William Butler Yeats: la rivalsa dell’Irlanda

Distinte e disparate furono, nel periodo della dominazione inglese, le voci reclamanti lo stato critico di un’Irlanda ormai violata dal dominio inglese. Essa necessitava difatti, di fronte al rischio dell’annichilimento delle proprie radici, di una riaffermazione culturale: la poesia di William Butler Yeats (1865 – 1939), librandosi elegantemente su un’onda mistica, ne costituì la fiamma ideale.

Yeats

Il Celtic revival tra radici ed esoterismo

Poeti irlandesi, apprendete il mestiere,
cantate ogni cosa ben fatta,
disprezzate la razza che ora cresce
tutta difforme dalla testa ai piedi,
i loro cuori, le loro teste senza memoria,
mal generati da giacigli vili. [1]

Yeats
John O’Leary, ritratto

Il nazionalista John O’Leary, di ritorno dall’esilio in Francia (1885), fu figura di riferimento in svariati centri intellettuali di stampo patriottico a Dublino; un giovane Yeats, di lì a poco membro di Golden Dawn, riconobbe grazie ad egli il fascino atavico della tradizione celtica.

Ma l’Irlanda di Yeats, similmente al Portogallo di Pessoa, è ancorata all’occultismo. Da quell’alchimia con cui il poeta fonde cristianesimo, paganesimo e teosofia nasce una visione della terra natia che man mano si sviluppa, seguendo l’iter della stessa poesia yeatsiana, attorno a simboli iniziatici non avulsi da una certa eccentricità.

Dal ciclo dell’Ulster viene ad esempio ripreso il personaggio del re Fergus, che diviene profeta del mistero della Natura; il componimento, di impressionistica bellezza formale, viene peraltro citato nell’Ulisse del conterraneo (e maggiormente “concreto”) Joyce.

E non distrarti più, più non pensare
con ansia a quest’amaro
mistero dell’amore; perché Fergus domina
i bronzei carri, così come domina l’ombre
della foresta e il seno bianco dell’oscuro mare,
le stelle scarmigliate e vagabonde. [2]

Erroneo è, tuttavia, ritenere che non vi fosse alcun cenno di politicità nella poesia più squisitamente nazionalistica di Yeats. «L’Irlanda romantica è scomparsa, / è con O’Leary nella sua tomba» [3]: e il fine ultimo della sua letteratura fu proprio riedificare le fondamenta di quel romanticismo perduto.

La profezia conservatrice di Yeats

I clamori bellici destrutturarono la coscienza occidentale, e il poeta irlandese non fu esente dal decantarne la drammaticità nei suoi versi. Il senso di profonda decadenza che perviene al lettore de Il Secondo Avvento, attinente all’aridità interiore espressa da Eliot nella sua Terra desolata, è memore non solamente dell’immaginario apocalittico ed escatologico, ma addirittura di un personale sistema storico-simbolico, purtroppo non riassumibile in questa sede per la sua estrema complessità, teorizzato nella prosa Una visione.

Ruotando e roteando nella spirale che sempre più si allarga,
il falco non può udire il falconiere;
le cose si dissociano; il centro non può reggere;
e la pura anarchia si rovescia sul mondo,
la torbida marea del sangue dilaga, e in ogni dove
annega il rito dell’innocenza;
i migliori hanno perso ogni fede, e i peggiori
si gonfiano d’ardore appassionato.

Certo qualche rivelazione è vicina;
certo s’approssima il Secondo Avvento.
Il Secondo Avvento! E le parole sono appena dette
che un’immagine immensa sorta dallo Spiritus Mundi
mi turba la vista; in qualche luogo nelle sabbie del deserto
una forma dal corpo di leone e dalla testa d’uomo
con gli occhi vuoti e impietosi come il sole avanza
con le sue lente cosce, mentre attorno
ruotano l’ombre degli sdegnati uccelli del deserto.
Nuovamente la tenebra cade; ma ora so
che venti secoli di un sonno di pietra
furono trasformati in incubo da una culla che dondola.
E quale rozza bestia, finalmente giunto al suo tempo avanza
verso Betlemme per esservi incarnata? [4]

La spirale, simbolo chiave nel sistema yeatsiano, si riduce secondo un movimento discendente dopo aver raggiunto la sua massima larghezza mediante espansione (diversa è, pertanto, rispetto alla spirale progressiva hegeliana); in tale discesa, il falco (l’Uomo) non riesce più ad udire la chiamata del falconiere (Dio).

È lo Spiritus Mundi (per le dottrine teosofiche vera e propria anima universale in cui confluiscono le divergenti coscienze individuali) l’archetipo dal quale si dirama la visione dell’entità che, in tempi tanto oscuri, sostituirà Cristo: ha le sembianze di una sfinge, ma è una «rozza bestia», identificabile, tralasciando le differenze esteriori, con quella che san Giovanni descrive nella sua Apocalisse come falso Cristo.

Yeats
La Bestia dal mare

Nella pessimistica visione di Yeats, ardito conservatore filoaristocratico, è pertanto l’Anticristo a divenire anarchico imperatore dell’anarchia.

Pierluigi Patavini

Fonti

[1] W. B. Yeats, Ai piedi del Ben Bulben, da Ultime poesie; trad. a cura di Roberto Sanesi
[2] W. B. Yeats, Chi va con Fergus?, da La Rosa; trad. a cura di Roberto Sanesi
[3] W. B. Yeats, Settembre 1913, da Responsabilità; trad. a cura di Roberto Sanesi
[4] W. B. Yeats, Il Secondo Avvento, da Michael Robartes e la ballerina; trad. a cura di Roberto Sanesi