La definizione di manga, il fumetto giapponese

In questo articolo formuleremo una definizione di “manga” che presti realmente fede al suo referente. Oggi molti infatti criticano, o al contrario mitizzano, i cosiddetti “manga” senza realmente capirli, come Cristoforo Colombo si rapportò ai nativi americani senza capirli.

La conoscenza senza comprensione: cosa sono i manga?

L’aumento delle interconnessioni esistenti tra le diverse società umane, soprattutto in seguito allacolonizzazione dell’America iniziata con Cristoforo Colombo, ha reso sempre più facile il passaggio di informazioni da un punto all’altro del globo. Avere accesso a culture diverse ed alle loro forme espressive, venendone influenzati ed influenzandole di rimando, è oggi quanto mai semplice.

Da una simile considerazione preliminare nulla, compreso il mondo al centro di questa rubrica, costituito principalmente dai cosiddetti “manga”, può prescindere, dato che la sua conoscenza e diffusione dipende proprio da tale rete di interconnessioni. Ogni appassionato di manga è dunque, almeno in parte, un erede della globalizzazione.

Ma la possibilità di avere accesso ad una determinata informazione comporta, come necessario corollario, essere in grado di comprenderla? Per rispondere a questa domanda, tra la miriade di esempi possibili, sarà sufficiente ricorrere ad uno particolarmente significo data la statura del personaggio coinvolto; nientemeno che il già ricordato Cristoforo Colombo.

Il noto navigatore genovese infatti, quando giunse per la prima volta in America, diede per scontato che il suo bagaglio culturale, le sue tradizioni ed il suo codice morale corrispondessero a quelli dei popoli ivi presenti, interpretando dunque, a partire dal proprio punto di vista, ogni loro azione. Li considerò quindi generosi poiché, per ottenere oggetti di poco conto, si separavano di ingenti quantità d’oro, senza capire che il valore dell’oro non è una sua proprietà intrinseca, ma il frutto di una costruzione culturale specifica del Vecchio Continente. Ed alla stessa maniera li bollò come ladri poiché, senza richiesta, si appropriavano di oggetti presenti sulle navi spagnole, non ipotizzando neanche che alla base di tali “furti” potesse esserci un concetto diverso di proprietà.

Possiamo dunque affermare che, nonostante il proprio accesso diretto agli “indiani”, Cristoforo Colombo non li capisse affatto. La distanza linguistica inoltre non è sufficiente a giustificarlo dato che i suoi successori, benché coadiuvati da interpreti, commisero sovente il medesimo sbaglio. Prima di accostarsi ad una cultura diversa dalla propria è dunque fondamentale abbandonare ogni sicurezza pregressa ed assumere un atteggiamento critico limitandosi ad analizzare ciò che si ha davanti per quello che effettivamente è. Nessuna facile assonanza deve condizionare la comprensione, se si vuole evitare di commettere errori imbarazzanti.

La comprensione ed il fumetto giapponese

Sovente però questa basilare regola della comprensione viene dimenticata. In ambito fumettistico ciò avviene soprattutto quando ci si avvicina ad un universo narrativo “estraneo”, sia esso giapponese, americano o di altra provenienza. Molti lettori, come novelli Cristoforo Colombo, partendo dal presupposto (per altro errato) che, in Italia, cartoni animati e fumetti siano opere destinate ad un pubblico infantile, deducono che così debba essere ovunque.

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Nathan Never, esempio di fumetto italiano non indirizzato a bambini

Il target di riferimento dei manga però è in realtà molto più ampio; esso abbraccia infatti sì il mondo infantile (“Beyblade”), ma anche quello dei ragazzi (“Dragonball”) e quello adulto, ponendosi domande esistenziali (“Monster”) o affrontando dilemmi etici che da sempre tormentano l’essere umano (“20th Century Boys”, “Devilman”).

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Kenzo Tenma, protagonista di Monster

Ovviamente anche l’altrettanto diffusa esaltazione aprioristica dei manga nel confronto con opere fumettistiche di altre nazioni, ingiustamente accusate di infantilismo, è ugualmente basata su un pregiudizio erroneo.

Anche la presunta contrapposizione tra fumetti nostrani, comics americani e manga, basata su premesse quanto mai mutevoli, tra le quali il pubblico di riferimento è soltanto una goccia nel mare, è una mera costruzione basata sul niente. Infatti, al di là di alcuni tratti specifici, del tutto secondari e fortemente variabili, manga, comics e fumetti non sono altro che tre termini utilizzati per indicare un medesimo referente; un’opera letteraria che, per veicolare il proprio messaggio, si avvale allo stesso tempo sia della forza evocativa dell’immagine che di quella, più indiretta ma non per questo meno penetrante, della parola.

La definizione di “manga”

I giapponesi hanno capito bene i concetti poc’anzi illustrati, come si evince dalla loro scelta di indicare con un solo termine, di volta in volta affiancato da un riferimento al luogo di provenienza, ogni tipo di fumetto. La parola manga non indica dunque, contrariamente alle credenze comuni, un genere o un target, ma semplicemente il fumetto in quanto tale.

Ed è proprio a tale definizione di manga che si rifà questo articolo impiegandola, come nell’uso comune, per indicare i fumetti nipponici, ma privandola di ogni connotazione diversa da quella geografica. Con il termine manga dunque si indicherà, semplicemente, un’opera fumettistica realizzata nella terra del Sol Levante e mostrare, con un’analisi concreta di una vasta serie di tali fumetti, come non sia possibile ricondurli tutte ad un medesimo archetipo senza cadere in errore.

La reductio ad unum, il tentativo di attribuire ad ogni manga esistente le medesime caratteristiche, esattamente come fatto da Cristoforo Colombo, per poi ricondurli tutti all’interno di un unico schema mentale, va combattuta strenuamente. E’ proprio grazie alla pluralità delle loro voci infatti che i manga, ed i fumetti in generale, acquistano un valore reale, che non può e non deve essere sacrificato sull’altare di un’omologazione perseguita ad ogni costo.

Alessandro Ruffo

Fonti:

Todorov T., La Conquista dell’America. Il problema dell’altro

Colombo C., Gli scritti