Il primo re: dall’eroe epico all’oltreuomo

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Il primo re, nuovo film di Matteo Rovere con Alessandro Borghi, è nelle sale italiane dal 31 gennaio 2019. La  pellicola parte dalla nota vicenda mitologica dei due gemelli figli di Rea Silvia, sacerdotessa del tempio di Vesta e figlia di Numitore, re di Alba Longa. Secondo la tradizione, alla morte della madre i due bambini abbandonati in una cesta, furono tratti in salvo e allevati da una lupa. Divenuti adulti decisero di vendicarsi dello zio Amulio, che aveva condannato a morte la madre e di fondare una nuova città.

Il primo re, la trama

Il primo Re tralascia la parte dedicata all’infanzia dei gemelli e si apre in medias res con l’esondazione del Tevere. Straripando il fiume interrpompe la quiete dei due pastori, Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi), intenti a trascorrere i propri pomeriggi allevando pecore.

In seguito alla cattura da parte dei guerrieri di Alba Longa, i due riescono a fuggire grazie alle doti di astuzia e coraggio di Remo portando con sé come ostaggio una vestale (Tania Garribba) e il Sacro Fuoco che custodisce.

Gli dei sono dalla loro parte, ma presto riceveranno una terribile predizione: solo uno dei due fonderà una nuova città e diverrà immortale presso i posteri. L’altro, sarà inghiottito dalla morte e dall’oblio.

Il primo re non è la semplice trasposizione cinematografica della leggendaria fondazione di Roma nel 753 a.C. Ma la prima vera e cruda narrazione della sua sanguinosa nascita, attraverso gli occhi del suo antieroe.

È un excursus sul viaggio infernale dei figli della lupa alla ricerca della propria terra. Ma è anche un film che parla d’amore, amore fraterno, profondo e sincero.

Il primo re, Alessandro Borghi è l’Übermensch

Lo sforzo di difendere il gemello e salvarlo ripetutamente dalle avversità, tocca un estremo lirismo e dolcezza nello scenario di violenza e morte. Remo è un personaggio affascinante ed estremamente contraddittorio. Violento, forte e astuto, empio, ma dedito al valore della famiglia per la quale è pronto a dare la sua vita e tutto se stesso. Quando la vestale gli predice che avrebbe dovuto uccidere Romolo per fare la volontà degli dei e diventare re, egli uccide la vestale. Da un lato assume i tratti di un eroe cristiano più che pagano, ma nel finale si afferma pienamente come Übermensch.

Remo non si sottomette alla paura del divino, superando i limiti dell’uomo tradizionale. Se una divinità vuole sottrargli il fratello in cambio del potere, può tranquillamente fare a meno della sua protezione. Nel momento in cui anche Romolo si schiererà contro di lui, dalla parte del fuoco sacro, non si tirerà però indietro travolgendo nella violenza fratricida anche ciò che gli è più caro.

Chi darà ossequio al volere degli dei maligni e capricciosi? Chi poserà la prima pietra?

Contrariamente alle aspettative del pubblico il sacro compito di fondare Roma viene dato al più debole, al vigliacco. Cosa ne sarà invece di Remo, che con forza ha guidato i suoi compagni nella rivolta e nella conquista proteggendo il fratello fino a mettersi contro gli dei?

Il suo corpo diverrà cibo per i Mani, il suo sangue monito per il popolo. Sulla sua lapide poggerà l’ara della gloriosa e leggendaria città di Romolo.

Remo, l’eretico, l’invincibile, sarà sconfitto nel finale dalla sua stessa tracotanza e dal suo gemello debole, certo, ma che ha dalla sua una virtù ben più grande, quella di essere “timorato di Dio”. Sì, perché non esistono lumi al di sopra del fuoco degli dei. Neppure l’amore fraterno. E da quel momento gli schiavi diventeranno padroni, gli animali uomini e il pastore re, offrendo degna sepoltura ai corpi dei defunti nel cerchio del fuoco sacro.

Non sono ancora maturi i tempi in cui la ragione distruggerà la paura degli dei, non è tempo ancora per la debole fiammella umana di contrastare il volere del fato.

Un possente, crudo, truculento e sanguinario racconto che per l’80% si svolge attraverso gli occhi del vinto, ma che forse fu il vero eroe. Romolo malato e  ferito acquisisce la leadership solo nel finale, quando i giochi sono fatti, quando tutto è conquistato ma il fuoco è spento. E sarà lui soltanto a saperlo accendere quel fuoco, dal quale nascerà la città al di là del Tevere.

Perché? Perché la hbris di Remo è per forza di cose punita, mentre la pietas di Romolo condurrà i cives romani  all’eterna memoria. I due fratelli così uniti si staccheranno come foglia e palmo e “la legge della foglia” condannerà all’oblio il vinto.

Il primo re e la regia di Matteo Rovere

Matteo Rovere, giovane regista e sceneggiatore, ha fatto già parlare di sé come migliore cineasta italiano conquistandosi Il nastro d’argento al miglior produttore con il film Smetto quando voglio. Nel primo prodotto Rai Cinema, Groenlandia, Roman Citizen e Gapbusters, si serve di uno stile duro e semplice, con scene ambientate totalmente in Italia e luci naturali. Un prodotto che fa trattenere il respiro allo spettatore lasciandolo sul filo del rasoio per l’intera durata della pellicola.

La lingua usata nel film è il latino, ricreato attraverso un’operazione di ingegneria linguistica di archeologi, storici, linguisti e semiologi dell’ Università La Sapienza mescolata al sottofondo palpitante dei suoni di Andrea Farri. Grazie ai sottotitoli il film può però essere compreso abbastanza facilmente dal pubblico.

Mentre i personaggi si muovono violentemente sul set dove i fonemi in lingua, trascinano nel cuore della verità storica, lo spettatore lascia la sala ancora con il cuore in gola. Si ha l’impressione di essere saliti su una violenta giostra.

E quando ci si ferma, non si può far a meno di riflettere con un po’ di amarezza sulla morte del vero guerriero. Ecce homo o meglio l'”oltreuomo” che, come l’Ulisse dantesco, ha anticipato di secoli il volo verso la conoscenza non concessa ai mortali.

 

Rosa Auriemma