Brexit: che fine farà il dialogo interculturale?

Creata nel secondo dopoguerra, l’Unione Europea ha posto il primo tassello per il processo di globalizzazione: l’obiettivo dell’UE, fin dal principio, è stato quello di promuovere la cooperazione economica, il libero scambio di merci e persone, la creazione un’identità che superi quelle locali – senza dimenticarle – in favore di quella europea, frutto dell’incrocio di esse. Il mondo corre, verso la globalizzazione, verso l’unione e, si spera, verso la comunicazione: in questo clima, un’organizzazione sovrastatale come l’Unione Europea, in quanto sede di incontro dei rappresentanti delle diverse nazionalità, è indispensabile. Le recenti notizie, però, sembrano descrivere un percorso contro natura, una de-globalizzazione: si parla di Brexit. Fra tutte le critiche, le analisi e le descrizioni del fenomeno, la domanda da porre è: adesso, che fine farà il dialogo interculturale?

Interculturale
Immagine esplicativa della Brexit.

Brexit e dialogo interculturale: i concetti a confronto

Partiamo da una data che segnerà, sicuramente, la storia Inglese e Europea: 23 giugno 2016, data del referendum indetto nel Regno Unito con il quale si chiedeva ai cittadini di esprimere la volontà di rimanere o meno nella Comunità Europea. Con il termine Brexit- nato dall’unione di Britain e Exit- si intende l’esito del presente referendum e la vittoria del Leave. La Gran Bretagna ha votato a favore dell’uscita dall’UE. Le prime preoccupazioni sono state di tipo finanziario legate al ribasso delle borse britanniche ed europee; sono seguite quelle dei cittadini dell’unione residenti in Inghilterra, i quali si sono sentiti stranieri in un luogo che ormai è casa loro. Il referendum ha un puro valore consultivo e non vincolante: sarà il Parlamento di Londra a mettere in atto le procedure per divorziare effettivamente da Bruxelles, che dureranno almeno due anni.

Se le parole-chiave del fenomeno Brexit riguardano il tema della divisione e dell’intolleranza, al versante opposto esiste il concetto sociologico di dialogo interculturale.

L’approccio interculturale offre un modello di gestione della diversità aperto sul futuro e propone una concezione basata sulla dignità umana di ogni individuo e sull’idea di un’umanità e di un destino comuni. Se dobbiamo costruire un’identità europea, questa deve poggiare su valori fondamentali condivisi, sul rispetto del nostro patrimonio comune e della diversità culturale e sulla dignità di ogni individuo.[1]

Una parentesi sull’educazione

L’interculuralità, nelle scienze sociali, è strettamente legata al tema educativo nel contesto contemporaneo della
globalizzazione: le città, ormai, sono un calderone di diversità etniche, culturali, religiose che si mescolano e si separano, spesso entrando in conflitto in nome dell’antico valore nazionalista. La sfida del futuro è questa: è possibile la convivenza e la costruzione di una società pacifica? Sicuramente non è semplice; essa può nascere solo se alle spalle esiste una solida educazione interculturale.

È quindi essenziale che l’istruzione assicuri agli studenti la capacità di paragonare e di condividere le loro opinioni sul loro ruolo, in una società sempre più globalizzata e caratterizzata da numerose interconnessioni, oltre che di comprendere e discutere gli stretti legami esistenti tra i problemi comuni di ordine sociale, ecologico, politico ed economico, allo scopo di elaborare nuovi modi di pensare e di agire.[2]

Educazione interculturale, come già accennato prima, implica il rispetto verso la persona umana in quanto tale, il quale non dipenda da status o classe sociale di appartenenza. L’educazione non può prescindere, quindi, dalla conoscenza della Dichiarazione universale dei diritti umani, la quale promuove l’idea di uomo come portatore di diritti universali- diritto alla libertà individuale, diritto alla vita, diritto alla libertà religiosa– che superano i confini statali.

Il fenomeno Brexit non ha nulla il comune con i valori di tolleranza e apertura proposti dalla prospettiva educativa del dialogo interculturale; infatti, esso viaggia in tendenza opposta a quella del mondo contemporaneo che cerca di correre verso uno spazio civico comune, dettato da una cittadinanza globale e non più locale (come Brexit vuole imporre).

brexit-535700.660x368Le conseguenze sociali della Brexit

Si è messo in luce, nei giorni successivi al referendum, la pericolosità della Brexit per i rapporti economici internazionali. Si parla poco, invece, delle conseguenze dal punto di vista sociale: i rapporti con l’UE possono danneggiarsi e potrebbe crollare l’unità mantenuta fin ora.

Inoltre si è sentito spesso dire, da parte dei cittadini europei trasferitisi nel Regno Unito, di essersi sentiti “stranieri per la prima volta”. Non sono parole da sottovalutare: la vittoria del Leave ha creato nuovi extracomunitari!

“Temevo questo risultato perché la leave campaign ha usato gli immigrati come capro espiatorio della crisi: è dai tempi di Hitler che funziona. Sono triste e spaventata da questa ondata xenofoba e anti-europeista che sta invadendo il nostro continente”.[3]

L’Unione Europea, proprio in quanto unione, consente di non sentirsi stranieri appena varcati i confini nazionali; grazie ad essa è possibile rendere reale il dialogo interculturale ponendosi obiettivi comuni. La vittoria della Brexit, invece, è stata la vittoria dell’ etnocentrismo.

Le cose non erano molto diverse neanche prima del referendum, gli scontri etnici esistevano insieme a quelli religiosi e culturali. Ma ancora una volta si è preferita la divisione alla convivenza, il rispetto della nazione al rispetto della globalità. Se non siamo ancora abituati a vederci come appartenenti alla Comunità Europea, riusciremo mai a vederci come cittadini del villaggio globale?

Alessandra Del Prete

Fonti:

[1] Libro bianco sul dialogo interculturale del Consiglio d’Europa, giugno 2008

[2] Linee guida per l’educazione interculturale ( per maggior informazioni)

[3] Parole di Lara Campana, ricercatrice scientifica da quattro anni in Scozia 

Fonti immagini: Google