La crisi dei missili di Cuba è stato uno degli eventi più delicati della storia della Guerra Fredda, nonché degli anni Sessanta del secolo scorso. Nel 1962, infatti, Stati Uniti e Unione Sovietica sfiorarono pericolosamente la guerra nucleare.
La crisi, ancora oggi, risulta importante storicamente per descrivere la Guerra Fredda e il clima di tensione internazionale che aveva trasformato il mondo in due sfere d’influenza. Questa crisi non fu il primo terreno di scontro tra Est ed Ovest del mondo, ma fu sicuramente il più significativo, per il carico di conseguenze in cui rischiò di trascinare il pianeta.
Indice dell'articolo
Le cause della crisi dei missili di Cuba
La Guerra Fredda
All’indomani della seconda guerra mondiale, le potenze vincitrici del conflitto, prima unite da un nemico comune, cominciarono a mostrare tutte le loro differenze.
Stati Uniti, Francia e Regno Unito basavano il loro sistema politico sul multipartitismo, seguivano un modello liberal-democratico e applicavano un’economia capitalista. L’Unione Sovietica, invece, era un regime autoritario, politicamente in mano a un solo partito, il Partito Comunista, ed economicamente comunisti, fedeli ai precetti del marxismo-leninismo.
Tali differenze sfociarono, già dalla fine degli anni Quaranta, nel fenomeno conosciuto storicamente come Guerra Fredda. Il termine deriva dal fatto che fosse caratterizzata non da un conflitto aperto su larga scala, come furono le due guerre mondiali, ma sulla lotta ideologica per il dominio geopolitico.
La Guerra Fredda, soprattutto negli anni Cinquanta assunse i caratteri di una guerra psicologica, basata sull’annientamento ideologico dell’avversario. Gli Stati Uniti, insieme ai principali paesi dell’Europa occidentale uniti dal Patto Atlantico, svilupparono a ovest un sistema liberale e capitalista. A Est, invece, vi era un sistema autoritario e comunista, con alla guida l’Unione Sovietica, che aveva unito tutti i Paesi sottomessi alla sua sfera d’influenza nel Patto di Varsavia.
Il mondo, dunque, era diviso in due, e celebre è divenuta poi la terminologia “cortina di ferra” coniata dal politico inglese Winston Curchill. La crisi dei missili di Cuba, in questo contesto, fu uno dei più rischiosi terreni di scontro tra questi due mondi.
I rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica
All’inizio degli anni Sessanta, Stati Uniti e Unione Sovietica alimentarono una competizione militare e politica estremamente accesa. Il lancio dello Sputnik 1, cioè il primo satellite artificiale della storia, da parte dei sovietici, fece temere che l’URSS fosse in vantaggio per quanto riguardava la tecnologia missilistica.
Colpevole anche un’esagerata propaganda del segretario del PCUS – e leader dell’Unione Sovietica – Nikita Chruščëv, gli statunitensi si convinsero che l’URSS fosse in possesso di grandi quantità di ICBM, ossia missili balistici intercontinentali. Questi ultimi erano temuti perché capaci di colpire un paese straniero direttamente dal proprio suolo nazionale, ed erano impossibili da abbattere per le tecnologie difensive dell’epoca.
Il timore del cosiddetto “missile gap” spinse l’allora presidente statunitense Dwight Eisenhower, sotto la pressione dell’opposizione, a potenziare la tecnologia missilistica del Paese. Gli Stati Uniti piazzarono inoltre vari ICBM in Europa, soprattutto in Italia e in Turchia, per prevenire eventuali minacce sovietiche.
Il democratico John F. Kennedy, leader dell’opposizione, sfruttò politicamente il missile gap e nel 1961 conquistò la presidenza degli USA. I nuovi rapporti dell’intelligence statunitense, però, confermarono che gli Stati Uniti avevano ormai colmato ampiamente il divario con l’URSS.
I rapporti con Cuba
Un delicato terreno di scontro, dopo quello di Belino che aveva portato alla costruzione dell’omonimo muro per dividere materialmente la Germania e simbolicamente l’Europa, fu Cuba. Nel 1959 il Movimento del 26 luglio, guidato da Fidel Castro e Che Guevara, rovesciò la dittatura di Fulgencio Batista, sostenuta dagli Stati Uniti, e avviò la rivoluzione cubana. La vittoria di Fidel Castro, che si dichiarava apertamente socialista, fece temere agli USA una reazione a catena che avrebbe portato tutta l’America Latina nell’orbita sovietica.
