Günther Anders: per una storia dei sentimenti

Günther Anders, filosofo  ingiustamente poco noto e dal percorso travagliato, ha provato a gettare le basi di un’analisi storica delle emozioni. Una vera e propria storia dei sentimenti è infatti tra i “grandi assenti” della ricerca filosofica.

“Certo, può essere vero che la rapidità di cambiamento della sensibilità sia stata più lenta di secoli rispetto a quella del pensiero. Ma questo fatto non ci esime dall’obbligo di conoscere questa storia”. (Amare, ieri, p. 9)

Anders
Günther Anders

Tale studio si impernia in modo quasi necessitato nella sua filosofia della tecnica. Centro delle sue ricerche è infatti la preoccupante e crescente distanza tra capacità emotive-immaginative e le potenzialità produttive (da lui definita dislivello prometeico). Nel suo testo principale, “L’uomo è antiquato”, egli cerca di analizzare il drammatico scarto, divenuto frattura, tra produzione e comprensione.

Il frenetico ciclo, che dà luce senza sosta a prodotti e macchinari, neutralizza la nostra capacità di capire ciò che produciamo e di “digerirlo emotivamente”. Analizzando l’atrofizzarsi del nostro vissuto emotivo, Anders non può che interrogarsi sulla storicità delle emozioni, sul loro mutare in base al contesto socio-culturale e tecnologico. Piuttosto che addentrarci nelle riflessioni sull’antiquatezza dell’uomo, cercheremo qui di evidenziare alcuni elementi di una possibile storia dei sentimenti a partire da altri due testi.

Amore senza tabù

Amare, ieri. Appunti sulla storia della sensibilità” ci fa ricavare per induzione ciò che Anders intende per “storia dei sentimenti”. In occasione della permanenza in America e a New York (’36 -’50), l’autore dà spazio a considerazioni filosofiche sull’amore e le relazioni in generale, sempre fedele alla sua filosofia d’occasione[1].

Tra le tematiche trattate concentriamoci sull’equazione tra destituzione dei tabù e appiattimento dell’amore e, direttamente collegata ad essa, sulla diffusione della psicanalisi di matrice statunitense.

“Senza il calvario l’apoteosi è miseria, senza il superamento delle emozionanti vie traverse, il «venire al dunque» è semplice fun e, dal momento che non è stato preparato, sarà scordato in fretta: ossia non ne caverete niente. E cultura è appunto «ricavare qualcosa da qualcosa».” (p. 125)

AndersDiscutendo con i suoi studenti, Anders si scontra con una concezione dell’amore imbrigliata dai dogmi della funzionalità. Dove l’autore vede sforzo, emozione, conquista, profondità, chi lo ascolta vede solo noia e spreco di energie. La sconfessione di qualsiasi tabù, ovvero di qualsiasi limite a ciò che è socialmente ammesso, prosciuga tutta la densità del sentimento. Di pari passo con un presunto e presuntuoso smascheramento della morale, l’amore è riconfigurato sulle linee guida della velocità e della svalutazione dei fini.

“Giocare al matrimonio”: nuova idea dell’amore

Terreno fertile per comprendere tale riconfigurazione è il confronto con la psicanalisi coeva, bieco fraintendimento, per Anders, di quella freudiana ed europea. In quanto esatto rovescio del puritanesimo, essa concepisce l’amore solo come impulso naturale, privo di connotazione culturale. Concezione che rimuove l’intera stratificazione propriamente umana dell’amore e quindi il suo spessore. Qualsiasi morale è un artificio avente il mero scopo di limitare la pulsione istintuale.

È con imbarazzo e scoramento che l’autore constata il diffuso disprezzo per i concetti di artificialità e pregiudizio, intesi come assolutamente negativi. Da una parte si dimentica che l’intera civiltà umana è artificiale, pertanto dovremmo compiacerci degli artifici che possiamo produrre, in primis la morale, anziché biasimarli. Mentre il pregiudizio è spesso nient’altro che sinonimo di convenzione, ovvero l’impalcatura del mondo lasciataci dai nostri avi, che ci rende possibile abitare il mondo.

AndersAlla luce di quanto detto, sembra che per Anders l’amore conservi il suo nome solo pro forma. Lo suggerisce una delle ultime note dove si parla di due novelli sposi che hanno deciso di “giocare al matrimonio”. Non c’è più spazio per la sperimentazione, per la ricerca, per la comprensione di se stessi e dell’altro, in solitudine o alla luce di una relazione. È necessario “venire al dunque” al più presto, magari più volte, poiché l’abuso del divorzio è ugualmente plausibile. Ma se gioco è tentativo, simulazione, preparazione che però non sfocia mai nel suo obiettivo, non si abbandona mai il playground per affrontare ciò che i genitori spesso additano come “vita vera”.

