Poliedrica, provocatrice, precorritrice importante sia delle pratiche performative che dell’installazione ambientale, Rebecca Horn dagli anni ’70 ad oggi rimane una delle realtà dell’arte contemporanea più vive ed interessanti.
Nata nel 1944 in un piccola cittadina della Germania, Michelstadt, fin dalla tenera età si è dedicata al disegno incoraggiata dalla sua governante rumena.
L’arte è da subito diventata la sua ossessione, vedendola una forma di espressione molto più incisiva e diretta rispetto a quella orale e soprattutto considerandola l’unico modo per combattere la solitudine.
A causa di vicissitudini traumatiche susseguitesi rapidamente nel corso di pochi anni, quali la morte di entrambi i genitori e una malattia respiratoria che l’ha portata ad un lungo ricovero, è ancora l’arte il suo rifugio, la forma più autentica del suo manifestarsi, sia dal punto di vista espressivo come specchio dei suoi pensieri, che da quello corporale come materia concreta e prolungamento di se stessa, permettendole appunto di produrre delle materiali estensioni fisiche, simbolo della propria emotività taciuta.
Da allora la Horn non si è mai fermata creando un lavoro che è come un’unica opera dal crescente flusso. Ha toccato trasversalmente qualunque disciplina artistica che le permettesse di spaziare e manifestare la sua necessità di comunicazione passando dalla performance alla scultura, senza tralasciare fotografia, installazioni spaziali, disegni, poesia, fino a film e opera lirica.
Attualmente vive a Berlino, dove dal 1989 insegna all’Accademia, ma continua a lavorare soprattutto tra New York e Parigi e troppe poche volte viene ricordato che è stata la prima donna a ricevere il Carnegie Prize e a essere designata Trägerin des Kaiserrings di Goslar, il prestigioso riconoscimento per le ricerche estetiche.
I temi affrontati nelle suo opere vertono sempre intorno alla sua prima ricerca che è appunto la dimensione del corpo e il suo equilibrio nello spazio, ma con il tempo le sfumature sono aumentate abbracciando tutte le tipiche emozionalità dell’animo umano: l’amore, la salute fisica e psichica, il significato delle cose, la caducità del tempo. Il suo è un elaborato discorso che vede intrecciarsi natura, tecnologia, meccanica, cultura e soprattutto ricerca mentale e spirituale.
Negli ultimi lavori proposti la Horn non presenta come soggetto esplicito il corpo umano, ruolo che viene lasciato allo spettatore esterno, ma sculture cinetiche che assumono vita propria. Senza una regola, come in una performance, le opere si muovono, cambiano la loro posizione e il loro aspetto cercando di comunicare con chi le circonda.
Le opere della Horn, sempre coinvolgenti e un po’ misteriose nei significati, lasciano quel margine di libera interpretazione dettata proprio da quelle corde di emotività che riescono ad essere raggiunte.
Michela Sellitto