Alan Moore: la concezione di Dio nei suoi fumetti

Alan Moore, a ridosso della pubblicazione di Jerusalem, rilascia dichiarazioni dure sui fumetti che ha contribuito a innovare e a cui ha lavorato per anni.

“Si può costruire un intero universo solo con ventisei lettere e un pizzico di punteggiatura”.

Condivisibile o meno che sia la sua opinione, Moore resta uno degli artefici dell’attuale dignità artistica raggiunta dal fumetto. La sua abilità nello scrivere e i numerosi stimoli che attraversano le sue opere, dalla letteratura all’esoterismo e alla magia, le hanno rese indimenticabili.

In questo articolo ci occuperemo di tre storici personaggi di Moore, Miracleman, Swamp Thing e Dottor Manhattan (Watchmen) legati da un filo rosso costituito dal loro progressivo superamento dell’orizzonte antropologicoIl loro punto di partenza è sempre interamente umano: un esperimento sfuggito di mano o un incidente fatale che però porta questi tre personaggi ad allontanarsi progressivamente dalla propria umanità, assurgendo ad una condizione divina.

Nato uomo, fatto supereroe, divenuto dio

Da reporter malpagato a supereroe a membro di un nuovo Olimpo, Michael Moran, alias Miracleman, costituisce una vera e propria parabola del superamento dell’essere umano. Moore qui caratterizza il passaggio in modo più graduale rispetto agli altri due casi.

Dopo la traumatica scoperta dell’origine dei propri poteri, la figura dell’uomo e dell’essere superiore si alternano. Ma chi la spunterà è presto chiaro. Moran è fin troppo patetico e debole rispetto alla sua controparte che brilla di luce propria. Numerose prove renderanno la presenza di Miracleman indispensabile e fatale la sepoltura simbolica di Moran.

MooreCruciale la figura di Gargunza, scienziato e “padre” del supereroe, umano che tenta di dominare un dio. Fallito il suo tentativo, viene scagliato dallo spazio verso la terra, in una scena che è preludio alle aspirazioni divine di Miracleman.

“Gargunza, riesci a capire quanto piccolo sei sempre stato?”

Ma nel supereroe sussiste ancora molto dell’uomo. Lo stupore suscitato dai Qys, dai Warpsmith, perfino e soprattutto dalla figlia Winter, nonché il dolore per la separazione dalla moglie la dicono lunga. Sarà solo il fuoco primordiale della lotta a bruciare l’ultimo residuo di umanità in Miracleman. Lo scontro con Young Miracleman, incarnazione del male, lo costringerà a mietere una vita innocente, e dunque a mettersi al di sopra della moralità umana. Seguono la fondazione di un nuovo mondo, che Moore fa plasmare dai suoi supereroi ormai fattisi dei. Una volta che il paradiso terrestre è realtà,  Miracleman può solo chiedersi chi mai lo rifiuterebbe.

“A volte, penso a Liz. A volte, mi stupisco del fatto che abbia respinto la mia offerta; mi stupisco che qualcuno possa non desiderare di essere perfetto in un mondo perfetto. A volte, mi stupisco che questo mi preoccupi. E a volte… a volte, mi stupisco e basta”Moore

La Natura, Dio silente

Swamp Thing, con la sua identità ambigua di “pianta pensante”, illumina scenari che, per certi versi, superano anche l’orizzonte del Dr. Manhattan*.

La sola premessa è già significativa. Lo scienziato Alec Holland, vittima di un incidente, si ritrova ad abitare un corpo mostruoso e possente, animatosi dal fondo di una palude. Tuttavia si scoprirà che non è Holland ad essersi “trasferito”, bensì la vegetazione della palude ad averne assorbito la coscienza, dando vita a Swamp Thing. Si crea dunque un ibrido che mescola il mondo vegetale con la coscienza umana, spesso percepita addirittura come una limitazione.

MooreLa metamorfosi di Swamp Thing è inesorabile. Ne è prova innanzitutto il rapporto con la morte, sempre meno umano già dall’incipit. L’ultima ora scoccherà più volte per il mostro della palude, in circostanze che renderanno il “ritorno alla vita” sempre più ostico. Ma un’idea di morte legata alla morte fisica del corpo gli apparirà presto futile. Animato da una coscienza immateriale, imparerà che qualsiasi pianta può diventare il suo corpo.

