“Zazie nel metro” di Queneau tra libro e cinema

Lo scrittore francese Raymond Queneau, celebrato come uno degli artisti più innovativi e poliedrici dell’ultimo secolo, nel 1959 pubblica il romanzo Zazie dans le métro, al culmine della propria fama.
Il romanzo riscuote grande successo presso il pubblico, ma la critica inizialmente si divide e fatica a coglierne intenti e metodologie: può essere definito romanzo un racconto che sembra farsi beffe della narrativa stessa, affidando alla voce di una spregiudicata ragazzina la disgregazione delle logiche della fiction?
Il successo del romanzo non passa inosservato all’allora giovane regista Louis Malle, che l’anno successivo ne trae un film dalla sorte alterna, ma che offre ancora oggi un’ineguagliata e quasi totalmente fedele trasposizione dei luoghi e delle scene dell’opera.

Un capolavoro dai molti rilievi

Zazie, enfant terrible dall’età indefinibile, è costretta a trascorrere poco più di 24 ore con lo zio per permettere alla madre di godersi l’ennesima scappatella amorosa in santa pace.
Tuttavia lo zio Gabriel è ben lungi dal potersi definire un tutore affidabile: introducendo la ragazzina nel suo variegato e bizzarro entourage, innescherà tutta una serie di situazioni tragicomiche e paradossali, nelle quali Zazie si destreggerà con la sua parlantina e la sua malizia, smantellando ancor più lo sgangherato equilibrio delle relazioni dei personaggi.

Zazie
La copertina della più recente edizione francese dell’opera

Un intervento illuminante ai fini della comprensione dell’opera, che nasconde tematiche molto più profonde e care all’autore, viene effettuato dal grande critico Roland Barthes nel 1972. Nei Saggi egli osserva che la continua messa in discussione delle forme tipiche della lingua e dello stile, attraverso una sferzante parodia dei modelli culturali, non esclude la presenza di elementi tipici legati alla tradizione del racconto, quali l’uso dei procedimenti narrativi consolidati o del rispetto dell’unità di tempo e luogo, che quindi donano all’opera un’etichetta più convenzionale che ne giustifica il successo e il piacere della lettura. La vera particolarità dell’opera è da ricercarsi tutta nella riproposta, da parte di Queneau, di alcune sue audaci teorie di riforma ortografica della lingua francese, di cui nel testo si fa portavoce involontaria Zazie. In alcune conversazioni è presente una grafia fonetica che si ricalca sull’effettiva pronuncia delle parole, apparentemente per esigenze di semplicità, e che può portare nel caso del francese ad esiti linguistici del tutto distanti da quello che è lo standard ortografico.

Enfin, se présente un flicard alerté par les bêlements de la rombière.

– Y a kèkchose qui se passe ? Qu’il demande.

– On vous a pas sonné, dit Zazie.

– Vous faites pourtant un de ces ramdams, dit le flicard. […]

– On ne vous demande rien, dit la dame.

– Ça c’est bien les femmes, s’esclama le sergent de ville. Comment ça, vous ne me demandez rien ?

Vous me demandez tout simplement de me foutre un point de côté, oui.

Si c’est pas rien, ça, alors je comprends plus rien à rien.

Il ajouta d’un air nostalgique :

– Les mots n’ont plus le même sens qu’autrefois.¹

 Zazie su pellicola

Veniamo al film. Nella pellicola Zazie è interpretata da Catherine Demongeot, mentre lo zio Gabriel è Philippe

Zazie
L’inseguimento da parte del “satiro” Pédro Surplus. In tale sequenza Malle utilizza l’espediente dei manichini, gag tipica dei film comici di un tempo

Noiret, una vecchia conoscenza del nostro cinema, entrambi alle prese con tutte le peripezie del caso e con personaggi ai limiti dell’assurdo che spesso assumono più di una identità: l’attore italiano Vittorio Caprioli, ad esempio, interpreta nel film i tre principali “antagonisti” (etichetta da utilizzare con molta cautela), che alla fine si rivelano essere la stessa persona.
Tuttavia anche nel film c’è qualche elemento che si potrebbe definire tipico della tradizione.
In un intervista rilasciata al critico Philip French, Malle afferma ad esempio di aver ripreso alla velocità di 8-12 fotogrammi al secondo, ma di aver fatto recitare gli attori al rallentatore. In questo modo, mentre i soggetti sembrano muoversi a velocità normale, sullo sfondo tutto appare velocizzato. Si tratta di una tecnica che appartiene ai vecchi film comici, come ad esempio quelli di Charlie Chaplin o dei fratelli Marx.
Il regista chiosa affermando di aver tentato di prendere parte alla dimensione irriverente verso le forme letterarie tipiche dell’attività di Queneau, poiché a suo avviso leggere il romanzo “Era come giocare con la letteratura”².

Ma il mondo dipinto da Queneau non è il mondo fiabesco e roseo dove i fanciulli vincono sempre: sotto l’ironia e l’assurdo giace una società contemporanea caotica, cinica, sprezzante dell’innocenza infantile (che in ogni caso Zazie ha già perso). In realtà, a discapito del titolo, a causa di uno sciopero Zazie non riuscirà mai a vedere il métro che tanto la affascina. Tuttavia Queneau riesce a non trasferire l’amaro alle papille del lettore, ed effettivamente la sensazione che resta dopo aver letto il romanzo o guardato il film è quella di aver assistito ad un mondo che nel contempo riconosciamo pur sfuggendoci in alcune sue parti; come i mondi delle fiabe.

Daniele Laino

[1] Queneau R., Zazie dans le métro, 1959, Gallimard, p. 131

[2] Queneau R., Zazie nel metró, 1960, Einaudi, p. 159