Antonio De Rosa e i Rever Music: l’intervista

Seduto su un muretto a Largo San Giovanni Maggiore, nel centro storico di Napoli, in una calda sera d’estate con la voce pacata e la birra in mano, Antonio De Rosa decide di raccontare il suo viaggio, originale e meraviglioso, nel mondo della musica. Ha lo sguardo basso ma sorride e i suoi occhi si illuminano dietro gli occhiali da vista, quando inizia a raccontare la sua storia. Antonio De Rosa

Perché è di notte che si diffondono i sogni nell’aria…

Antonio De Rosa è la voce dei Rever Music, un gruppo napoletano che con sacrificio, passione e determinazione si sta facendo strada nel panorama della musica partenopea.

Sono cresciuto nelle case popolari destinate ai soldati americani, a circa 1 km dall’aeroporto di Capodichino, dove la musica di sottofondo è il rumore di chi atterra e lascia la città in quegli uccelli di ferro che spariscono tra le nuvole. Ricordo nelle feste di piazza, nelle case ad alto volume, nelle macchine che sfrecciavano “sotto add’’a guagliona”, la musica neomelodica di metà anni ’90, quella che trattava di temi d’amore, storie di quartiere, in quelle zone dove se sei più famoso, sei più bravo: sei Artista.” Antonio De Rosa 

Antonio De Rosa, il viaggio nelle Marche

Mammà mi ha sempre raccontato con ironia che a 12 anni mi iscrisse a scuola calcio e un giorno, durante gli allenamenti, il mister le disse che mi mettevo a cantare in mezzo al campo! Allora lei mi indirizzò alla musica, non voleva che stessi per strada: non era per niente difficile perdermi, dato dove vivevo e con chi… aveva già cresciuto 7 figli prima di me. 

Così studiai canto fino ai 15 anni, ma lei capì che preferivo la strada: decise quindi di mandarmi nelle Marche da mio fratello: la calma che sentivo risuonare nelle mie orecchie pareva il Paradiso, tra quelle montagne sentivo energia… Avrei dovuto tornare a casa nel giro di qualche mese, invece decisi di restare.”

Antonio De Rosa sorride al pensiero di quello che sta raccontare. La voce mite si perde e inizia il viaggio nel viale dei ricordi. Quelli che a volte fanno più male, sono quelli che ci aiutano a crescere, che portano lì dove il cuore decide di andare.

Antonio De Rosa

Il primo amico fu Simone: mi prestò un libro – Storie di ordinaria follia di Bukowski – e  mi regalò un mp3 contenente tutti i successi di Guccini e De André. Rimasi stupefatto: stavo conoscendo la poesia accompagnata dalla melodia di una chitarra. Nel piccolo paese marchigiano iniziai a seguire con entusiasmo una band, “Le coincidenze del sessanta notturno”, che faceva cover di Rino Gaetano: me ne innamorai e mi immersi nel mondo della canzone d’autore. In quel periodo, frequentavo casa di Adriano, un artigiano che avevo conosciuto. Cuciva la pelle con vero amore e praticava buddismo. Antonio De Rosa 

Mi spiegò il “Nam myoho renge kyo”, capii che non era solo un artigiano, ma anche un artista della vita. Passavo con lui interi pomeriggi ad ascoltare musica, a saziarmi dei suoi racconti e qualche volta anche a meditare. Fu lui a farmi vincere la timidezza e mi convinse a mandare un messaggio a Simone, il chitarrista della band che seguivo; gli chiesi se poteva darmi lezioni di chitarra…”

“Fu l’inizio del mio sogno. Mentre studiavo i primi accordi, scrissi “Muòvete, muòvete“, un incitamento a quelle anime che, seppure forti, si fermano a volte anche per amore, uno sprone a non farlo mai, una dedica alla mia terra, continuamente mal dipinta. Un nuovo brano invece nacque subito dopo, tra pomeriggi di racconti, ascoltando Alpha Blondy.”

