Il Caso Moro: i protagonisti, i fatti e le conseguenze

Il Caso Moro è stato uno degli eventi più drammatici della storia della Repubblica Italiana.
L’espressione “Caso Moro” fa riferimento al rapimento e all’uccisione, da parte delle Brigate Rosse, del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro.
Il tragico evento tenne tutta l’Italia col fiato sospeso, mentre la classe politica italiana, l’opinione pubblica e i familiari del presidente democristiano si divisero.
Oggi il Caso Moro continua a suscitare interrogativi e curiosità, che lo rendono ancora oggetto di indagine sia storica sia giornalistica.

I protagonisti

Chi era Aldo Moro

Aldo Moro è stato uno dei protagonisti più influenti della storia politica italiana. Nato in Puglia nel 1916, fu tra i pionieri della Democrazia Cristiana, fino a diventarne uno dei principali leader. Moro si è sempre impegnato nel formare gli italiani al valore della democrazia. Da un lato come uomo politico, contribuendo alla Costituzione del 1947, dall’altro come professore di diritto.

Negli anni Sessanta, ricoprì, per cinque anni consecutivi, la carica di Presidente del Consiglio. I suoi governi inaugurarono la fase del centrosinistra, caratterizzata da un’alleanza tra i socialisti di Pietro Nenni e i democristiani di Moro. Questa apertura a sinistra, poi, si radicò negli anni Settanta, attraverso il compromesso storico. Questo progetto mirava a coinvolgere nelle decisioni politiche il Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer. Moro, però, a causa di questa apertura a sinistra, nel teso contesto della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, divenne una figura divisiva.

Aldo Moro

Chi erano le Brigate Rosse

Le Brigate Rosse sono state tra le più note organizzazioni terroristiche di estrema sinistra in Italia. Nacquero negli anni di piombo, una stagione di violenza politica che travolse l’Italia tra gli anni Sessanta e Settanta. Questa stagione rispecchiava la crisi della società occidentale, che spinse sia i movimenti di estrema sinistra, come le Brigate Rosse, sia quelli di estrema destra, come Ordine Nuovo, a cercare di abbattere, con la violenza e il terrorismo, il potere costituito, seppur con metodologie radicalmente differenti.

Nel caso delle Brigate Rosse, esse intendevano abbattere il sistema capitalistico attraverso attentati, sequestri e omicidi di giornalisti, politici e uomini delle forze dell’ordine. La violenza delle Brigate Rosse, tuttavia, finì per suscitare orrore nella maggioranza sia della popolazione sia degli stessi movimenti e partiti di sinistra, fino ad arrivare alla denuncia pubblica del loro operato anche da parte del comunista Enrico Berlinguer.

I fatti

Il rapimento di Moro

La mattina del 16 marzo 1978, Aldo Moro avrebbe dovuto recarsi alla Camera dei Deputati per votare la fiducia al quarto governo Andreotti. Quest’ultimo, con il democristiano Giulio Andreotti alla presidenza, avrebbe preveduto la collaborazione di democristiani e comunisti. Un governo che avrebbe segnato un passo avanti importante per il progetto del compromesso storico.

Il leader DC, tuttavia, non giungerà mai alla Camera, poiché un commando armato delle Brigate Rosse gli tese un agguato in Via Fani a Roma. I brigatisti, vestiti da piloti dell’Alitalia, fecero fuoco sulla scorta, uccidendone i cinque poliziotti, e rapirono Aldo Moro. L’agguato, pianificato nei minimi dettagli, inferse una ferita profonda nel cuore della Repubblica Italiana.

La prigionia di Moro

In seguito al rapimento di Aldo Moro, le forze armate cominciarono a setacciare l’intero territorio nazionale, in cerca dei brigatisti, che tuttavia riuscirono a mantenere per tutto il tempo segreto il luogo della detenzione del presidente democristiano. Durante la prigionia, I brigatisti diffusero diversi comunicati, nei quali giustificavano il rapimento come un processo del popolo contro lo Stato corrotto.

Dal canto suo, invece, Aldo Moro scrisse diverse lettere, indirizzandole ad amici, parenti, e colleghi di partito, nelle quali mostrava, nonostante la tragica situazione, di conservare ancora una profonda lucidità politica. Moro chiedeva di trovare una soluzione alla crisi aprendo il dialogo con i brigatisti, ma il paese era spaccato in due. Alcuni, come il socialista Bettino Craxi, erano favorevoli alla trattativa. La maggior parte della classe politica, tuttavia, si barricò dietro la linea della fermezza, rifiutando qualsiasi tipo di compromesso con i terroristi.

La morte e il ritrovamento di Moro

Il 9 maggio 1978, dopo 55 giorni di ricerche frenetiche ma inconcludenti, le forze dell’ordine ricevettero una telefonata delle Brigate Rosse, con la notizia che a via Caetani avrebbero trovato una Renault 4 rossa con dentro il corpo del presidente Moro. La scelta del luogo fu emblematica, dal momento che si trovava a metà strada tra le sedi nazionali della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano. Un simbolo dirompente della contrarietà dei brigatisti al compromesso storico.