Anche il suo rapporto con la capacità di creare, anche se limitata alla vegetazione, segue un’importante evoluzione. Esiliato sulla Luna, crea dapprima un Eden popolato solo da se stesso. Tuttavia, disgustato da tale auto-referenzialità, fuggirà verso le profondità dello spazio. È  in questo cammino che comprenderà appieno il suo ruolo di incarnazione della Natura, capace di sanare deserti e rendere interi mondi da inospitali ad abitabili.

Infine, animato da  una nuova consapevolezza, farà ritorno sulla Terra. Covando ancora in parte dei sentimenti umani (“quelli che ho scelto di conservare”), si vendicherà dei nemici e reclamerà il suo amore. Ma nulla più di questo. La sua conclusione è che “poter fare” non significa “dover fare”. Che sanare la Terra dalle sue piaghe non è suo compito.

“Questo significa essere Dio? Conoscere e mai agire?”Moore

Colui che domina la materia

Se Miracleman attraversa una lunga metamorfosi e Swamp Thing media tra coscienza umana e corpo vegetale, il percorso del Dr. Manhattan è invece più netto. Disintegrato atomicamente l’uomo, si ricostituisce un essere divino. Non c’è una vera e propria evoluzione, ma solo una comprensione di sé, dei propri poteri e del proprio posto nell’universo.

MooreIl dio che può manipolare la materia, più che avere reminiscenze umane, sembra frastornato dal mondo che lo circonda. Anzi, nel corso della narrazione i suoi pensieri e i suoi valori si allontanano completamente dalla sfera umana.

L’ambientazione di Watchmen è un’America uscita vincitrice dalla guerra in Vietnam proprio grazie ai poteri del Dr. Manhattan. È suo il volto del supereroe americano (altro che Superman), usato come deterrente e minaccia contro i sovietici. Eppure è forse il personaggio più passivo nella rosa di protagonisti.

Sempre più estraneo e impermeabile alle questioni umane, perso nelle sue ricerche e vittima dei piani di Ozymandias, egli subisce più che agire. E se lo fa, accade in non più di una paio di occasioni. La decisione di impedire a Rorschach di rivelare la verità è infatti l’ultima occasione in cui si lascia coinvolgere nelle faccende terrestri.

Nel Dr. Manhattan Moore incarna un potere che non ha più nulla a che fare con l’umanità. Se Swamp Thing manipolava solo la vegetazione e reclamava una compagna, Dr. Manhattan manipola gli atomi e liquida con un sorriso la perdita del suo amore.

Con Dr. Manhattan, insomma, la separazione è ormai definitiva. È l’incarnazione di un dio onnipotente quanto distante. Nelle sue ultime battute afferma infatti che abbandonerà la Terra e proverà, forse, a creare altrove la vita.

“Capisco, senza condannare o perdonare le questioni umane. Non possono essere affar mio. Lascio questa galassia per una meno complicata”

Moore

Le visioni di Alan Moore

In prima istanza, dunque, la divinità si eleva al di sopra dell’umanità per una differenza puramente quantitativa. Miracleman e i suoi simili sono più potenti, perciò possono facilmente dominare l’umanità e fare del mondo ciò che vogliono.

Swamp Thing segna una posizione intermedia. È ancora invischiato nelle faccende umane, ma matura una posizione sempre più neutrale verso il manicheismo tipicamente umano.

Dr. Manhattan, infine, è solo sfiorato da quanto accade agli esseri umani e trae ben presto la conclusione che non ha più nulla a che fare con loro.

In questo cammino editoriale che attraversa gli anni ‘80, fase cruciale dell’opera di Alan Moore, si ravvisa quasi un’ascesi. Il dio è colui che, proprio perché onnipotente e amorale, si limita ad interventi minimi e perlopiù osserva e si stupisce dei miracoli della vita e dell’universo. In quest’orizzonte, la Terra e l’umanità sono solo un punto in un disegno sconfinato.

* Non è irrilevante notare che la parte finale della serializzazione di Swamp Thing combacia con quella di Watchmen.

Giovanni Di Rienzo