Personalità dinamica in Jung e Piovani

La nozione di personalità ha interessato antichi e moderni, religiosi e filosofi. A quest’ultima categoria appartiene un intellettuale italiano, Pietro Piovani, che ha incentrato la sua teoria sul tema in questione proprio a partire dagli studi dello psicanalista svizzero Carl Gustav Jung.

Jung e la personalità come ideale

personalità

Nella personalità Jung ravvede il bene più grande dell’uomo nonché il fine ultimo dell’esistenza, pur sostenendo l’impossibilità di una sua definizione esauriente. Proprio questo carattere fumoso dà adito a molteplici fraintendimenti. Il primo tra questi concerne la pedagogia, rea di aver dato troppa risonanza alla personalità nella fase infantile dell’individuo, svilendone il potenziale creativo in età adulta. Chi pretende di educare i bambini con il fine di svilupparne il carattere, dovrebbe chiedersi infatti se ha raggiunto in prima persona questo obiettivo. Per lo psicanalista l’errore più comune è pensare di essere riusciti a realizzare in toto la propria personalità, che per suo statuto non è mai completamente accessibile e va piuttosto considerata come un ideale al quale tendere.

Jung pone inoltre l’accento sull’individualità del soggetto, ovvero il modo in cui prestiamo fede alla nostra vocazione interiore. Superare l’oggettivo elemento psichico della personalità che ci accomuna tutti, restando fedeli a sé e alla propria legge, è il miglior modo per sviluppare quest’ultima ed evitare la nevrosi, a cui andrebbe incontro chi ignora la propria vocazione. Jung non manca di mettere in luce anche le difficoltà di un procedimento siffatto, quando considera lo sviluppo di sé un dono e allo stesso tempo una disgrazia. A ciò egli aggiunge:

Neanche il più riuscito adattamento, neanche il più felice inserimento nel proprio ambiente, né la famiglia, né la società, né la posizione possono salvare da questo destino. Lo sviluppo della personalità è una fortuna che si può pagare solo a caro prezzo.

Piovani: dinamismo ed esperienza

personalitàNel pensare ad una nuova etica, strettamente correlata alle azioni e alle responsabilità del soggetto, Pietro Piovani arriva a dare una definizione della personalità che conserva numerosi punti di contatto con quella junghiana. Innanzitutto egli predilige il termine rispetto a quello di persona, troppo statico e desogettivante. Inoltre, nell’epoca in cui la razionalità vacilla sotto i duri colpi della guerra e i contorni dell’io appaiono più confusi e sfocati, Piovani guarda all’individuo in un’ottica estremamente propositiva, come a un soggetto in continua espansione. Egli lega il divenire insito in esso con l’impossibilità di definire la personalità ontologicamente. A partire da questo presupposto, Piovani sostituisce il motto cartesiano “penso dunque sono” con “esperisco dunque sono”. Sottolineando il ruolo determinante dell’esperienza egli ne accentua anche la proprietà trasformativa.

Rivolgendo il suo sguardo verso la storia, Piovani non manca di mettere in luce anche l’incapacità dei suoi predecessori di cogliere il vero senso della nozione. Dal medioevo in poi si avanza infatti la pretesa di dare una visione oggettiva della personalità: Tommaso la fa coincidere con l’apice della perfezione e più tardi Kant la farà coincidere con la razionalità. Si tratta di connotazioni che atrofizzano la natura dinamica della personalità, intrappolandola in una serie di definizioni cristallizzate e sterili.

Singolarità e coesistenza

Per Piovani e per Jung la personalità non è internamente costituita, non poggia su una base solida, ma si costituisce continuamente attraverso la relazione dell’uomo con l’ambiente esterno, con se stesso e con l’altro. Se la personalità si erge a partire da una mancanza, come può avere una connotazione positiva? La risposta a questa domanda sorregge l’intera attività speculativa del filosofo napoletano, giacché egli ritiene che solo a partire da questo vuoto, posto alla base dell’esistenza, l’uomo sia capace di organizzarsi in quanto soggetto volente non volutosi. L’uomo può costituire se stesso, autonomamente, proprio perché all’origine vi è il nulla. Piovani riprende ancora da Jung sia l’accezione di vocazione sia l’idea della personalità come attività formativa, che prescinde dal talento e dall’ingegno. Al riguardo, il filosofo scrive:

L’individuo umano si personalizza perché esperisce le proprie esperienze, non ne è esperito. L’esperirsi nella consapevolezza è una caratterizzazione. L’individuo umano si compie nella personalità; è esistenza personale, perché il suo vivere sottintende un prendere posizione.

Se per un verso la personalità è sinonimo di isolamento e solitudine, per l’altro il suo sviluppo dipende proprio dal confronto con l’altro, in quanto altro diverso da sé. È chiaro, allora, che una “ridefinizione” siffatta della personalità tenga uniti due concetti, che siamo talvolta inclini a pensare separatamente, singolarità e coesistenzagiacché ogni soggetto costruisce se stesso peculiari a partire da ciò che lo contraddistingue dall’altro.

Giuseppina Di Luna

Bibliografia

C. G. Jung, Lo sviluppo della personalità, ed. Bollati Boringhieri, Torino 1991.

Pietro Piovani, Per una filosofia della morale, ed. Bompiani, Milano 2010.