Dipnoi: morfologia e anatomia dei primi vertebrati polmonati

L’ossigeno, grazie alle sue caratteristiche chimiche e alla sua relativa (e attuale) abbondanza, rappresenta l’accettore finale degli elettroni nella respirazione cellulare. La maggior parte delle forme di vita superiori ha basato il proprio metabolismo su questo elemento. La selezione naturale ha quindi premiato quelle specie che hanno trovato il modo migliore per approvvigionarsene. Negli ambienti acquatici la strategia prevalente punta sulle branchie. Eppure non tutti i pesci vi ci sono omologati: i dipnoi, già nel devoniano, si inventarono i polmoni e la (conseguente) respirazione doppia.

Facciamo un tuffo virtuale nelle acque preistoriche per scoprire come sono nate queste creature uniche.

Dipnoi: un inquadramento sistematico su base anatomica

I Dipnoi (dal greco: δίς, doppio; πνέω, respiro) rappresentano una ramificazione (attualmente) quasi secca del più vasto clade dei pesci ossei (Osteichthyes). Si distinguono da tutti gli altri ittiopsidi per la presenza di sacche respiratorie. Il loro polmone è situato in posizione dorsale, multicamerato ma non alveolare, a differenza dei tetrapodi – che vantano strutture con una maggior ratio superficie/volume. Si è evoluto a partire dalla vescica natatoria, attraverso un processo così straordinario da essere diventato eponimo dello stesso taxon.

Conseguenza di questa conquista evolutiva è la necessità di sviluppare una circolazione sanguigna doppia. Il cuore si riorganizza, dividendosi in due comparti: nel destro transita il sangue non ossigenato; nel sinistro quello proveniente dai polmoni. I dipnoi generalmente conservano anche le branchie, potendo usufruire di entrambi i sistemi respiratori all’occorrenza. L’ingresso dell’aria è favorito dalla presenza delle coane, cavità nasali che mettono in comunicazione le narici con la bocca.

Contrariamente ai tessuti molli, le strutture minerali hanno ben poco di sofisticato. L’endoscheletro è per lo più cartilagineo, con un’ossificazione scarna e poco più che abbozzata, eccezion fatta per le placche masticatorie, diffuse su tutto il palato. Per il sostegno di affidano alla corda dorsale, stretta da vertebre addensate maggiormente in prossimità della regione caudale.

Le pinne pari sono di tipo lobato. Per questa ragione i dipnoi sono inquadrati nel gruppo dei Sarcopterygii, i pesci ossei dalle estremità carnose. L’arto assume la configurazione biseriata, con il pezzo basale disposte centralmente a formare un asse dal quale dipartono due file di raggi laterali. L’altro clade del gruppo, i Crossopterygii, si distingue invece per l’arto uniseriato.

Ciò che resta degli antichi fasti

Nonostante oggi le specie ad esso afferenti si contino sulle dita delle mani, il record fossile ci racconta una storia diversa e insospettabile: quella di un taxon un tempo abbondante e di successo.

Avendo subito una progressiva riduzione delle strutture scheletriche, la maggior parte delle testimonianze passate consiste in placche dentarie. Attraverso le tecniche di datazione molecolare sappiamo che i dipnoi comparvero nel Devoniano, periodo in cui si raggiunse la maggiore biodiversità ittica attestata durante il Paleozoico. Per una diffusione su larga scala dovettero però attendere il Mesozoico.

Attualmente si registrano solo tre generi rimasti:

Dipnoi

Neoceratodus

Diffuso in passato anche in Sud America e in Nord Africa (sahariano), il Neoceratodus è rimasto soltanto in Australia. Conta una sola specie, il N. forsteri, di fiume. Dalle sue parti è però noto come barramunda, parola derivante dal retaggio Pama–Nyungan.

È un pesce dalle dimensioni piuttosto cospicue, arrivando (da adulto) a misurare circa 1,70 m, e dall’aspetto rozzo e primitivo. Le scaglie robuste e pesanti – in controtendenza con l’alleggerimento tipico dei Teleostei – concorrono a farcelo definire “fossile vivente“.