“Di pomeriggio mi incontravo con Foued, un ragazzo gentile che mi apostrofava in francese-napoletano “Uè Mon ami” . Veniva da Bizerte, mi raccontava che ce l’aveva fatta, con il suo papà aveva attraversato il mare e amava suonare la derbouka, come faceva in Tunisia. Ogni volta che ci trovavamo a suonare dimenticavo che era autodidatta come ognuno di noi: era forte. 

Così, raccontandoci le nostre vite, i nostri mondi così diversi e così uguali, parlando di religione e dividendo momenti, imparammo a suonare la musica dell’anima. Gli proposi di scrivere una canzone in cui io raccontassi il mio sguardo sulla sua terra, l’Africa, e lui il suo sulla mia. Tra musica e parole nacque “Africa”.

Antonio racconta che compiuti i 20 anni iniziava a comprendere la verità, di essere scappato dalla sua terra, dalle sue origine, e iniziava ad interrogarsi davvero su cos’è la vita. Mentre trascorreva i pomeriggi marchigiani nei bar del centro con gli amici, organizzando “suonate” e “serate” in musica, qualcosa all’improvviso cambiò:

“Ci ritrovammo io e Simone alla chitarra, Mauro ai ritmi, Marco alla tromba, Fouad alla derbouka: nacque “Cos’è la vita. Cos’è un inizio. Cos’è la fine.” Poi arrivò una telefonata da Napoli. Uno dei miei fratelli mi invitò a tornare a casa perché c’era un’offerta di lavoro. Avrei dovuto lavare i cessi degli uffici postali di tutta Napoli e provincia, un contratto di 3 mesi con un’azienda di  Roma. Accettai! Non era il massimo delle aspirazioni ma in compenso potevo scrivere, in più giravo con il furgoncino dell’azienda godendomi finalmente la mia terra.”

Il 1° settembre 2012 ci sarebbe stato un concerto di Enzo Avitabile e Bottari a Santa Barbara, a Caserta. L’avevo visto dal vivo solo l’anno precedente ad Orvieto ed ero riuscito a stringergli la mano. Così mi organizzai con Raffo e Pika per andare a vederlo. Con l’ultimo cd del momento “Black Tarantella”, andammo dietro al palco, ci facemmo un po’ di fila e poi… eccoci davanti al “Fratello soul” a raccontargli che venivamo da Secondigliano per assistere alla sua performance, poi all’improvviso esclamai: – Enzo, io voglio sunà, ma nun tengo ‘na lira!

Lui mi guardò, sorrise, si rivolse a qualcuno alle mie spalle e mi chiese cosa suonavo. Mi invito ad andare a Marianella presso l'”Associazione Natale Ciccarelli”: lì avrei trovato chi poteva aiutarmi. Non riuscivo a ragionare, sentivo il sangue che mi batteva forte nelle vene, saltavo: Enzo Avitabile mi aveva invitato ad andare a studiare musica lì dove lui era di casa.”

Il ritorno a Napoli, l’occasione: l’incontro con Enzo Avitabile

A questo punto del racconto, qualcosa cambia nel tono della sua voce. La nostalgia si confonde con il presente e un velo di fragilità emerge nei suoi occhi. Dura solo una frazione di secondo ma si percepisce nell’aria. Dopo qualche secondo, Antonio riprende da dove si era interrotto.

Dovevo provarci! Dopo circa 9 anni trascorsi in un piccolo paesino di montagna non fu facile riambientarmi a Napoli. Rincontrai Avitabile a dicembre dello stesso anno nella sua Marianella e in quell’occasione mi presentò Raf Marzano, da cui incominciai a prendere lezioni di pianoforte. Mi ritrovai a passare pomeriggi nel piccolo “Auditorium Enzo Avitabile”. Era un sogno già solo stare tra quelle mura, però volevo cantargli una mia creatura. Mi accontentavo anche solo di scambiarci qualche parola – chi mi conosce sa quanta stima ho sempre avuto per lui.”

Antonio De Rosa

“Un giorno mentre provavamo, si aprì la porta, alzai la testa, era lui. Enzo entrò e disse: – La accordiamo ‘sta chitarra o no? – Io rimasi in silenzio, mi si appannò la vista e mi emozionai. Stavo cantando una mia creatura, mentre continuammo la lezione. Sentii di trovarmi nel posto giusto. Dopo qualche settimana il maestro Raf mi propose di partecipare all'”Adunata Tumultuosa 2013”, un festival dell’Auditorium a cui avrei potuto partecipare nella sezione Cantautori con qualcosa di mio.

