Luis Sepúlveda è sempre stato lo scrittore delle storie marginali. I suoi personaggi, di una forza avventurosa prorompente e di un impeto eroico e stupefacente nella loro quotidianità hanno colpito lettori di ogni angolo del mondo e di ogni età.
Basta pensare a due delle sue opere più famose, Diario di un killer sentimentale e Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare: lì uno spietato umanissimo sicario dell’ombra, qui due animali innocui e inosservati tra la frenesia di Amburgo sui quali lo scrittore focalizza la sua attenzione distogliendola da tutto il resto e insegnando a grandi e bambini come si ama.
Eppure, se si dovesse scegliere un’opera, una sola, che rappresentasse perfettamente l’attitudine di Sepúlveda a raccontare storie incredibili di uomini comuni, essa sarebbe Le rose di Atacama.
In un angolo del campo di concentramento, a un passo da dove si innalzavano gli infami forni crematori, nella ruvida superficie di una pietra, qualcuno, chi?, aveva inciso con l’aiuto di un coltello forse, o di un chiodo, la più drammatica delle proteste: “Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia”.
Il deserto di Atacama è situato nel nord del Cile, patria di Sepúlveda. È il più arido del mondo. Ma conosce vita.
Le nebbie che provengono dalla costa, infatti, rendono possibile la sopravvivenza di molte piante, ma – e qui c’è tutto lo straordinario miracolo della natura – solo sotto forma di semi: senza acqua, infatti, le piante non riescono a crescere né a riprodursi. I semi allora rimangono lì, anche per molti, molti anni, tra l’arida sabbia e le spaccature delle rocce.
Poi – non tutti gli anni, però, e ciò rende il tutto ancora più magico – , l’anticiclone del Pacifico si sposta al Nord trasportato dalle correnti, e piove. Bastano poche ore e poche gocce a quei semi silenziosi e pazienti per crescere, sbocciare: e quello che era stato per anni un paesaggio deserto e ben poco accogliente si trasforma in una splendida valle fiorita.
È breve la vita di una rosa di Atacama. Il sole implacabile gliela strappa poche ore dopo che ella è nata. Eppure, la sua stoica resistenza, la sua silenziosa pazienza raccontano in natura quello che troppo spesso accade tra gli uomini.
[…] ricordo che mi addormentai stanco di osservare le migliaia e migliaia di stelle che illuminano la notte del deserto, e all’alba del 31 marzo il mio amico mi scosse per svegliarmi. I sacchi a pelo erano fradici. Gli chiesi se avesse piovuto e Freddy rispose di sì, che aveva piovuto come quasi ogni 31 marzo nell’Atacama. Quando mi tirai su, vidi che il deserto era rosso, coperto da minuscoli fiori color sangue. – Eccole. Sono le rose del deserto, le rose di Atacama. Le piante sono sempre lì, sotto la terra salata. Le hanno viste gli antichi indios atacama, e poi gli inca, i conquistatori spagnoli, i soldati della guerra del Pacifico, gli operai del salnitro. Sono sempre lì e fioriscono una volta all’anno. A mezzogiorno il sole le avrà già calcinate.
Sepúlveda decide di raccontare proprio questo, di raccontare il ciclo di vita delle sconosciute, incrollabili rose d’Atacama. Fuor di metafora, trentacinque vite di uomini e donne eroici e sconosciuti, le cui storie, marginali nella Storia, trovano voce, grido, spazio nella narrazione.
Tanta è la letteratura che si propone di rendere eccezionali personaggi normali acuendone la loro umanità e dilatando la definizione di eroe e protagonista a quella di una vita vissuta nella resistenza delle prepotenze del mondo e della gente. Tuttavia, rari sono i suoi prodotti così riusciti come quello di Sepúlveda.
Al fil rouge che tiene insieme tutte le storie – il coraggio dimenticato, l’eroismo inosservato, la lotta strenua – si unisce una stupefacente capacità d’invenzione fantastica. In poco meno di duecento pagine, il lettore si troverà a solcare il Mare del Nord con un pirata del ‘400, nei boschi della Patagonia in compagnia di un ostinato argentino, in piena Amazzonia con un indio e i suoi amuleti, attraverso la Pampa argentina con un italiano e la sua valigia di dischi musicali, nei campi nazisti al fianco di due incrollabili bellissime donne cadute nell’oblio, nella gelida Lapponia a vivere la vita di un popolo speciale e dimenticato dal mondo.
E infine, lì, nel deserto d’Atacama, dove tutto riconduce e dove tutto trova senso, tra quei fiori forti e fieri sotto un sole distruttivo.
Beatrice Morra
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