Già dai mesi subito successivi alla rivoluzione cubana, dunque, la Central Intelligence Agency, conosciuta con l’acronimo CIA, cominciò a pianificare la destabilizzazione di Cuba. Dopo l’embargo economico attuato dagli USA al nuovo governo cubano, però, Castro decise di firmare un trattato commerciale e di assistenza con l’URRS.
Prese avvio, a questo punto, con il beneplacito del nuovo presidente Kennedy, la cosiddetta invasione della Baia dei Porci. La CIA addestrò e armò esuli anticastristi affinché invadessero le coste cubane e rovesciassero il nuovo governo di Fidel Castro.
Kennedy, tuttavia, per evitare le accuse di attacco ad un altro Stato sovrano, negò l’intervento della marina e dell’aeronautica statunitense. Le forze castriste, dunque, scoprirono rapidamente l’invasione e la respinsero.
Lo schieramento dei missili
Il timore, divenuto ormai tangibile, di una possibile invasione straniera, spinse Cuba a chiedere sostegno militare all’Unione Sovietica. Quest’ultima, intanto, era in competizione con la Cina di Mao Zedong per la leadership ideologica del comunismo internazionale, e soffriva le ricadute della repressione ungherese del 1957 e della gestione della crisi di Berlino. Dopo un iniziale rifiuto, che rischiò di spingere Cuba nell’orbita cinese, l’URSS accettò di fornire armi a Cuba.
L’Unione Sovietica, oltre che a mantenere la leadership del comunismo internazionale, però, era soprattutto interessata alla sopravvivenza del regime socialista di Cuba. L’URSS, infatti, intendeva impegnarsi nel sostegno ai Paesi del Terzo Mondo, i quali, così come Cuba, stavano abbracciando l’ideologia comunista. Il leader sovietico Chruščëv, dunque, decise lo schieramento, su suolo cubano, di missili a medio raggio armati con testate nucleari, come deterrente a un possibile attacco degli USA.

Lo scoppio della crisi dei missili di Cuba
L’Unione Sovietica portò avanti l’operazione con estrema segretezza, sia durante il trasporto dei missili sia durante la costruzione delle postazioni di lancio. Il leader sovietico Chruščëv, infatti, continuava a rassicurare gli statunitensi che l’URSS stesse rifornendo Cuba solo di armi difensive. Dopo il fallimento dell’invasione della Baia dei Porci, gli Stati Uniti intensificarono i voli di ricognizione sopra l’isola cubana. Fu proprio uno di questi voli, nell’ottobre del 1962, ad avvistare e fotografare le postazioni di lancio dei missili, portando allo scoppio della crisi.
Avvisato della scoperta, il presidente statunitense Kennedy ordinò di mantenere la crisi segreta al pubblico e riunì il Consiglio di sicurezza nazionale, con l’obiettivo di trovare possibili linee d’azione. Tra le varie ipotesi vagliate, vi era il dubbio se gestire diplomaticamente la crisi, convincendo l’URSS a rimuovere i missili pacificamente, oppure militarmente, invadendo Cuba e rovesciando Castro. Gli Stati Uniti temevano fortemente la minaccia, perché i missili a medio raggio potevano colpire quasi l’intero territorio nazionale statunitense, e per questo dovevano agire con cautela.
I protagonisti della crisi dei missili di Cuba
Chi era John Fitzgerald Kennedy
John Fitzgerald Kennedy, conosciuto come JFK, è stato il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti, nonché figura significativa del Novecento. Di fede politica democratica, Kennedy conquistò la presidenza nel 1961 e si distinse per una visione politica moderna e lungimirante. Durante la sua presidenza affrontò delicati temi di politica estera, legati alla Guerra Fredda, come la gestione della crisi dei missili di Cuba e la guerra in Vietnam. In politica interna, invece, fu fautore di diverse riforme, tra le quali l’avanzamento nel campo dei diritti civili, oltre ad investire nel programma spaziale che porterà poi, nel 1969, l’uomo sulla Luna.
Il carattere estremamente moderno della sua politica, che ebbe ripercussioni anche nelle politiche riformiste di altri paesi, come ad esempio l’Italia, però, gli attirò diverse antipatie negli ambienti più tradizionali.
