Negrita: ecco perché “9” ci ha deluso

Avevo ascoltato qualche intervista a Pau, voce dei Negrita, dove diceva che “9“, il loro ultimo lavoro, avrebbe avuto un sound molto vicino a quello degli esordi, quando era sporco di sudore da far paura. Essendo uno storico fan dei Negrita, ho atteso tanto questo 24 marzo, e appena sveglio mi sono precipitato ad ascoltare 9.

L’album parte con Il gioco, che poi è stato anche uno dei pezzi di lancio dell’album. La canzone è spenta e non si accende mai, ed è un peccato. Troppo simile alle ultime canzoni dei Negrita, troppo pulita e il testo dice poco. La banda di Pau si riprende alla grande con Poser: una denuncia all’attaccamento delle giovani generazioni a tutto ciò che è social, supportato da un sound duro e grezzo che mi fa ben sperare per gli altri undici brani. La speranza mi lascia con Mondo Politico: anche questa canzone sembra senza grinta, che poi è stata la maggior qualità che hanno avuto i Negrita in questi anni (decenni in realtà!). Que Serà Serà ha lo stesso identico limite degli altri brani.

I Negrita sembrano aggiustare il tiro con Se Sei L’Amore. Canzone romantica ma anche di riscatto. Il testo è interessante e la voce di Pau calda. A tratti la canzone ha un sound simile ai primi Negrita.  Poi viene 1989: un inno alla nostalgia, un rimando ai vecchi tempi, quelli divertenti. Veramente un bel pezzo, ispirato e con un sound molto pertinente. Candidata di certo alla più ‘Negrita’ dell’album.

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La copertina di “9”, ultimo album dei Negrita.

Ritmo Umano è una canzone piacevole e serena. Senza infamia e senza lode, passa. Scivola più che altro. Interessante la parte strumentale a metà brano, con le voci degli altri componenti della band a fare da coro. Il nostro tempo è adesso è un pezzo più spensierato rispetto agli altri. Anche esso con un taglio piacevole e sereno. Molto bello il breve bridge che precede il ritornello conclusivo.

Con Baby I’m in Love finalmente si riascolta il sound dei Negrita vecchio stampo, quello che − secondo le parole dello stesso Pau − dovevamo aspettarci da questo lavoro. Ebbene, questa intenzione è stata tradita fino a Baby I’m in love. Ma non è solo una questione di sound, ma anche di grinta e di sudore che esce dalle chitarre, dal microfono, dal basso e della batteria! Eutanasia del fine settimana è una canzone corale, che elogia le bellezze sporche di un weekend underground. Puttane, droghe, metropolitane, il testo è un insieme di queste cose. Il sound è fin troppo piacevole e troppo poco sporco. Insomma, non è mai davvero cattivo come il testo vorrebbe. L’album termina con Non è colpa tua. Questo pezzo si candida a vincere il premio come miglior parte strumentale dell’album − principalmente per i primi due minuti e mezzo. Il sound qui richiama − anche in maniera nostalgica − il vecchio sound sporco dei Negrita. La canzone sul finale stanca un po’, ma questa è una cosa che si può perdonare.

Alla fine dell’album hai un po’ d’amaro in bocca. Perché? Semplicemente perché ci avevano fatto credere che avremmo ascoltato un album ruvido e sporco e invece così non è stato. Ecco, questo è il punto: l’album non è brutto, anzi, si lascia ascoltare piacevolmente, la questione è che un richiamo netto a sonorità più sporche non c’è.

Più che altro ciò che fa da filo conduttore durante l’ascolto dei brani è proprio la nostalgia. Sì, probabilmente è questo il rimando più forte ai vecchi tempi di “9”, l’ultima fatica dei Negrita.

Raffaele Cars