società, dove il denaro e il potere mascherano la disonestà e la mancanza di valori.

L’esito della vicenda è il collasso economico, come previsto, ma questo causa molta più sofferenza che soddisfazione. Gli stessi protagonisti, che ne escono miliardari, sono profondamente amareggiati di fronte alla realtà dei fatti: la loro ricchezza è scaturita dalla rovina di milioni di famiglie, quasi nessuno fra i banchieri e i finanzieri viene arrestato, e nessuno di loro perde il lavoro o s’impoverisce. Conclusione che lascia l’amaro in bocca, a coloro che, consapevoli di vivere in un sistema corrotto e fraudolento, hanno provato a cambiare le cose ma non ci sono riusciti come speravano.

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La grande scommessa è anche punteggiato da una sorta d’ironia, percepibile negli spezzoni in cui il regista sceglie di affidare le spiegazioni più tecniche a Margot Robbie o Selena Gomez, riprese in contesti frivoli e sensuali, che riportano l’attenzione solo sull’apparrenza e non sulla sostanza delle loro parole. Lo spettatore resta in uno stato d’incomprensione, voluta dallo stesso regista, che utilizza termini finanziari sempre più specifici, e quindi non alla portata di tutti, veloci cambi di scena e scambi verbali troppo incalzanti.

In conclusione, la scelta stessa di fare un film del genere sulla crisi finanziaria, può definirsi una scommessa. Una scommessa verso il pubblico di spettatori, che sarà, per la maggior parte del film, consapevole di non aver compreso a fondo e del tutto il messaggio. Quando si riaccendono le luci in sala le reazioni possono essere due: etichettarlo come un film “per pochi”, esperti del mestiere (e rimpiangere di aver acquistato il biglietto), oppure, riflettere sul fatto che siamo stati tutti parte di questa storia, anche se come spettatori inconsapevoli e inattivi. Un film che vale la pena vedere e che lascia il desiderio di provare a scavare più a fondo la realtà che ci circonda, con le sue dinamiche e i suoi meccanismi.

Francesca Rybcenko

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