Questa trama tegumentaria così resistente gli deve essere tornata utile negli ambienti di acqua bassa. La pressione selettiva sarà probabilmente occorsa nella necessità di proteggere il ventre dalle abrasioni da contatto col substrato fluviale.

Lepidosiren

Come avviene per il genere Neoceratodus anche il Lepidosiren annovera (attualmente) una sola specie, il L. paradoxa. Oggi lo si trova solo in Sud America, ma il record fossile ci parla di una diffusione su scala ben più ampia.

Presenta un aspetto anguilliforme, con le pinne a guisa di filamenti (poco) carnosi e la coda ridotta giusto ad una plica cutanea. Parallelamente (si ritiene) al restringimento dell’opercolo la sua respirazione branchiale è regredita, e riesce a respirare solo attraverso l’approvvigionamento aereo.

Protopterus

La somiglianza con Lepidosiren li rende difficilmente distinguibili ad occhi inesperti. Tuttavia le quattro specie del genere Protopterus abitano esclusivamente fiumi africani, sollevandoci da qualunque dubbio di catalogazione. Recenti ricostruzioni paleogeografiche evidenziano una però probabile convivenza tra i due taxa, quando l’America Latina era ancora attaccata al Continente Nero.

Che se ne fa un pesce dei polmoni?

L’evidenze stravaganza fenotipica di queste creature porta i curiosi a porsi più di una domanda: quale pressione selettiva avrebbe richiesto tali peculiari adattamenti?

Si ritiene che il carattere si sia diffuso in quei corsi d’acqua laddove si verificavano frequentemente delle secche. I pesci, rimasti confinati in piccole pozze stagnanti e perciò ipossiche, avrebbero potuto rifornirsi di ossigeno prelevandolo direttamente dall’aria.

L’ipotesi da ragionevole diventa sostenibile quando si osserva come i Dipnoi moderni sfruttino profittevolmente la respirazione polmonare. Neoceratodus trova nel polmone un grosso alleato contro il caldo siccitoso delle estati nel Queenland occidentale. Quando le piogge latitano, e si creano secche importanti, questi pesci sono anche in grado di trascinarsi da una pozzanghera all’altra attraversando l’arida terraferma.

Protopterus è addirittura in grado di estivare, costruendosi un bozzolo di muco e resistendo al sicuro in un solco che scava nel fango, con l’aspettativa di passare indenne la stagione più torrida.

Dipnoi: antenati dei tetrapodi o vicolo cieco?

Fin dalla loro scoperta i Dipnoi hanno destato curiosità e acceso dibattiti circa la loro natura. In particolare non è chiara la loro posizione all’interno dell’albero filogenetico dei vertebrati. Il loro posto è continuamente messo in discussione.

Da tempo ormai si ritiene che i Tetrapodi abbiano avuto origine all’interno del clade dei Sarcopterigi. Sulla base di osservazioni anatomiche la maggior parte dei paleontologi ha ritenuto i Crossopterigi (e in special modo i Ripidisti) il sister group dei Tetrapodi.

Le analisi molecolari hanno però messo in discussione le relazioni tra i taxa dei Sarcopterigi stessi e hanno portato a riconsiderare i rapporti di parentela coi Tetrapodi: da un lato confermano la (già) probabile derivazione; dall’altro li avvicinano ai Dipnoi – stavolta eletti a rango di sister group.

I due quadri delineati sono posizioni estreme, fra le quali esistono molti altri intervalli di discussione, cosicché un punto di vista uniforme in seno alla comunità ancora non esiste. I Dipnoi sono destinati ad essere oggetto di dibattito ancora a lungo.

Lorenzo Di Meglio

Bibliografia e Sitografia

Benton Micheal J., Paleontologia dei Vertebrati, Franco Lucisano Editore

Giavini Erminio, Menegola Elena, Manuale di Anatomia Comparata, EdiSES

Pough Harvey F., Janis Christine M., Heiser John B., Zoologia dei Vertebrati, Casa Editrice Ambrosiana

https://pikaia.eu/piccoli-passi-per-la-conquista-delle-terre-emerse/