Adaline: il clichè dell’amore senza età

Ormai non si contano più i film che mostrano fantasiosamente come l’età effettiva non corrisponda spesso a quella che si mostra, come anche non si contano le storie e le leggende che da sempre ruotano intorno al mito dell’eterna giovinezza. Così sono nati film come “L’imprevedibile caso di Benjamin Button” e una tradizione libresca che spazia da Faust a Dorian Gray. Se a questi miti aggiungiamo un pizzico di melassa sentimentale -e una buona dose di costumi di scena- abbiamo ottenuto “Adaline – L’eterna giovinezza“, il film di Lee Toland Krieger nelle sale cinematografiche dal 23 aprile.

Adaline, la trama

Adaline Bowman (interpretata da una sempre più bella Blake Lively) nasce nel 1908 e dopo un drammatico incidente d’auto da cui si salva miracolosamente smette di invecchiare all’età di 29 anni, grazie delle circostanze irripetibili -e quasi magiche- che le hanno reso possibile di salvarsi da un sicuro annegamento. A causa della sua condizione è immortale, sì, ma costretta a cambiare città, nome e vita ogni 10 anni perchè perseguitata dalle autorità. Commuovente è soprattutto il rapporto con la figlia (interpretata da Ellen Burstyn, una delle attrici testimonial della grande stagione anni 70 del cinema americano), che in un primo momento appare sua coetanea per poi mostrarsi visibilmente invecchiata rispetto all’eterna giovane madre. Adaline è in vita ma non vive realmente, rifiutando qualsiasi legame emotivo -a parte quello con la figlia e per il cane- fin quando non incontra il carismatico Ellis Jones (Michiel Huisman), che rimetterà in discussione tutto la sua esistenza. La situazione si complica ulteriormente quando, in visita a casa dei genitori di lui, scopre che il padre William Jones (Harrison Ford), importante astrologo, è stato il suo primo amore in gioventù, il che farà crollare definitivamente il muro emotivo dietro al quale si era trincerata per oltre un secolo.

adaline adalineNon si tratta quindi di un antico patto col diavolo, nè della ricerca riuscita della fonte della giovinezza: l’immortalità di Adaline è qualcosa di fortuito, di quasi non voluto, e di cui lei stessa non si rende conto finchè non si trova davanti all’evidenza dei fatti. Si tratta di una donna destinata alla solitudine che respinge qualsiasi affetto perchè sa che dovrà finire, la vita di una donna che sfila per le strade delle più disparate città ambientandosi perfettamente in diverse epoche che, per la sua effettiva età, dovrebbero porla in maniera contrastante con tutto ciò che la circonda. Finchè non arriva l’amore a cambiare tutto. Scontato, quasi banale, eppure alla visione di uno sfacciato e goffo Ellis nel tentativo di raggiungere la donna irraggiungibile non può non scappare che un tenero sorriso in sala. Perchè sì, è uno dei clichè più rivisitati, ma ha anche quel non-so-che di comico che fa scattare un’innata simpatia per quel ragazzo sullo schermo.

Una storia dal look patinato che però non stona, tranne che nella seconda parte, quando non è ben chiaro se la storia d’amore cheadaline cambia definitivamente la vita di Adaline sia quella con Ellis o quella ormai persa con suo padre William. Il ragazzo che ha conquistato le simpatie nel pubblico per tutto il primo tempo adesso viene completamente eclissato da una serie di flashback ancora più romantici dei suoi incontri con Adaline, una storia d’amore d’altri tempi ambientata in un bosco dall’atmosfera fatata e surreale, quasi come se l’intento del regista fosse quello di catapultarci in un ricordo ormai mitizzato nella memoria di un amore finito prima ancora di poter iniziare davvero, un sogno nel senso più stretto della parola. È il discorso di William a far cambiare idea a Adaline, e stona quasi nel finale vederla abbracciata al giovane Ellis dopo essersi appassionati a quel racconto fantastico d’amore che rivive negli occhi di un uomo ormai anziano ancora innamorato di quella ragazza sfuggente incontrata per caso tra le strade di campagna (tanto da far ingelosire la moglie, sua compagna da oltre 40 anni).

Un film dal look patinato dove il lieto fine c’è, te lo aspetti, e un po’ ci speri anche. Perchè sono i racconti come questo, di cui sai già il finale, a rincuorarti nel vederlo sempre uguale a come lo ricordavi. Perchè sono quelle storie fantastiche che alla fine -se fatte come si deve- non guastano mai. Non vi sono spettacolari giochi di regia, nè una trama particolarmente spettacolare, è solo una tenera storia d’amore che va vista in quanto tale. Un leggero passatempo sentimentale per cui si trova sempre spazio.

C’è chi ha puntato il dito contro questo film proprio perchè tocca tasti ormai ben noti a un pubblico che ormai si nutre solo di trame complicate, giochi psicologici e labirinti scenici. Come se questi fossero requisiti fondamentali, come se le più grandi pellicole non avessero proprio quell’orribile clichè dell’amore che trionfa su tutto come perno fondante. È una semplice storia d’amore, una piacevole visione, che sebbene scontata è genuinamente romantica senza chiedere di essere nulla di più.

Se poi, col materiale a disposizione, si potesse fare di meglio, è un altro paio di maniche.

Camilla Ruffo