Filosofia analitica, significato del nome ed esponenti

L’espressione “filosofia analitica” viene utilizzata il più delle volte il contrapposizione a quella di “filosofia continentale“. Tuttavia, riguardo la differenza tra queste due correnti di pensiero e l’esatta appartenenza dei vari filosofi all’uno e all’altro insieme, vi è una certa confusione. In questo articolo facciamo un po’ di chiarezza in merito, e definiamo meglio ciò che chiamiamo filosofia analitica.

L’origine del nome “filosofia analitica”

La dicitura “filosofia analitica” fa la sua comparsa negli anni trenta del Novecento, a opera del filosofo boemo naturalizzato statunitense Ernest Nagel, nel saggio Impressions and Appraisals of Analytic Philosophy in Europe. Difatti, Nagel definisce la filosofia analitica come una “nuova tendenza”. Tuttavia, quella che definisce “nuova” è una forma filosofica già molto diffusa nel suo tempo, in particolare in area tedesca e inglese. Proprio il fatto che essa trova larga diffusione in Gran Bretagna comporta spesso l’identificazione della filosofia analitica con la filosofia anglosassone. Dunque, proprio da questa presunta identificazione ne consegue in modo generico anche la sua contrapposizione con la filosofia “al di là della Manica”, quella “continentale”.

Tuttavia, questa distinzione regge poco, dato che studiosi dell’una e dell’altra corrente appartengono ad ambo i territori. Inoltre, questa mescolanza non riguarda solo i tempi recenti. Infatti, come detto, la filosofia analitica appartiene già ai suoi albori tanto a filosofi inglesi quanto ad austriaci e tedeschi. Ecco perché l’identificazione netta della filosofia analitica con quella inglese è uno schema che induce in errore. Del resto, il nome stesso non richiama un’area geografica (come invece nel caso della filosofia continentale) quanto un metodo, quello analitico.

Ma cosa significa “filosofia analitica”? In effetti, anche sulla definizione manca un accordo univoco. Tra i filosofi che propongono una definizione ricordiamo Michael Dummett, il quale afferma che essa studia il pensiero mediante il suo prodotto, cioè il linguaggio. La parola “analitica” rimanda all’idea di uno studio particolareggiato dei dati elementari, per questo la filosofia analitica afferma che per la comprensione del pensiero è necessario partire prima dal linguaggio. Tuttavia, questo aspetto della filosofia analitica sembra meno presente nei filosofi più recenti che purtuttavia sono ascritti a questa corrente filosofica.

I precursori della filosofia analitica

Filosofia analitica
Testa in marmo di Aristotele. Fonte immagine: Wikimedia Commons.

Come abbiamo detto, la filosofia analitica riguarda il ventesimo secolo. Tuttavia, i filosofi analitici individuano tra i pensatori dei secoli precedenti alcuni loro predecessori. Tra questi il primo, almeno in ordine di antichità, è Aristotele. È il primo che affronta temi di analitica nei suoi trattati sulla logica in questa modalità. Il filosofo greco non solo pone attenzione alla sfera del linguaggio e distingue i verbi dai nomi, egli analizza il significato delle parole a seconda del contesto nelle quali esse sono utilizzate. Infatti, pone la differenza tra logos semantico (discorso che esprime significato) e logos apofantico (che esprime verità). Perciò l’opera di Aristotele, differente dall’uso ingannevole dei sofisti e volta alla comprensione del significato delle parole, appare come un’analisi del significato che rappresenta il cuore dell’analitica.

Lo studio aristotelico prosegue fino al Medioevo e raggiunge la modernità, dove trova un ulteriore sviluppo grazie a filosofi quali Leibniz e Cartesio. Infatti, ricordiamo oggi quest’ultimo come il fondatore della geometria analitica, cioè lo studio delle figure geometriche attraverso i cosiddetti assi cartesiani. Il suo testo Discorso sul metodo per la buona condotta della ragione mostra che c’è un metodo comune per lo studio di temi matematici e fisici, e come questo metodo permette la distinzione di ciò che è vero da ciò che è falso. Le regole per il corretto uso di questo metodo sono la sintesi, l’evidenza, l’enumerazione e, ovviamente, l’analisi.

