Apologia di Socrate: introduzione

Come vi avevo promesso, cominceremo oggi ad occuparci dell’Apologia di Socrate, opera tra le più interessanti e coinvolgenti di Platone dedicata al processo contro il suo maestro Socrate (tenutosi nel 399 a.C.).

Apologia

Perché ora?

Potrebbe sembrare strano, amici, parlare ora d quest’opera perché in essa è sì contenuta un’eccellente descrizione del processo a Socrate – infatti Platone vi assistette in prima persona – ma rappresenta la fine della vita del vecchio filosofo, dato che al processo seguirono condanna ed esecuzione; e allora, mi chiederete, perché cominciare dalla fine e non dall’inizio? Vogliamo forse già chiudere il ciclo di articoli dedicato a Socrate? Certo che no: in realtà, è più interessante e ci divertiamo di più andando a ritroso nel tempo partendo dagli effetti per giungere alle cause. Assecondatemi.

Socrate inizia l’orazione

“Non so, o Ateniesi, che impressione vi sia rimasta dei miei accusatori; io, davvero, mi sono quasi dimenticato di me stesso, da quanto parlavano persuasivamente. Eppure non hanno detto quasi niente di vero.”

Nell’Apologia è Socrate stesso a parlare e comincia subito con il suo solito stile, ironico e – diciamolo – fastidioso; egli arriva ad affermare (ovviamente sta ironizzando) di aver quasi dimenticato la propria innocenza, tanto grande è stata l’abilità nel parlare dei suoi accusatori. Ma di cosa era stato accusato?

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Socrate è su Facebook mentre discute con i giudici. Dubbia è la veridicità dell’immagine.

“Socrate è colpevole di non riconoscere come Dei quelli tradizionali della città, ma di introdurre Divinità nuove; ed è anche colpevole di corrompere i giovani.”

Le accuse, dunque, sono principalmente due:

  1. corruzione di giovani al fine di sovvertire l’ordine sociale;
  2. non credere nelle divinità della città e tentare di introdurne di nuove.

Per quanto riguarda la prima, si spiega se si pensa a Socrate come maestro di Crizia e Alcibiade, due simpaticissimi uomini: il primo era stato capo dei Trenta Tiranni – no, non era un gruppo Rock ma il nome dato a un regime oligarchico instauratosi ad Atene dopo la sconfitta rimediata nella Guerra del Peloponneso. Devo spiegarvi proprio tutto? – mentre il secondo aveva pensato bene di tradire Atene per passare all’arcinemica della città, Sparta. La seconda accusa, in realtà – ma anche la prima, come vedremo -, fu solo un pretesto perché l’ateismo, benché fosse un reato riconosciuto, era ignorato se lo si affermava nel privato; d’altra parte Socrate non negò mai le divinità cittadine, ma della dottrina dei Dàimon parleremo un’altra volta.

Chi sono gli accusatori di Socrate?

“Io ho più paura di loro che di quelli che stanno attorno ad Anito, per quanto siano anch’essi terribili”

Meleto, poetastro fallito, frustrato e magari pure depresso, è colui che presenta ufficialmente l’accusa ma Socrate sa bene che dietro di lui vi sono Anito, importante esponente della democrazia Ateniese, e Licone, abile oratore.

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Uno scatto inedito di Meleto mentre redige la lettera d’accusa.

In realtà, però, Socrate è ben consapevole anche di un’altra cosa: le accuse rivoltegli sono solo un pretesto per portarlo in tribunale. Infatti

“Considerate dunque la duplicità dei miei accusatori: gli uni sono quelli che mi accusano ora, e gli altri sono quelli che, come dicevo, lo hanno fatto in passato. È  opportuno che mi difenda prima da questi ultimi, perché li udiste accusarmi prima e molto più degli accusatori recenti”

Socrate è forse impazzito? Perché vuole difendersi da accusatori passati? Dobbiamo considerare che qui il filosofo si sta rifenedo a determinate parole:

“Socrate è un criminale e un perditempo, che indaga su quello che sta in cielo e sottoterra, fa del discorso più debole il più forte, e insegna lo stesso agli altri.”

Le accuse più vecchie

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Aristofane, il commediografo. Qui non voleva farsi riprendere.

Tali accuse si evincono, oltre che dall’Apologia stessa, dalla commedia di Aristofane “Le Nuvole”, dove Socrate viene in parte ridicolizzato, in parte accusato; sapendo di non poter portare tutti i “vecchi accusatori” in tribunale per contestarli, Socrate crea sul momento degli interlocutori fittizi perché, non essendo un sofista (parleremo anche di loro, tranquilli), deve poter dialogare al fine di costruire il proprio discorso. Dicevamo: Socrate contesta subito tali accuse perché è da esse che nasce quella di empietà, dato che chi indaga le cose celesti è visto come uno che desidera intromettersi negli affari degli dèi, preclusi agli uomini. La confutazione non gli è difficile in quanto ammette anche di essersi interessato a tali cose ma, allo stesso tempo, di averle subito lasciate perdere perché non gli fornivano la conoscenza che desiderava; inoltre, dato che uno dei ritornelli preferiti di Socrate era so di non sapere, come poteva lui insegnare (“insegna lo stesso agli altri”) se non sapeva nulla?

La verità è che Socrate, con il suo famoso metodo che prevedeva domande incessanti, aveva ridicolizzato poeti, politici, ed oratori (Meleto, Anito e Licone) originando un grande desiderio di vendetta in queste tre classi, vendetta che si è finalmente compiuta.

Abbiamo appena scalfito la superficie dell’Apologia; nei prossimi articoli continueremo a occuparcene ma non affezionatevi troppo all’imputato: sarà egli stesso a farsi condannare, di fatto, a morte.

Luigi Santoro

Fonti

Fonte immagine in evidenza: www.homolaicus.com

Fonte immagini media: www.homolaicus.com; tuttiabordo-dislessia.blogspot.com; manentscripta.wordpress.com; www.andromaca.altervista.org

Fonte citazioni: Platone, Apologia di Socrate, trad. di Maria Chiara Pievatolo;  Diogene Laerzio, Vita e dottrine dei filosofi, II, 5, 40