Per la prima serata – a volte ancora ora non ci credo – il 28 aprile 2013, scelsi “Un Giudice” di De André e come mio inedito “Muovete, muovete”. Arrivai in finale e portai anche “Africa” in compagnia di Cosimo che suonava la derbouka nella chiesa del mio rione. Ricordo che ero seduto in seconda fila quando fui proclamato primo in classifica con la miglior canzone d’autore. Mi sentivo solo anche se non lo ero, mi sentivo leggero e volevo gridare al mondo che i sogni li puoi realizzare!”

Il furto, la delusione e la paura di non farcela

“Fu un nuovo stimolo per continuare e dopo qualche tempo scrissi “A te, a te”, un invito a smettere di dire bugie, poi mi dedicai a “Balla”, un’esortazione a noi stessi, a danzare la vita, a combattere per realizzare i propri sogni: io stavo vedendo il mio diventare realtà. Frequentavo l’Associazione Area Nord Secondigliano e mettemmo su un piccolo studio di registrazione con mio fratello Ciro e con Raffaele.

Antonio De Rosa e I Rever Music

Poi si unirono Armando e Ema, la corista dell’area nord. Una sera incontrai Emanuele, che come me strimpellava la chitarra. Nacque subito un feeling di energia e iniziammo a registrare le prime canzoni nella piccola sala attrezzata nel quartiere. Tutto era magia per le mie orecchie.

Poi una mattina trovammo la porta della sala aperta: avevano preso tutto. Non avevo più niente per suonare. Stavo male, avrei voluto spaccare tutto e piansi. Guardavo fisso nel vuoto, annegavo nei pensieri e non riuscivo a trovare spiegazione a quanto ero accaduto. Cercavo un perché e alla fine lo trovai. Lo sguardo cadde sul muro della mia camera nel punto esatto in cui c’era una frase di Bob Marley:

“E se un sogno ha così tanti ostacoli, significa che è quello giusto”

Non potevo arrendermi e riparti, con i miei amici, completamente da zero. Per ricomprare tutti i nostri strumenti, ci venne l’idea di incidere tutti i brani composti insieme e mettere in vendita una compilation sul web. Furono mesi difficili e la voglia di smettere non venne a mancare. Pensai anche di raggiungere mio fratello a Barcellona e di abbandonare tutto.”

Rever Music: “Quando la musica fa sognare…”

Poi nacque “Veritas filia temporis” con Armouann, un rapper del mio rione, creando un semplice arpeggio. Pubblicai la mia prima canzone amatoriale su Youtube e quel brano mi diede l’input giusto per andare avanti. La chitarra di Armando esprimeva riscatto e poesia, la voce di Ema si accompagnava alla mia, la base rap dava la magia al pezzo che raccontava un po’ della mia storia.”

E il riscatto di  Antonio De Rosa e del suo gruppo non tardò ad arrivare.

Una mattina, arrivò una telefonata – Antò, metti Radio Marte! Stanno per trasmette la tua canzone – Corsi in cucina e vidi mia mamma già sintonizzata. Risi. Alzai il volume e la mia voce partì: ”

”Oh siente ‘o core comme fa, siente addó te vo purtà. Guardala dint’a lluocchie ‘a vita, nun te fermà maje ncoppa â sagliuta.. veritas filia temporis…”

“Tornai in camera, mi accesi una sigaretta e mi dissi: “Credo che la Spagna dovrà aspettare.” Dopo il furto subito in sala, decisi di esibirmi soltanto al “Secondigliano Music Festival”, un evento per giovani, cui ho partecipato per 3 anni e mi sono esibito con nuovi brani ma con gli amici di sempre. Suonavo nel mio quartiere, tra la mie gente e condividevo le mie canzoni con i fratelli della mia terra: vivevo il mio Sanremo. La cura, la mia cura, è da sempre condividere la mia musica con la mia gente, per diffondere quell’arte che cura l’anima, non fa esibire l’ego, fa guarire dalle sofferenze.