La sua presidenza terminò tragicamente nel 1963, quando un cecchino lo assassinò durante una visita a Dallas. Questo evento sconvolse profondamente gli Stati Uniti e il mondo, e ancora oggi è ricordato come una delle tragedie più drammatiche del secondo Novecento.
Chi era Nikita Chruščëv
Nikita Chruščëv è stato leader dell’Unione Sovietica dal 1953 al 1964. Figlio di contadini, Chruščëv risalì presto le gerarchie del PCUS, fino a diventarne il leader, appunto, alla morte di Stalin, nel 1953.
Come leader sovietico, avviò un processo entrato nella storia come “destalinizzazione”, con l’obiettivo di ridurre il clima di terrore stalinista e modernizzare l’URSS. Per fare ciò, Chruščëv denunciò pubblicamente i crimini dello stalinismo, sancendo una forte crisi idelogica del comunismo sovietico, che si accentuerà poi con la repressione ungherese del 1957.
In politica estera ed interna, Chruščëv adottò un atteggiamento determinato ma al tempo stesso flessibile, come dimostra appunto la sua gestione della crisi dei missili di Cuba.
I membri più radicali del PCUS consideravano debole il suo atteggiamento flessibile e modernizzatore e, nel 1964, lo destituirono sostituendolo con Brežnev, ritenuto più autoritario e tradizionalista.
Chi era Fidel Castro
Fidel Castro è stato leader del regime socialista cubano dal 1959 al 2008, nonché figura influnte del XX secolo. In seguito al colpo di Stato del generale Fulgencio Batista, che instaurò una dittatura militare, Castro si mise alla guida del Movimento del 26 luglio. Grazie anche all’operato del guerrigliero argentino Ernesto “Che” Guevara, nel 1959 rovesciò la dittatura di Batista, sancendo la rivoluzione cubana.
Giunto al potere, Castro trasformò Cuba in un paese socialista, nazionalizzando le industrie e riformando il settore agricolo. In seguito ai tentativi degli USA di rovesciare il suo governo, il leader cubano si avvicinò all’Unione Sovietica. All’inizio degli anni Sessanta lo scontro con gli Stati Uniti e l’alleanza con l’Unione Sovietica alimentarono le tensioni che portarono allo scoppio della crisi dei missili di Cuba.
Rimasto al potere per cinquant’anni, ha sancito il più lungo regime personale del Novecento. Salito al potere nel 1959, infatti, cedette il governo al fratello Raúl, anche lui reduce della rivoluzione cubana, nel 2008. L’opinione su Castro, come leader socialista di Cuba, è sempre stata divisiva. Per molti cubani e molti socialisti nel mondo, Castro era uno dei baluardi contro l’imperialismo statunitense. Da altri, invece, era criticato per la repressione politica e le restrizioni delle libertà civili. Tutto ciò rende Castro, ancora oggi, una delle figure più controverse e discusse del Novecento.
Le conseguenze della crisi dei missili di Cuba
La via diplomatica
Il generale Maxwell Taylor, capo dello stato maggiore congiunto, valutò negativamente la linea offensiva inizialmente sostenuta dal presidente Kennedy.
Egli, infatti, si mostrò dubbioso sia sulla riuscita di un bombardamento mirato alle postazioni missilistiche sovietiche, che avrebbe richiesto diversi giorni, sia sull’invasione terrestre, poiché avrebbe potuto causare un effetto domino negli altri paesi dell’America Latina, dando ai partiti comunisti locali l’occasione ideologica per rovesciare alcuni governi filo-statunitensi. Questa linea perse dunque vigore, e cominciò a prendere sempre più piede la linea diplomatica, con l’obiettivo di vagliare tutte le possibilità negoziali senza però sottomettersi ad eventuali ricatti sovietici.
In seguito alla decisione di risolvere diplomaticamente la crisi, Kennedy fece un discorso alla nazione e al mondo, rivelando la crisi dei missili di Cuba. Kennedy si dichiarò favorevole al dialogo ma avvertì che avrebbe considerato qualsiasi missile lanciato da Cuba verso Stati Uniti o Europa come un attacco diretto dell’URSS all’Occidente.
Gli Stati Uniti imposero poi un blocco navale preventivo per impedire che i missili nucleari ancora in viaggio dall’Unione Sovietica arrivassero sull’isola. Dal momento che un blocco navale dal diritto internazionale era considerato un atto di guerra, però, Kennedy decise di utilizzare la parola “quarantena” e rassicurò il mondo che non si sarebbe trattato di un blocco aggressivo come quello sovietico di Berlino del 1948.