Invece, con Leibniz abbiamo una connessione ancor più forte e diretta tra logica aristotelica e calcolo matematico. Infatti, egli ritiene che l’invenzione e l’utilizzo di un linguaggio artificiale equivalente a un insieme di calcoli è la formula per eliminare qualsiasi confusione derivata dall’uso improprio del linguaggio. Tuttavia, Leibniz non riesce a portare a termine il suo progetto.

I “padri fondatori” della filosofia analitica

Dunque, arriviamo al diciannovesimo secolo, e sulla scia di Leibniz vari filosofi proseguono studi sulla logica, sul calcolo e sul linguaggio. Primo tra tutti troviamo il tedesco Gottlob Frege, a oggi considerato il più grande logico dopo Aristotele. Studioso sia di filosofia della matematica sia di filosofia del linguaggio, è il fondatore del logicismo, secondo cui tutte le regole aritmetiche sono riconducibile alla logica. In quanto ciò, i giudizi dell’aritmetica sono analitici, cioè dimostrabili attraverso l’uso della scienza logica. Quindi, su questa base tenta anch’egli la delineazione di un linguaggio logico universale che definisce “ideografia” o “scrittura per concetti”. Così, Frege formula il concetto di bedeutung (denotazione), cioè l’essere denotante o non denotante di un dato termine e rispondere alle questioni di verità e falsità. Perciò, egli è considerato il padre della filosofia analitica.

Tuttavia, il progetto di Frege è messo in crisi da un pensatore inglese suo contemporaneo, Bertrand Russell. Proprio quest’ultimo, nonostante la critica a Frege, è considerato un altro importante esponente della filosofia analitica. Difatti, egli ritiene che la filosofia è logica. Però, a differenza di Frege, egli fonde tale frangia della filosofia con l’empirismo. Infatti, la critica a Frege non riguarda il suo progetto, di cui anzi mostra l’apprezzamento. Invece, egli lo studia con attenzione e dimostra che una delle premesse su cui si basa la costruzione del suo linguaggio logico è sbagliata.

Amico di Russell è l’inglese Edward Moore, anch’egli vicino all’empirismo inglese. Tuttavia, mentre Russell afferma che la filosofia, in quanto logica, non si occupa di etica e politica, egli ritiene che anche l’etica deve essere affrontata dalla logica. Perciò, egli descrive la necessità di un’analisi di tutte le proposizioni etiche, come il concetto di bene. Così, Moore giunge alla conclusione che “giusto” ha il significato di “causa di buon risultato”.

La filosofia analitica tra filosofi tedeschi e inglesi

Altro importante fulcro per lo sviluppo della filosofia analitica è il Circolo di Vienna. Di questo fa parte Rudolf Carnap, grande sostenitore dell’esperantismo, la lingua universale, e studioso della costruzione dei sistemi logico formali.

Nel frattempo in Inghilterra altri studiosi si dedicano alla filosofia analitica, tra cui Willard Quine. Quine è molto critico nei confronti di Carnap e della sua definizione di analitico, in quanto ritiene che l’origine del linguaggio va rintracciata non in una teoria della mente, ma in un’ottica comportamentista.

Sia per gli studiosi inglesi sia per quelli tedeschi risulta essenziale la ricerca di un altro filosofo: Ludwig Wittgenstein. Di solito, il pensiero di Wittgenstein è diviso tra due fasi della sua vita. Così, se il “primo Wittgenstein” è più vicino all’empirismo logico, il “secondo” risulta decisivo per lo sviluppo della filosofia analitica del linguaggio. Il suo testo del 1921 Trattato logico-filosofico, con prefazione di Russell, per quanto breve e ispirato nella forma argomentativa allo stile di Frege, suscita una grande attenzione e garantisce nuova linfa alle ricerche di filosofia analitica.

