Cinema italiano

La sfida di Rosi: il vecchio e il nuovo

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La sfida (1958) è il primo lungometraggio completamente diretto da Rosi. Egli, comunque, era già uscito dalla condizione di apprendista: nel 1952 ha completato le riprese di Camicie Rosse (di Goffredo Alessandrini) e nel 1956 è stato, insieme a Vittorio Gassman, co-regista di Kean – Genio e sregolatezza.

È in questo film che, tuttavia, si notano già (in forma embrionale) quelle che saranno le linee guida del suo stile e la grande influenza che ha avuto (e che avrà!) su di lui la collaborazione con Visconti in La terra trema (1948) e Senso (1953).

Prima di ”La sfida”, comunque, Rosi comincia a interessarsi al fenomeno camorristico già nel 1952 elaborando il soggetto del film Processo alla città:

«Trovai su una bancarella due libri, introvabili, sul processo Cuocolo. Era un’idea che già circolava nel cinema […] Per nessun intellettuale napoletano era un fatto sconosciuto. Su quel materiale cominciammo a scrivere io e Giannini.»1

Ma, l’idea originale era quella di girare un film su un personaggio femminile appartenente alla mafia, ma la Lux non era disponibile a fare un film sulla mafia siciliana e allora la scelta ricade su Napoli. All’epoca si pensava che la camorra non avesse ancora sviluppato lo stesso grado di organizzazione e controllo della mafia (in realtà non era propriamente così, a Napoli la camorra stava già diventando quello che è oggi). La figura dei camorristi di certo nel corso degli anni è cambiata; in questo film, ad esempio, si sporcano ancora le mani eliminando di persona l’elemento scomodo (sarà proprio Salvatore Ajello a sbarazzarsi di Vito Polara), in seguito si preferirà avere qualcuno che lo faccia al posto loro.

Interessante è anche il fatto che in questo film si illustra quello che sarà il percorso che comincerà a seguire la camorra: Vito passa da un’attività completamente illegale (il traffico di sigarette) a una apparentemente legale ma già controllata dalla camorra. Potremmo anche dire che effettivamente, il vero scontro non si ha tra Vito e Salvatore Ajello, ma tra Vito e il fratello di Salvatore: Ferdinando, il quale sembra impersonare quella che sarà poi la figura del camorrista del futuro: più da consiglio d’amministrazione che da duello di provincia.

Rosi prende ispirazione da una storia vera, quella di Simonetti Francesco Pasquale (detto Pascalone ‘e Nola) marito di Pupetta Maresca, il quale rimane ucciso in uno scontro a fuoco nel luglio del 1955.

Ma, come lo stesso Rosi afferma, in questo film, più che raccontare la storia di Pupetta e Pascalone, viene raccontata la realtà in cui essi sono calati (ed è per questo motivo che le riprese non hanno avuto problemi).

Per poter essere in grado di raccontare tale contesto , Rosi, così come farà con tutti i suoi film, reperisce le informazioni dalla realtà stessa , assecondandola:

«Se non andiamo a Napoli, la nostra sceneggiatura non va»2

– Rosi, a Suso e a Provenzale.

L’unica scena che non è stata girata a Napoli è quella ambientata al mercato ortofrutticolo. Il sindaco (Achille Lauro) si oppone alla richiesta e, la mattina in cui Rosi tenta comunque di girare la scena, gli agenti municipali glielo impediscono. Decide così di girare al mercato ortofrutticolo di Roma, scegliendo in questo modo di non venire meno alla propria etica per perseguire degli scopi puramente estetici e mostrare comunque le dinamiche che aveva in mente.

Il sonoro è in presa diretta (una cosa abbastanza rara per il cinema italiano dell’epoca) e, assieme al fatto che ai due protagonisti viene dato ampio spazio, contribuisce a dare al film un sapore americano (viene infatti più volte paragonato a Fronte del porto di Elia Kazan del ’54).

Proprio come in Fronte del porto, in La sfida, si tenta di illustrare e analizzare le dinamiche che organizzano e influenzano un determinato ambiente economico (in questo caso il mercato ortofrutticolo). Ma, a differenza di quanto avviene nel film di Elia Kazan, il tentativo sovversivo non va a buon fine: siamo in Italia, qui non vi è un sogno da alimentare e da inseguire.

Tutto viene spiegato con una chiarezza impressionante, tipica del cinema di Rosi; ce ne potremmo rendere conto, ancor di più, se prendessimo ad esempio Le mani sulla città del 1963, dove riuscirà ad illustrarci in modo semplice e lineare come funziona un consiglio comunale e come dei consiglieri possono arricchirsi grazie alla speculazione edilizia.

«Io analizzo la situazione, cerco di capirla e di farla capire.»3

Cira Pinto

1Ridere civilmente. Il cinema di Luigi Zampa, pag. 245.

2Io lo chiamo cinematografo, cit. pag. 93.

3Ibidem, cit. pag. 105.

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Cira Pinto

Cira Pinto, nata a Torre del Greco l'8 dicembre del 1990. Cresciuta tra le videocassette Disney e le ginestre che tanto hanno ispirato Leopardi, decide il suo futuro accademico guardando ''Biancaneve e i sette nani''. Laureata al corso di laurea magistrale in Filosofia presso l'Università di Napoli Federico II con una tesi in Filosofia Morale dal titolo ''Il cinema come arte del tempo. l'analisi deleuziana, tra classicità e modernità''. Ha frequentato il corso di Analisi e critica cinematografica e quello di Sceneggiatura alla scuola di cinema, televisione e fotografia Pigrecoemme. Collabora con LaCOOLtura da gennaio 2015.

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