Cimitero delle monache di Ischia: il senso della morte

La pratica della doppia sepoltura era molto diffusa in Campania. In particolare, ad Ischia ritroviamo una delle testimonianze più interessanti di questo fenomeno: il cimitero delle monache.

L’uomo e il suo atteggiamento verso la morte

La morte è l’unica esperienza umana di cui non possediamo un ricordo: la viviamo attraverso gli altri, percependo la fine come un distacco dalla realtà. Il dolore per la morte di una persona amata non ci permette di riflettere sulla caducità dell’esistenza, fisicamente parlando. Il corpo è un involucro che dopo la morte subisce un processo di decomposizione, tale che la sola idea della sua “fine” potrebbe permettere di accettare consapevolmente la morte come la conclusione di un percorso. Ma l’uomo è soprattutto un recipiente di sentimenti e il corpo non è il vetro che separa il dentro dal fuori, bensì un’ancóra che tiene legati alla realtà, al presente.

cimitero delle monache

Nel corso dei secoli, gli atteggiamenti dell’uomo verso la morte sono cambiati. Nel Medioevo era diffuso un certo fatalismo: la morte veniva accettata come parte del destino di ogni uomo. L’ubicazione dei cimiteri accanto alle chiese testimoniava l’inseparabilità tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Nel Settecento, il secolo dei lumi, si avvertiva una “nuova ripugnanza ad accettare la scomparsa della persona cara”, tanto che si diffuse l’usanza di costruire tombe singole o cappelle familiari, che simboleggiavano il bisogno di visitare il defunto in un luogo ben definito.

La morte è un evento sociale, che mette in moto una serie di rituali funerari. Lo studioso Robert Hertz pone l’attenzione sui metodi attraverso i quali le popolazioni si “liberavano” del corpo del defunto. Un gesuita francese, padre Joseph-François Lafitau, così scriveva ricordando i propri viaggi nei paesi di missione:

[…] presso molte popolazioni selvagge i corpi morti sono inizialmente collocati in un sepolcro come in un deposito provvisorio, solo dopo un certo tempo vengono celebrati nuovi funerali attraverso i quali, con nuovi riti funebri, si estingue il debito dovuto al defunto.

cimitero delle monache
Anne-Louis Girodet de Roussy-Trioson I funerali di Atala (1808) Museo del Louvre

Hertz si occupò principalmente della tradizione della doppia sepoltura, un processo attraverso il quale l’individuo “manipola” la morte, dilatando cronologicamente il momento della separazione del defunto dalla comunità. Il Meridione e, in particolare, Napoli, conserva le testimonianze della pratica della doppia sepoltura, costituite dalla presenza di putridarium, comunemente noti come scolatoi o terresante.

Una particolare prova di questa tradizione si trova ad Ischia, in un ambiente sotterraneo molto suggestivo, nel quale si ha la sensazione di stare faccia a faccia con la morte.

Cimitero delle monache: una riflessione sulla caducità della vita

L’imponente Castello Aragonese, simbolo dell’isola d’Ischia, ospita sul lato di ponente, la Chiesa dell’Immacolata e il contiguo Convento delle Clarisse. Fondato nel 1575 dalla vedova D’Avalos, che si stanziò nella struttura con quaranta monache di nobili origini, il Convento nasconde nei suoi sotterranei il cosiddetto Cimitero delle Clarisse.

cimitero delle monache
Particolare del Castello Aragonese. Cimitero delle monache

Si tratta di un ambiente caratterizzato dalla presenza di sedili in muratura, detti scolatoi, sui quali venivano posizionati i corpi delle monache defunte. Il corpo, nella fase della sua decomposizione, rilascia dei liquidi che, qui, scendevano dai buchi degli scolatoi per essere raccolti in vasi d’argilla. Le salme essiccate ricevevano la sepoltura definitiva negli ossari. Le monache erano solite fare visita ogni giorno alle sorelle defunte, per meditare sulla morte e sulla caducità dell’esistenza. Una sorta di monito visivo del passo biblico “polvere tu sei e in polvere tornerai!” (Genesi 3, 19). Assistere alle fasi di decomposizione del cadavere doveva far riflettere sulla fragilità del corpo e sull’importanza di curare e nutrire lo spirito. Il Cimitero delle Clarisse è una sorta di Purgatorio, uno spazio intermedio tra la vita e la morte, e la scolatura era il rituale di passaggio dell’anima prima di ascendere al Regno Celeste.