Tra le tesi più dibattute proposte da Wittgenstein, vi è l’idea che il linguaggio non permette la trattazione di ciò che appartiene alla struttura del linguaggio stesso. Cioè, non è possibile il metalinguaggio, proposto invece ad esempio da Russell. Inoltre, egli afferma anche che il linguaggio dotato di senso è solo quello che si riferisce ai fatti, non alle cose. Cioè, i fatti, ciò a cui fanno riferimento tutti i linguaggi, non hanno alcuna attinenza con le cose. Perciò, tutte le proposizioni religiose, etiche, estetiche, risultano insensate.

Che cosa è la filosofia analitica?

Quelli che abbiamo indicato sono i filosofi più importanti nei quali è possibile rinvenire elementi di filosofia analitica. Tuttavia, non mancano pensatori che, almeno per quel che concerne parte della delle loro ricerche, sono visti vicini a questa posizione filosofica, sia precedenti la definizione stessa di filosofia analitica (Kant, Hume,…) sia contemporanei ad essa (Putnam, Goodman,…). In effetti, appare evidente da quanto detto perché la filosofia analitica non può essere assunta in opposizione netta col resto della filosofia, quella definita continentale, tanto più che oggi essa si occupa, sulla scia di Moore ed altri, anche di altre questioni come quelle etiche e metafisiche. Inoltre, anche se indichiamo Frege come un pensatore importante per il suo sviluppo, egli non è stato un caposcuola, come ne rintracciamo in altri filoni di ricerca filosofica, né è possibile individuarne un altro.

Ma allora, che cosa è la filosofia analitica? Se cerchiamo un filo rosso tra tutti i nomi citati, individuiamo di certo l’analisi dei significati a livello concettuale delle espressioni usate. Infatti, come abbiamo visto, dal punto di vista contenutistico questi pensatori propongono argomenti molto diversi e spesso contraddittori. Invece, elemento comune è proprio l’analisi che comporta un’accurata argomentazione onde evitare contraddizioni, nell’ottica di una ricerca rigorosa.

Insomma, la filosofia analitica, più che rappresentare certi contenuti, è oggi vista come una determinata visione del mondo, uno “stile” del fare filosofia. Se da un lato ciò la rende diversa da altri rami della filosofia, va detto che in tutte le correnti filosofiche non troviamo mai univocità ma una pluralità di idee ruotanti intorno pochi nuclei comuni.

Filosofia post-analitica

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Achille Varzi. Fonte immagine: Wikipedia.org.

La tanto veloce quanto significativa trasformazione della filosofia analitica a seguito del contributo dei filosofi che ne fanno parte porta oggi a parlare di filosofia post-analitica. Cioè, oggi l’analitica vive una nuova fase per contenuti e metodo adottati. Infatti, in genere si parla di una prima svolta di tale filosofia tra 1980 e 1990 che trova un contatto col cognitivismo, tanto da parlare di psicologia filosofica, e una seconda svolta negli anni 2000, più interessata questa volta ai temi metafisici. Tuttavia, va notato che l’interesse per la metafisica è sempre stato presente, per quanto in antitesi con le trattazioni classiche.

Tra i maggiori filosofi analitici italiani contemporanei, ricordiamo Achille Varzi, professore di filosofia a New York. Studioso prima a Trento e poi in Canada, Varzi è tra i fautori della rinascita degli studi metafisici e ontologici.

Luigi D’Anto’

Bibliografia

Albert Newen, Filosofia analitica, un’introduzione, Einaudi 2010.

Sitografia

Per approfondire i temi trattati, si consiglia la visione della lezione tenuta da Mario De Caro e Costantino Esposito sul confronto tra filosofia continentale e filosofia analitica.

Conferenza sulla metafisica analitica sul canale Youtube del Rosmini Institute con Achille Varzi.

Nota: L’immagine di copertina è tratta dal sito Pxhere.com.