Le reazioni internazionali alla crisi dei missili di Cuba
Il discorso del presidente statunitense Kennedy scatenò nel mondo le più disparate reazioni. Il governo della Germania Ovest appoggiò gli Stati Uniti, pur temendo che l’URSS potesse vendicarsi su Berlino. Lo stesso fece il governo francese. In Italia, papa Giovanni XXIII inviò un messaggio a Mosca dove mostrava tutta la sua preoccupazione per la crisi, invitando al mantenimento della pace. Nell’orbita sovietica, invece, diversi paesi criticarono la “quarantena” statunitense, tra cui la Corea del Nord, il Vietnam del Nord, e la Cina. I comunisti maoisti cinesi, inoltre, dichiararono totale sostegno ai cubani.
La reazione più significativa, tuttavia, fu quella del popolo. Il sentimento generale, all’indomani della scoperta della crisi, infatti, fu quello del terrore dell’annientamento atomico che un conflitto tra USA e URSS avrebbe comportato. Nei principali paesi occidentali, soprattutto negli Stati Uniti, i cittadini organizzarono manifestazioni pacifiche. La richiesta era una soltanto: risolvere diplomaticamente la crisi e scongiurare la guerra nucleare.

Le trattative USA-URSS
Alla notizia della scoperta dei missili sovietici da parte degli statunitensi, il leader sovietico Chruščëv entrò in stato d’allarme temendo l’invasione statunitense di Cuba. Dopo il discorso di Kennedy, il rischio immediato diminuì e l’URSS scelse di non reagire subito alla “quarantena” statunitense.
Il leader sovietico inviò, tuttavia, una missiva al governo statunitense, dove lo metteva in guardia da possibili attacchi o invasioni che avrebbero potuto minare la delicata pace mondiale. Kennedy rispose accusando il governo sovietico di aver fatto scoppiare la crisi, attraverso la segreta installazione dei missili nucleari sull’isola cubana.
Cuba, invece, nel suo piccolo, difendeva pubblicamente la sua sovranità, con Castro impegnato a mostrare ai cubani la crisi come lo scontro di un piccolo Stato contro il gigante statunitense. In realtà, ovviamente, Cuba era soltanto il terreno di scontro di un conflitto ideologico estremamente più grande, ossia quello tra USA e URSS.
Una nuova escalation
Il 26 ottobre 1962 Chruščëv scrisse personalmente una lettera e la inviò al Dipartimento di Stato americano. Nella missiva, egli proponeva lo smantellamento dei missili da Cuba in cambio della promessa statunitense di non invadere l’isola. Kennedy, informato, si mostrò favorevole ad accettare.
Tuttavia, il giorno dopo, sabato 27 ottobre 1962, passato alla storia come “Black Saturday”, il leader sovietico, propose un nuovo accordo. Oltre alla promessa di non invadere Cuba, infatti, l’URSS richiedeva anche lo smantellamento dei missili statunitensi in Italia e in Turchia, considerati una misura offensiva contro l’Unione Sovietica.
Kennedy accettò anche questa nuova richiesta, dal momento che gli USA avevano già programmato lo smantellamento di quei missili ormai obsoleti. La Turchia, però, respinse la proposta di Mosca, accusando gli Stati Uniti di cedere ai ricatti dell’URSS.
Ad aggravare quel cosiddetto “sabato nero”, poi, vi furono anche incidenti militari. Un aereo dell’Aeronautica statunitense, infatti, sconfinò per errore nello spazio aereo sovietico sopra il Mare di Bering, e l’URSS interpretò l’episodio come una ricognizione preliminare a un attacco nucleare. Caccia sovietici partirono col compito di abbattere l’aereo, e caccia statunitensi partirono per difenderlo. Il tempestivo ritiro del velivolo incriminato, però, riuscì fortunatamente ad evitare lo scontro.
La risoluzione della crisi dei missili di Cuba
Kennedy e i suoi collaboratori nella crisi cubana decisero di attuare una via di mezzo tra la prima e la seconda proposta di Chruščëv. Il presidente statunitense, infatti, inviò una lettera al leader sovietico dove si diceva pronto ad accettare la prima offerta di smantellamento dei missili a Cuba in cambio della promessa di non invadere Cuba. Segretamente, tuttavia, avrebbe anche smantellato volontariamente, dopo pochi mesi dalla crisi, i missili statunitensi in Italia e in Turchia.
