Mark Rothko e il lirismo del colore

25 febbraio 1970, New York. Uno dei più grandi artisti del Novecento, Mark Rothko (al secolo Marcus Rothkovic, 1903-1970) viene trovato morto dal suo assistente, nel suo studio di Manhattan. Il rosso del sangue, dai suoi polsi tagliati, è il colore che decreta la fine della sua esistenza, spenta dal suicidio all’età di 66 anni. Epilogo di un’anima tormentata, che l’atto creativo rivelava.

Mark Rothko
Mark Rothko in studio

Ora lotta, ora liberazione, dipingere implicava sempre un colloquio interiore, esigenza personale. Pochi, pochissimi sono stati coloro che l’hanno visto dipingere. Ma le sue tele hanno il carattere di parole universali, raccontano, per chi ha la sensibilità di avvicinarsi ad esse, le emozioni essenziali dell’animo umano. Definito  “astrattista”, egli rispondeva di essere invece “materialista”, per rivendicare il carattere essenzialmente concreto della sua arte.

Appartiene storicamente al movimento artistico del cosiddetto Espressionismo astratto, il modo con cui l’America richiamava a sé l’arte che per secoli era stata esclusivo appannaggio dell’Europa. “Colorfield painting”, traducibile in “pittura delle campiture” è la seconda corrente interna del movimento espressionista (mai riconosciuto propriamente come tale per mancanza di un programma ben definito), che per le sue ampie stesure di colore sulla tela si contrappone all’altra corrente, quella dell’Action Painting, in cui l’azione gestuale è l’aspetto predominante.

Mark Rothko
White Center (Yellow, Pink and Lavender on Rose), 1950

Il colore era per lui mezzo espressivo fondamentale, il suo pennello accarezzava la tela per generare i profondi sentimenti della vita, del dramma, dell’estasi. Diluito e steso velocemente con larghi pennelli, strato dopo strato, riusciva a donare ai suoi dipinti trasparenza e luminosità interna. Tele di grandi dimensioni, semplici e ampi rettangoli o strisce strette e lunghe di colore dai bordi sfocati, presenze evanescenti su sfondi monocromi, l’occhio dell’osservatore si perde nella luce abbacinante del giallo, dell’arancione, del bianco, o nel profondo blu, nero, rosso cupo.

Questi i tratti essenziali dei dipinti che fanno parte della sua “fase classica” (dal 1949-1970), punto di arrivo di un’evoluzione artistica che lo conduce dagli inizi figurativi fino alla sparizione totale della forma, nonché lo stile che lo rese celebre a livello internazionale.

Neppure la fama riuscì a mitigare il suo dramma interiore, gli donò però quella sicurezza economica che gli permise di gestire le vendite dei propri dipinti. Esemplare è il caso della commissione non portata a termine, di un ciclo di dipinti parietali per decorare uno spazio nel Seagram Building di Park Avenue a New York, il ristorante Four Seasons. Rothko, che aveva accettato l’incarico perché sperava di realizzare qualcosa che risultasse come un pugno allo stomaco nelle persone, decise poi di rinunciarvi non appena si rese conto che i suoi dipinti stonavano con il contesto sfacciatamente pretenzioso del ristorante; aveva però finalmente denaro a sufficienza per poter restituire il generoso anticipo e riprendersi i dipinti, oggi sparsi in tutto il mondo.

Mark-Rothko
Black on Maroon, Mural, 1959

Sempre restio a dare spiegazione dei propri dipinti, voleva che questi parlassero per sé. Ma nessuna parola occorre in realtà per farlo. Dal 1950 smette persino di dare un titolo alle sue opere, solo numeri e date, mentre saranno alcuni suoi mercanti in seguito a sceglierli utilizzando i nomi dei colori caratteristici delle opere. La natura intima e spirituale del messaggio Rothkiano, il suo ripiegamento esistenziale, viene veicolato da tele che si impongono alla presenza dello spettatore per le grandi dimensioni; scelta dell’artista, che riteneva possibile solo in questo modo l’immersione diretta dell’uomo nell’emozione del colore e l’impossibilità di sfuggirvi.

Ricercando un’ “esperienza perfetta tra dipinto e spettatore”, le sue opere esigono un’atmosfera di concentrazione, rispetto quasi religioso, meditazione, e anche la luce che li illumina, calda e soffusa, deve concorrere a creare tale momento di raccoglimento. Sintesi ultima della sua visione artistica, la Rothko Chapel a Houston, Texas, gli venne commissionata dai due grandi collezionisti americani, i coniugi John e Dominique de Menil, nel 1965, cinque anni prima della sua morte, è concepita come uno spazio ottagonale in cui lo spettatore, come in un fonte battesimale, si immerge completamente nelle cupe tele che lo circondano. Uno degli spazi architettonici più suggestivi al mondo, luogo di pace, supera qualsiasi confine religioso, divenendo perfino atemporale, è il più importante messaggio artistico che Mark Rothko ci ha lasciato.

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The Rothko Chapel, 1965

Marina Borrelli