Scrubs: un po’ di nostalgia non fa male

Dal 2001 al 2010 è andato in onda un fenomeno, ideato da Bill Lawrence, che va ben al di là del concetto di serie tv. “Scrubs“.

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Per molti attuali trentenni si tratta di uno degli scrigni in cui è racchiusa una parte dell’adolescenza, con annessi ricordi soleggiati e crisi di pianto che hanno inevitabilmente reso il secondo decennio di vita così determinante per tutto ciò che poi è seguito.

Chi è cresciuto con “Scrubs” non ha via di scampo: prima o poi ritornerà a guardarlo, con gioia e nostalgia.

I personaggi di Scrubs
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Il protagonista assoluto è J.D. (Zach Braff), veicolo su cui muoversi lungo gli episodi, e lente attraverso cui guardare l’ospedale del Sacro Cuore. Come tutti gli altri personaggi, J.D. evolve, soprattutto nelle ultime stagioni che lo vedono invecchiato, pieno di esperienza e un po’ stanco per tutto quello che ha visto accadere nei corridoi in cui lavora.

È diventato padre, è pronto ad affrontare una relazione stabile: insomma è diventato davvero adulto. Ma ecco qual è l’aspetto migliore di J.D. e, metaforicamente, dell’intera serie tv “Scrubs”: anche da adulto, ha conservato quella stranezza, quella piccola parte folle della sua mente che lo induce scrubsa guardare in alto e a immaginare l’impossibile.

Turk (Donald Faison) è, come Elliot (Sarah Chalke), uno specializzando coetaneo di J.D.. Innamorato fin da subito dell’infermiera Carla – più grande di tutti e tre, con più esperienza e più senso pratico – percorre un’evoluzione parallela a quella dell’amico, forse ancora più accelerata dal precoce matrimonio e dalla paternità.

Turk e sua moglie, latinoamericana, diventano la smentita vivente degli stereotipi sulle due rispettive etnie, e contemporaneamente lo stereotipo stesso, mescolando la tipica ironia di “Scrubs” a qualche riflessione più profonda sulle difficoltà che entrambi affrontano.

Elliot è un personaggio femminile fenomenale: insopportabile,scrubs paranoica, insicura, con un passato terrificante alle spalle che pian piano lo spettatore può ricostruire grazie ad alcuni accenni che Elliot stessa dà. Per certi versi è lo specchio di J.D., un’adolescente nella prima stagione e una donna nell’ottava. Proprio con J.D. tesse un rapporto tormentato, anche questo immaturo all’inizio, e più consapevole alla fine.

Sarebbe impossibile rendere giustizia a tutti: il dottor Cox (John C. McGinley) è il padre severo di tutti, cattivo come pochi in apparenza e dall’evoluzione strepitosa, un Dr. House più umano e al contempo caricaturizzato; scrubsil dottor Kelso (Ken Jenkins) rappresenta la cattiva medicina che bada all’economia, e anche il medico dai due volti, quello diabolico e quello sconosciuto riservato alla sfera privata; l’inserviente (Neil Flynn), è la spalla comica, un personaggio tanto misterioso da riuscire a creare all’interno della serie un piccolo universo mistico legato al suo nome e alla sua vita privata…

Tutti i personaggi sono caratterizzati così bene che dopo poco lo spettatore è capace di riconoscere tutti, comprenderli e apprezzarne i cambiamenti, come fossero vecchi amici.

Episodi: cos’ha di speciale Scrubs?

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“Scrubs” si struttura in episodi autoconclusivi convergenti verso un tema specifico, di solito esposto dalla voce fuori campo di J.D.. Il titolo comincia sempre con l’aggettivo possessivo “mio”, per indicare che J.D. – il quale apre e scrubschiude con una valutazione generale la giornata appena trascorsa in ospedale – racconta di una sua esperienza personale, forse di un passato piuttosto lontano. L’impressione è che ripassi il suo personale libretto delle istruzioni, che ha scritto da sé, munito solo della propria esperienza.

Siamo arrivati a scoprire qual è la vera forza di “Scrubs”: è un manuale di vita. Certo, è semplice, è umile: cosa ci si potrebbe aspettare da un episodio di venti minuti? Ma è sempre accompagnato da una dolcezza finale che sembra alzare le spalle, come a dire che voleva solo dare una dritta, il suo parere, che ci ha provato, ma la vita va vissuta e le soluzioni vanno trovate da soli, crescendo. E siamo in un ospedale, e si parla di vita vera: c’è bisogno di affrontare la morte, il matrimonio, l’indipendenza, il destino, il dolore, scrubsla ricerca della felicità…

Ma tutto, tutto in “Scrubs”, è costantemente colorato dallo sguardo di J.D., ingenuo per certi versi, innamorato di perline, farfalle e pirati, dal cervello svelto ma dall’animo infantile, pieno dei difetti tipici dei bambini.

E dalla sua immaginazione in continuo movimento si parte alla volta delle metafore, dell’ironia, dell’assurdo che sfocia in un’irrealtà delirante e, all’opposto, della realtà troppo dura contro cui si va a sbattere, fino alla costruzione di una favola per neo-adulti che vogliono sentirsi rassicurati, tranquillizzati, coccolati e divertiti, anche se questo dovesse comportare, nel frattempo, qualche lacrima.

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“Scrubs” fa disperare, piangere a dirotto, e ridere, riflettere, e porsi domande, e fa tutto questo accogliendo a braccia affettuosamente aperte chiunque passi di là.

Chiara Orefice