In quella calda estate di due anni fa, nacque “Ma comm’è”, un brano per esprime la meraviglia, il dubbio e la paura. Parlando con gli altri ragazzi, decidemmo di prendere parte all’edizione del 2015 del festival del mio rione: finalmente sentivo di nuovo la potente energia, come quando avevo preso in mano la chitarra per suonare la prima volta dal vivo.

Eravamo noi – Bruno al basso, Raf e Emanuele ai ritmi,, Annarita Varonesi, la corista e Antonio, un nuovo membro, alla chitarra – c’era la giusta alchimia. In totale collaborazione creammo il primo disco, intitolando questo percorso “Rever”, che in francese significa sognare, perché per noi fare musica è sognare, sempre.

Un’ottima proposta giunse qualche tempo dopo, mentre nella sala “WamiLab”, situata allora ai Ponti Rossi, che frequentavo per meditare e seguire la mia fede, ci ritrovavamo insieme. Un giorno, Stefano, uno dei titolari, mi chiese di poter registrare tutto. Insieme ci siamo occupati del montaggio, della cura dei testi, mentre scrivevo per la realizzazione del disco “Eh…” e “Aria di festa”, brani risalenti a inizio 2016, quando i media annunciavano continuamente gli attacchi e le guerre in atto, i bombardamenti in Africa e l’Europa sotto continui attentati.”

“…Perché l’essere umano fa ancora guerre, la stampa sponsorizza morti e fatti di sangue, in un rituale continuo, a ritmo di festa, dove tutto viene rappresentato al contrario, perciò l’invito ad alzare la testa: non è più tempo di mentire.” (Antonio De Rosa) 

Il contratto, il primo disco: il sogno si realizza

“Il momento più importante avvenne quando io e il chitarrista, Antonio d’Aniello, tornammo da un viaggio in Spagna post disco a settembre 2016, e venimmo chiamati da La Canzonetta, una tra le più importanti case discografiche di Napoli, che volle ascoltare tutti i singoli pezzi. In ognuno di loro era racchiuso un pezzo della nostra storia. Il risultato fu inaspettato e davvero soddisfacente: ottenemmo il consenso per firmare un contratto con la casa discografica. L’album è acquistabile sulle piattaforme online grazie a questo contratto e le copie fisiche arriveranno a breve: presto li porteremo in giro per il mondo!”

Antonio De Rosa

A questo punto della serata, la birra di Antonio si è fatta calda, ha perso quel suo sapore frizzantino. Molti preferiscono berla ghiacciata. La voce dei Rever Music finisce di bere l’ultimo sorso e pensa alla mia domanda, quali progetti spera per il suo gruppo.

“Nun voglio creder’ chi nun tene ‘nu suonno, ma a chill’ ca cumbattono tutt’ ‘e juorne…”

Con orgoglio la voce dei Rever presenta l’album Africa e paragona la sua storia ad una lunga scalinata da percorrere, come una strada che porta al successo. Antonio è soddisfatto del suo percorso, è riuscito a raggiungere importanti traguardi, che rappresentano soltanto i primi tronfi.

Antonio De RosaNon è stato facile tornare a Napoli, confrontarsi di nuovo con la realtà del suo rione e continuare, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, a combattere ogni giorno per realizzare i propri sogni. Tantissimi sono stati i momenti di sofferenza professionale e personale, ma i Rever Music hanno trovato la loro strada nella musica napoletana.

Manca poco per la mezzanotte. La birra è finita e la bottiglia sul muretto è vuota. Ma vuota non è la voglia di Antonio di continuare a fare della sua passione, la sua missione di vita. Napoli è la parola chiave, la città dove le possibilità sono poche ma dove i sognatori arpeggiano i suoni della sua magia, come un abbraccio che ti avvolge e ti sussurra “ce la puoi fare…”

Valentina Labattaglia

Per seguire:

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  • Rever Music sulla pagina Facebook ufficiale, clicca qui.
  • Immagine ufficiale dell’album Africa.

Per ascoltare:

  • Veritas Filia Temporis, clicca qui.
  • Muovete, muovete, clicca qui.