Epimenide: la storia come profezia delle cose passate

Vissuto a Creta tra VII e VI secolo a.C., il sapiente Epimenide è fra i personaggi più misteriosi del mondo antico. Molte sono le leggende sorte intorno alla sua eccentrica figura, in cui coesistono cultura sapienziale e razionalità scientifica.

La storiografia moderna ha spesso messo in discussione la sua esistenza storica, ma le numerose testimonianze raccolte dall’antica dossografia non lasciano dubbi. Da Senofane a Diogene Laerzio, da Platone a Plutarco giungono dettagliate descrizioni in chiave mitica della sua lunghissima vita, costellata di fatti straordinari. Senofane, ad esempio, racconta come un giorno egli si fosse ritirato in una grotta, cibandosi solo di radici, per poi cadere in un lungo sonno durato più di 57 anni. Una volta risvegliatosi, sarebbe stato in grado di rivelare fatti e verità di interesse pubblico e personale.

Il lungo sonno di Epimenide è in realtà una pratica molto diffusa fra i sacerdoti arcaici, i quali trascorrevano lunghi periodi di vita appartata in attesa di presagi e sogni divinatori.

La purificazione della città di Atene

In Vite dei Filosofi Diogene Laerzio annovera Epimenide nella lista dei Sette Savi, per il merito di ”aver purificato” la città di Atene.
L’arrivo ad Atene è sicuramente l’episodio più rilevante della vita di Epimenide. Quanto alla ”missione purificatrice” da lui compiuta nei riguardi della città, le interpretazioni sono molteplici. Alcune tradizioni ”sciamanistiche” ritengono che Epimenide sia accorso a liberare la polis da una terribile epidemia di peste in qualità di taumaturgo. Tuttavia, letture più attendibili ne collocano l’attività sapienziale nel quadro delle riforme elaborate per riportare ordine e pace ad Atene.

Plutarco individua una correlazione tra il viaggio di Epimenide e l’opera riformatrice intrapresa da Solone (594-591 a.C.) contro le lotte intestine scoppiate fra gli ateniesi. La missione purificatrice di Epimenide, ammantata di significati religiosi, rivelerebbe allora un più profondo intento politico: ristabilire la giustizia e la concordia della città dopo il tentativo dell’antiaristocratico Cilone di instaurare una tirannide.

Epimenide e il paradosso del mentitore

Le fonti antiche, dunque, raccontano che Epimenide «compose versi e purificò le città». La tradizione gli attribuisce opere poetiche di carattere ”pedagogico”, composte per promuovere il rinnovamento morale e politico della cultura greca. Una purificazione, dunque, anche in senso etico, quella voluta dal Cretese per i suoi cittadini.

Epimenide di Creta

La realizzazione di uno stato di concordia non avrebbe potuto prescindere da un’attenta attività di riflessione sul discorso politico. Per questo motivo Epimenide può essere considerato tra i primi pensatori presocratici ad aver riflettuto sulle insidie del linguaggio e sull’uso politico della parola. Proprio per la relazione stabilita fra ”uso cattivo del linguaggio” e contesa politica, fin dall’antichità è stata ricondotta al Cretese la formulazione del celebre paradosso del mentitore.
Nel passo di una lettera di Paolo a Tito, si legge:

Disse uno di loro [dei Cretesi], un loro profeta:
”sempre mentono i Cretesi, male bestie, ventri pigri”.
Questa testimonianza è vera (DK3B1).

La veridicità dell’attribuzione è incerta. L’identificazione del Cretese con Epimenide da parte di Paolo trova però fondamento nelle aspre polemiche che egli aveva rivolto ai concittadini cretesi. Anche in Diodoro Siculo leggiamo:

perché gli scrittori cretesi dissentono tra loro, noi abbiamo seguito coloro che dicono le cose più persuasive e che sono maggiormente degli di fede, in alcune cose avvicinandoci a Epimenide (DK3B20).

Le riformulazioni del paradosso del mentitore sono state numerosissime durante tutta la storia del pensiero, dalle origini ad oggi. La versione più fortunata è stata espressa da Cicerone, per il quale il paradosso recita così: «Se dici di mentire e dici che questo è vero, menti o dici il vero?»

La storia come profezia: verso la formulazione del giudizio storico

Epimenide fu veramente filosofo, un ”sapiente” nel senso greco del termine. L’originalità di questa sapienza, che ha fatto sorgere intorno alla sua personalità credenze leggendarie, ha generato una rottura con la tradizione oracolare.
Né il mito né l’oracolo, bensì il giudizio che interpreta è per Epimenide strumento del vero. La sapienza di Epimenide è il primo apparire di una mentalità ”scientifica” che rivendica il diritto di investigare, riflettere, interpretare il reale secondo ragione.

Nella Politica Aristotele presenta Epimenide come un profeta delle cose passate:

il parlare in pubblico è più difficile del giudicare, ed è naturale dal momento che riguarda il futuro; il giudicare invece riguarda l’accaduto, che è conoscibile ormai anche per gli indovini, come disse Epimenide cretese: egli infatti vaticinava non riguardo al futuro, bensì riguardo alle cose accadute, ma oscure.

Epimenide guarda al passato non come a un repertorio di fatti e dati acquisiti, ma come ad un campo di cose oscure che devono essere illuminate dalla ragione che interpreta. Come l’oracolo, anche il passato deve essere rivelato dal giudizio critico che costantemente interroga la storia.

Come il medico sa interpretare segni e sintomi del corpo, così lo storico possiede l’intelligenza delle cose passate perché sa leggerne i segni, e il suo sapere è, al pari della sapienza medica, una sapienza filosofica.

Martina Dell’Annunziata

Bibliografia

Giorgio Colli, La sapienza greca v. II: Epimenide, Ferecide, Talete, Anassimandro, Anassimene, Onomacrito, Milano, Adelphi, 1978.

G. Casertano, I presocratici, Roma, Carocci editore, 2009.