La situazione, tuttavia, restava tesa. Kennedy non era sicuro che la manovra avrebbe avuto successo, e comunicò al proprio apparato militare a ai propri alleati di tenersi pronti ad un possibile conflitto, sia a Cuba sia in Europa.
Chruščëv, tuttavia, che rischiava sempre di più di perdere il controllo della situazione, per le pressioni statunitensi da un lato e cubane dall’altro, decise di accettare la proposta. L’URSS avrebbe smantellato i missili cubani e li avrebbe riportati in patria. Kennedy rilasciò immediatamente una dichiarazione dove affermava che Chruščëv fosse un grande statista e che avesse dato un contributo importante e costruttivo alla pace mondiale.
Il timore di una guerra nucleare
Durante la crisi dei missili di Cuba, il mondo andò vicino a un nuovo conflitto mondiale, che avrebbe potuto trascinare, tuttavia, il mondo nell’annientamento atomico. Solo un’azione di compromesso tra le due superpotenze, come alla fine accadde, avrebbe potuto evitare il disastro. Al tempo, per il carattere di segretezza dell’accordo, per l’opinione pubblica occidentale, Kennedy aveva vinto il conflitto umiliando Chruščëv. In realtà, entrambi fecero i giusti passi verso la risoluzione pacifica della crisi di Cuba, evitando soluzioni drastiche.
La consapevolezza di quanto il mondo fosse andato vicino alla guerra nucleare, inoltre, spinse l’URSS ad allentare i conflitti con gli USA. Chruščëv, infatti, propose a Kennedy di firmare un patto di non aggressione tra le due superpotenze, arrivando addirittura a proporre lo smantellamento degli arsenali nucleari e delle alleanze militari della NATO e del Patto di Varsavia.
Kennedy rispose tiepidamente, poiché stretto nella morsa degli ambienti più intransigenti del suo apparato di sicurezza nazionale. Si giunse però comunque a una linea diretta di comunicazione tra USA e URSS, la cosiddetta linea rossa, e si avviò un processo di trasformazione dei caratteri della Guerra Fredda.
Negli anni Cinquanta, infatti, il conflitto tra le due superpotenze aveva avuto come obiettivo la volontà di imporsi sull’avversario. Negli anni Sessanta, soprattutto in seguito alla crisi dei missili di Cuba, si affermò una specie di tolleranza reciproca, dove lo status quo imperfetto era di gran lunga preferibile all’annientamento atomico. Il teatro di scontro, tuttavia, divenne il Terzo Mondo, dove nessuna delle due superpotenze era intenzionata ad allentare la propria influenza.
Conclusione
La crisi dei missili di Cuba portò sia cambiamenti positivi, come una maggiore consapevolezza dei rischi di un nuovo conflitto mondiale, sia negativi, come l’entrata nel conflitto di altri protagonisti e diverse altre ripercussioni interne alle due superpotenze.
Cuba, infatti, reagì negativamente all’accordo, definendolo un tradimento dei sovietici. Lo stesso fece la Cina, paragonando le concessioni di Chruščëv a Kennedy a quelle che l’inglese Chamberlain fece al dittatore Hitler negli anni Trenta. Tutto ciò, dunque, se da un lato migliorò in parte i rapporti dell’URSS con gli USA, dall’altro acuì la crisi sino-sovietica.
In politica interna, molti criticarono la decisione di Chruščëv, e il PCUS giudicò l’episodio un’umiliazione per il prestigio sovietico. Questo, inoltre, portò molto probabilmente alla congiura interna al partito che segnò la destituzione di Chruščëv e la sua sostituzione con l’inflessibile Brežnev nel 1964.
Anche Kennedy, seppur considerato dall’opinione pubblica il vincitore della crisi, non fu esente da critiche interne. Gli ambienti più intransigenti e favorevoli all’invasione di Cuba, infatti, definirono il compromesso una capitolazione di fronte ai sovietici e un tradimento degli anticastristi rifugiati negli USA.
Bibliografia
- F. Barbagallo, I grandi cambiamenti del mondo tra XX e XXI secolo, 1945-2020, Laterza, Roma-Bari 2020.
Salvatore Tuccillo