Antonio Latella riprende “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo
Che cosa succede se si prende una delle pietre miliari del teatro napoletano e la si sovverte profondamente, non nel contenuto o nella partitura, quanto nel modo di intendere la sua “interpretazioneâ€? La risposta è disponibile dal 16 al 27 novembre 2016 al San Ferdinando. Certo è che un Edoardo de Filippo, così come Totò, Troisi, Luisa Conte, Pupella Maggio e tutti i grandi, non può essere ripreso con la superficiale intenzione di un interpretazione uguale e identica al modello originale. Si tratterebbe di una copia goffa e malriuscita, essendo ogni essere umano, ogni artista, uguale solo a se stesso. Partendo da questo presupposto, e quindi prescindendo dal rischio di inciampare nel ridicolo, Antonio Latella si accosta alla materia classica del  “Natale in casa Cupielloâ€, ma non ne rimaneggia i contenuti. Semplicemente esprime la sua percezione del testo e dei suoi messaggi principali in maniera personale. De Filippo aveva celato fra le righe della partitura poche idee centrali: Latella le ha scovate, le ha stressate, le ha agitate, mescolate e riesposte ma non le ha cambiate. Anzi, a tratti le ha anche palesate. Partendo da questa base di analisi, si potrebbe dire che il regista non ha portato in scena “Natale in casa Cupielloâ€, tanto per non ingannare le aspettative dello spettatore medio che a leggere quel titolo sul cartellone del San Ferdinando potrebbe aspettarsi un classico di comicità natalizia e tradizionale per tutti i ceti. No. Si tratta di uno spettacolo di Antonio Latella, che parte dalla drammaturgia di “Natale in casa Cupielloâ€.
Che sia Natale è chiaro: c’è la stella. Una gigantesca stella cometa che sovrasta tutto il palco, nudo, spoglio di tutto fuorchè degli attori. E della stella cometa. Simbolo del Natale ma non solo “un†simbolo del Natale: la stella racchiude in sè tutti i simboli del Natale; rappresenta il presepe, quell’ossessione convulsiva che per Luca Cupiello (Francesco Manetti) è il Natale.

Rindondante, disarmonico, il motivetto perenne viene riproposto agli spettatori senza sosta con un audio originale della voce di Edoardo: “e mò mettimmece a fa ‘o presepe n’ata vota!â€. Come se del caos generale che lo circonda, Luca Cupiello non potesse intuirne neanche l’eco lontano. Un uomo pensato dall’autore e ricalcato da Latella ancora più accentuatamente come figura che in famiglia, quanto nella vita, è estranea a tutti i fatti più gravi ed importanti. Vive sereno nella sua dimensione. Percepisce poco e niente, tenuto all’oscuro di ogni cosa dalla moglie, che lo protegge dalle insidie del mondo, dai problemi con i figli, dai fatti reali, facendolo crogiolare nel suo mondo di montagne di cartapesta e pastori di gesso, evitandogli di affrontare problemi che non saprebbe risolvere. Trascurando però, l’efficiente matriarca, che qual’ora la realtà dovesse piombargli addosso inaspettatamente, lo troverebbe impreparato e potrebbe essergli fatale.
L’innocenza. L’infantilità . Il vero bambinello del presepe, come la regia saprà ben dipingerlo, è il signor Cupiello. E nel frattempo donna Concetta (Monica Piseddu) si sobbarca sulle spalle il peso di tutta la famiglia, dei guai che i figli combinano, si “traina†letteralmente la carretta, con tutto il peso del marito al suo interno, mentre lui gioca. La poverina a volte incespica. A volte non ce la fa. Soprattutto quando “Lucariè†involontariamente, le sbarra la strada, le appesantisce il carico, senza saperlo, senza capirci niente, come da copione. E il resto del cast? Non è un cast. È una drammaturgia che prende forma umana. Tutti vestiti da Fabio Sonnino elegantemente di nero, impellicciati, sembrano quasi minacciosi boss della mafia russa. Aprono la scena schierati orizzontalmente e recitano la partitura svelando il proprio personaggio man mano che mostrano gli occhi al pubblico, come se si svegliassero. Cantilenano fra cori e assoli le battute, i dialoghi, le note di regia, finanche la punteggiatura. Ovvio che lo spettacolo non può durare meno di due ore e mezza. centocinquanta minuti che però non sono mai sullo stesso tono. Nel frattempo, Luca subisce ogni vibrazione delle parole sussultando ad ogni fiato d’aria con frequenze diverse a seconda dell’intensità , come quei pupi che si muovono a tempo con le note degli strumenti musicali. Lui subisce il testo come subisce gli eventi, senza accorgersene e senza intervenire.
Per tutto lo spettacolo, ad angolo, un personaggio non si muove mai. Si rivela solo quando il povero Luca, fra tintinnii di tazzine e caffettiere, nell’ indifferente presenza di amici e parenti, è preso dagli spasimi mortali. Il suo intervento, copre la triste scena di ridicolo.

Presenziano anche tre personaggi che Edoardo non aveva previsto: sembrano voci fuori campo, e sono uomini vestiti da donne.
Ognuno esplica al massimo la quintessenza del suo personaggio tanto che non si può non captarla. E poi ci sono gli animali. Ogni attore si trascina il peso del suo animale. I capitoni, le galline, un porco, un gallo, un cammello, una pecora, un caprone con due corna enormi.
C’è il tradimento. Lo vuole la trama, e lo simboleggia a pieno una donna, Ninuccia (Valentina Acca), desiderata, ambita, litigata, divisa, conquistata, voluta, poi posseduta, e infine bistrattata, palleggiata, lanciata come un’accusa fra il marito e l’amante, fra l’uno e l’altro uomo.
Ma soprattutto, elemento ancora principale, c’è il riso. Il pubblico riesce a divertirsi nonostante tutto ciò che convenzionalmente faceva ridere di Edoardo, non c’è. Fattore rivelatorio della forza intrinseca nella struttura del testo e delle parole, che in modo o nell’altro, riesce a funzionare lo stesso.
Nel complesso, la scena di Simone Mannino e Simona D’Amico prevede pochi elementi. Quasi tutto ciò che gli attori indicano, toccano, descrivono, fanno e dicono và immaginato. E a quanto pare, il pubblico  riesce a stare al gioco. Questa è la magia del teatro, ma anche la credibilità degli attori. L’accompagnamento musicale di Franco Visioli non gioca un ruolo fondamentale nella suggestione scenica, in quanto non è neanche molto presente, non fosse per un pezzo di rock selvaggio che snocciola un momento di massimo caos della vicenda. Per il resto, abbiamo solo un petulante sottofondo monocorda e discontinuo, che abbandona la scena verso l’epilogo: quello, si snoda nel silenzio assoluto ed eloquente interpretato dagli attori,  e in quello riguardoso del pubblico impegnato a decifrare simboli e significati di quanto ha appena visto.
Letizia Laezza
Natale in casa Cupiello, di Eduardo De Filippo, regia di Antonio Latella- Teatro san Ferdinando- (sito ufficiale)