cimitero delle monache
Cimitero delle monache
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Cimitero delle monache. Scolatoio

Dal punto di vista simbolico, la sedia indica una particolare postura che richiama un rapporto con se stessi; inoltre, la sedia è associata alle figure di potere o di guida, ma anche alla femminilità e alla fertilità (si ricordino le Madri di Capua). In questo contesto, il corpo posto sulla sedia, nell’atto di sedere, ritrova il proprio contatto con se stesso, lontano dalle passioni e dagli impulsi. La scolatura degli umori indica la purificazione del corpo dalla carne, l’aspetto corruttibile dell’esistenza umana. Infine, le ossa rappresentano ciò che siamo, ciò che resta della vita che si è appena conclusa. Non è un caso che nell’antichità la colonna vertebrale veniva spesso associata alla simbologia dell’Albero della Vita.

Il Convento venne chiuso nel 1810 e i cadaveri trasferiti al cimitero di Ischia. La pratica della scolatura restò in uso, soprattutto nel Meridione, fino al XX secolo, quando interventi più rigorosi per l’igiene la proibirono del tutto.

La doppia sepoltura nella cultura contemporanea

Nel suo celebre Contributo, Hertz scrive:

l’idea di Purgatorio non è altro, infatti, che la trasposizione in linguaggio etico della nozione di un periodo preparatorio che precede la liberazione finale. Le sofferenze dell’anima durante il periodo intermedio appaiono dapprima come la conseguenza dello stadio transitorio in cui essa si trova. In uno stadio successivo dell’evoluzione religiosa, esse sono concepite come il proseguimento della necessaria espiazione dei peccati commessi durante l’esistenza terrena

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Terrasanta, Chiesa del Purgatorio ad Arco

Insieme agli scolatoi Napoli (e la Campania in generale) conservava una antica tradizione: le terresante. Si tratta di vasche o stanze senza pavimentazione, nelle quali il defunto veniva seppellito ricoperto da pochi centimetri di terra. Dopo un certo periodo, le ossa venivano recuperate e ripulite, per essere destinate alla sepoltura definitiva. Con essa la fine era realmente avvenuta. Nella fase successiva, ci si occupa esclusivamente della cura dell’anima attraverso rituali e suffragi commemorativi.

Nella cultura contemporanea la doppia sepoltura è andata via via scomparendo. Tuttavia, in alcuni centri urbani, dove le tradizioni invece di sparire si adattano ai tempi, sopravvive una variante di questa pratica. Dopo la sepoltura tradizionale del defunto sotto la terra, a distanza di un periodo tra i cinque e i dieci anni, si è soliti riesumare il corpo e “purificare” le ossa, che vengono poste in una cassettina insieme agli oggetti più cari tenuti in vita, destinandole alla loro collocazione definitiva.

Puozze sculà!

Il cimitero delle monache di Ischia non è l’unico esempio di doppia sepoltura. Napoli conserva diverse cantarelle o scolatoi: dalle nicchie a forma di sedile presenti nelle catacombe di San Gaudioso, al seminterrato scoperto fra via Santa Maria Antesaecula e vico Maresca. Scrive Galante nella sua Guida sacra della città di Napoli:

di qui presso il popolo nostro “scolare” vale “morire”

La forte presenza degli scolatoi sul suolo napoletano è testimoniata anche dal detto Puozze sculà!, ossia Possa tu morire e lasciato scolare, che non equivale certo ad un augurio.

Ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire. (L. A. Seneca)

cimitero delle monache

Giovannina Molaro

Bibliografia:

Gennaro Aspreno Galante, Guida sacra della città di Napoli, Napoli, Fibreno, 1872. Ed. consultata: (a cura di Nicola Spinosa), Napoli, Società editrice napoletana, 1985

Robert Hertz, Contributo alla rappresentazione collettiva della morte, 1907

Sitografia:

http://www.storiadigitale.it/book/e-moderna/la-morte-nei-secoli

http://bizzarrobazar.com/tag/scolatoi/