Si viaggia sempre in superficie, perché andare in profondità vìola le più impellenti necessità di produzione e funzionalità. Non a caso Anders dice:

“…molti di coloro che hanno dei bambini sono essi stessi ancora dei bambini…” (p. 144)

La posizione storica dell’odio

Se “Amare, ieri” illustra come un sentimento possa cambiare configurazione in base al contesto socio-culturale, “L’odio è antiquato” si concentra maggiormente sulla variabile tecnologica.

AndersSorgente primigenia di negazione e autoaffermazione tramite l’annientamento dell’altro, l’odio è fondato finché le persone si scontrano faccia a faccia. Sopraffare il nemico, nella lotta, significa conquistare la propria salvezza, ma nel XX secolo è avvenuta un’inversione. Il primo conflitto mondiale, “guerra di trincea”, impose un contatto drasticamente inferiore con il nemico, rispetto ai conflitti precedenti. Si rese necessaria una produzione a posteriori dell’odio, tramite la propaganda, per sostenere il conflitto, dove in precedenza le posizioni erano invertite.

AndersNella seconda guerra mondiale tale processo viene estremizzato. Da una parte, tramite i nuovi media, si fece di alcuni gruppi sociali dei veri e propri “nemici succedanei”, completamente eterogenei rispetto alle persone reali. Questo odio artificialmente indotto, usato come propellente, è l’unico a sopravvivere.

Dall’altra parte, la diffusione di strumenti militari come missili o bombardieri fino alla bomba nucleare segnarono una distanza sempre maggiore tra i due fronti. Si arriva al paradosso che il soldato uccide senza avere esperienza diretta del suo gesto e dunque perfino senza odiare. La stessa vittima non può provare odio per una persona che non ha mai visto e attacca da distanze enormi.

Anders parla giustamente di “schizopraxia”, cioè della completa separazione tra agente e azione, tra punto di partenza e di arrivo. Tale alterazione costringe a parlare non più di soldati, ma di semplici lavoratori, che producono cadaveri (Eichmann è il campione di tale categoria). Anzi, con il procedere della meccanizzazione, sarebbe più coerente sostituire “lavorare” con “azionare”. Sicché è la macchina a svolgere l’incarico, l’essere umano si limita ad attivarla. Nell’era della tecnica l’odio non ha più uno spazio proprio.

Il significato di una storia dei sentimenti in G. Anders

Sebbene il dogma della funzionalità non abbia perso il suo peso, la storia dei sentimenti è uno strumento concettuale da contestualizzare e maneggiare con cura. Le teorie scientifiche più recenti sembrano infatti aver dimostrato l’esistenza di alcune emozioni primarie (felicità, disgusto, tristezza, rabbia, paura) condivise da qualsiasi cultura e perfino con il regno animale, cosa che comprometterebbe a priori una storia dei sentimenti.

È pur vero che la teoria delle emozioni primarie prevede un secondo gruppo di emozioni secondarie, che sono principalmente, o esclusivamente, umane e che scaturiscono dall’auto-consapevolezza e dall’introspezione. Sono anche quelle che maggiormente vengono modellate dallo sviluppo personale e dal contesto culturale.

Potremmo dunque sostenere che Anders desiderasse fare una “storia dei sentimenti secondari”. L’attenzione è infatti posta su come, storicamente, si configuri ed evolva un’emozione, fino al suo eventuale dissolvimento nel superfluo. Dunque, se l’essere umano non è emotivamente costante, ciò accade perché varia il modo in cui le emozioni vengono codificate culturalmente.

Anders
Günther Anders

La decisione di dare dignità filosofica alle emozioni e alla loro stratificazione culturale è al contempo una valorizzazione dello statuto dell’umanità. La riduzione di cultura e morale a mere cinture di castità dell’istinto non va sottovalutata. Secondo queste coordinate, un’idea di umanità esclusivamente interessata a perpetuarsi e a soddisfare i propri bisogni è più che mai vicina.

Come sempre in Anders, si respira un certo moralismo. Trattandosi di un’analisi storica, ciò potrebbe sembrare inopportuno. Tuttavia, poiché il nocciolo della questione è strettamente legato alla morale, non è data analisi che non abbia anch’essa risvolti morali. Anders, anti-accademico per eccellenza, non concepisce la ricerca filosofica in sé e per sé. C’è sempre uno scopo concreto da raggiungere. Nel caso della storia dei sentimenti è il tentativo di comprendere le radici del dislivello prometeico, della distanza tra noi e nostri prodotti, e sanarla.

Giovanni Di Rienzo

Bibliografia

Günther Anders, Amare, Ieri. Appunti sulla storia della sensibilità, ed. Bollati Boringhieri, Torino, [1986] 2004.

Günther Anders, L’odio è antiquato, ed. Bollati Boringhieri, Torino, [1985] 2006.

Note

[1] Metodo filosofico che non aspira alla sistematicità né procede per deduzione, ma piuttosto “si occasiona” in eventi tratti dal quotidiano per poi toccare temi filosofici più ampi.

Giovanni Di Rienzo