La notizia del ritrovamento e della morte di Moro sconvolse il paese, e i funerali, che si tennero in forma privata, divennero allegoria della sconfitta delle istituzioni. Francesco Cossiga, ministro dell’interno e democristiano fedele a Moro, ad esempio, per la vergogna rassegnò le dimissioni.

Il ruolo della famiglia Moro

Durante la prigionia di Moro, la moglie, Eleonora Chiavarelli, e i figli, Maria Fida, Giovanni, Agnese e Anna, si ritrovarono a dover affrontare da un lato il dolore e l’angoscia per il rapimento e dall’altro una sovraesposizione mediatica enorme. La famiglia, tuttavia, mantenne sempre dignità e compostezza, nonché fiducia nelle istituzioni.

Questa fiducia, però, cominciò a vacillare quando si trovarono di fronte alla linea della fermezza messa in atto dalla maggioranza della classe politica italiana. Anche sull’onda emotiva delle lettere ricevute, la famiglia continuò a chiedere il dialogo con i brigatisti, com’era anche desiderio di Moro. La famiglia, inoltre, lo difese anche quando gli stessi leader democristiani cominciarono opportunisticamente ad affermare sulla stampa che Moro avesse perso lucidità politica. La volontà della famiglia di ricorrere ad esequie private, dunque, va letta come un atto di protesta contro un sistema politico che, ai loro occhi, aveva voltato le spalle a Moro.

Le conseguenze

I processi alle Brigate Rosse

In seguito all’omicidio di Aldo Moro, le istituzioni ripresero, con ancora maggiore zelo, a combattere la violenza e il terrorismo politico. Il generale e carabiniere Carlo Alberto dalla Chiesa, già impegnato, dai primi anni Settanta, nella lotta alle Brigate Rosse, fu nominato coordinatore di un nucleo operativo speciale ai diretti ordini del ministro dell’interno, con poteri speciali nella lotta al terrorismo politico.

Le indagini portarono negli anni all’arresto di numerosi brigatisti, dovuto anche alla crisi del movimento innescata dal fallimento del rapimento di Moro, e a numerosi processi che identificarono Mario Moretti, Prospero Gallinari, Barbara Balzerani e Adriana Faranda tra i protagonisti principali del sequestro. Nonostante le condanne, però, diversi dettagli, legati a possibili ingerenze esterne da parte di figure politiche e servizi segreti deviati, sono rimasti irrisolti, rendendo ancora oggi il Caso Moro terreno di analisi per la storiografia italiana.

L’impatto del Caso Moro sulla politica italiana

La morte di Moro segnò innanzitutto il fallimento del compromesso storico, esacerbando il contrasto tra maggioranza democristiana e opposizione comunista.
La stessa nomina del Presidente della Repubblica fu segnata dalla vicenda. Prima del rapimento il nome più indicato come nuovo Presidente della Repubblica era proprio quello di Moro ma, con la morte del leader DC, la nomina passò al socialista Sandro Pertini.

Il Caso Moro fu anche uno dei segnali di crisi profonda della Prima Repubblica. Fino al 1983, infatti, si susseguirono brevi e deboli governi, dovuti alle diffidenze e alle tensioni interne tra i partiti. La vicenda segnò, però, anche l’ascesa politica di Bettino Craxi e del suo Partito Socialista Italiano, favorevoli alla trattativa con i brigatisti per salvare Moro. Craxi, infatti, diverrà, verso la metà degli anni Ottanta, una delle figure centrali del panorama politico italiano.

L’eredità del Caso Moro

Dal 1978 ad oggi, il Caso Moro ha continuato a rappresentare una pagina drammatica della storia italiana, ma anche una sorta di spartiacque nazionale, che ha cambiato il modo di percepire lo Stato, la democrazia e il terrorismo. L’evento, inoltre, si colloca anche emblematicamente alla fine degli anni Settanta, chiudendo idealmente la stagione degli anni di piombo.

La vicenda, ancora oggi, continua ad influenzare l’immaginario collettivo italiano, come dimostrano i numerosi prodotti letterari e cinematografici sulla vicenda. Tra questi prodotti, degno di nota è il saggio del 1978 “L’affaire Moro“, un meticoloso romanzo-inchiesta sul Caso Moro scritto da Leonardo Sciascia. Al 2022, invece, risale il film “Esterno Notte” di Marco Bellocchio, che analizza l’evento attraverso gli occhi dei suoi diversi protagonisti, fino a sconfinare nell’ucronia, immaginando conseguenze e reazioni di un’ipotetica sopravvivenza di Moro.

Conclusione

Il Caso Moro rappresenta da un lato un’oscura e triste parentesi della storia italiana, ma dall’altro anche il simbolo di una memoria che continua a conservarsi forte. La memoria di un uomo, Aldo Moro, che ha sempre cercato una via di conciliazione tra mondi radicalmente differenti, in alcuni casi riuscendoci, con i suoi governi di centrosinistra, mentre in altri scontrandosi con l’immobilismo della società italiana, fino a trovarvi la tragica morte.

Targa commemorativa a Moro in Via Caetani a Roma

Bibliografia

  • U. Gentiloni Silveri, Storia dell’Italia contemporanea 1943-2019, il Mulino, Bologna 2019.
  • G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, il Mulino, Bologna 2016.

Salvatore Tuccillo