Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: oltre il romanzo storico

Era il 1957 quando Elio Vittorini, all’epoca direttore editoriale, rifiutò di pubblicare Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa per Einaudi. Vittorini spiegava in una lettera indirizzata allo scrittore:

il libro non riesce a diventare (come vorrebbe) il racconto d’un epoca e, insieme, il racconto della decadenza di quell’epoca, ma piuttosto la descrizione delle reazioni psicologiche del principe alle modificazioni politiche e sociali di quell’epoca.

Nel 1958 il romanzo fu pubblicato postumo per Feltrinelli. Alla sua fama universale contribuì anche l’adattamento cinematografico di Luchino Visconti del 1963. Le motivazioni di Vittorini gettano una luce sul cuore pulsante del romanzo: cosa tratta il Gattopardo?

Il principe di Salina, il Gattopardo

Protagonista del romanzo è il pater familias Fabrizio, principe di Salina, personaggio ispirato in parte al bisnonno di Tomasi di Lampedusa, Giulio Fabrizio Tomasi.

Nella lettera Vittorini connota il principe come un “giovane signore”, testimone di pariniana memoria. Fabrizio è placido, sornione: di primo acchito l’associazione con l’aristocratico corrotto e svogliato di Parini sembra appropriata.

In Fabrizio si manifestano due anime: l’alterità gelida della discendenza materna tedesca; quella focosa, talvolta rabbiosa, della genìa siciliana. L’attività rigorosa da studioso che si esplica nell’astronomia, l’indolenza stanca e tuttavia leziosa nel cibo e nelle passioni della carne.

Per questo Fabrizio è un individuo del suo tempo. Si scontrano i gorghi tumultuosi delle profondità della sua anima: ugualmente la Sicilia è scossa dal Risorgimento, come per osmosi dal resto d’Italia, mentre rimane preda di una pigrizia corrosiva, il corpo fiaccato dal calore di una terra che brucia.

Decadenza nel Gattopardo

Palazzo del Gattopardo
Villa Lampedusa (nel romanzo Palazzo Salina), Palermo.

Il Gattopardo è segnato da una sensibilità crepuscolare. Tutto incede lentamente verso la fine, quella di un’aristocrazia che brilla degli ultimi bagliori. Ne è allegoria l’ultimo ballo, accompagnato da una sontuosa cena d’addio.

La scena del valzer, famosissima per l’adattamento cinematografico di Luchino Visconti, è il passaggio di testimone da una generazione all’altra, da Fabrizio ad Angelica; dalla nobiltà – sociale, ma soprattutto d’animo – alla borghesia, che è permeata dallo squallore del calcolo, dal decadimento alla vitalità.

La melodia, un valzer brillante la cui parte principale è frutto di una partitura inedita di Verdi, accompagna con buona dose d’ironia (del resto mai assente in Tomasi di Lampedusa) i due personaggi, in un incontro che nel romanzo è fortemente segnato dalla carica sensuale, perpetuamente insoddisfabile. È un gioco scherzoso, un addio grazioso.

La fine del Gattopardo

Fabrizio è sconfitto in partenza. È nel suo destino ineluttabile. Ci sarà ancora spazio per i nobili, per chi tra loro lo vorrà. Quando gli viene proposto, Fabrizio rifiuta senza esitazioni la proposta del piemontese Chevalley di un posto in senato, in un incontro di cavallereschi gentiluomini, raffinati spiriti gentili, immagine che si fa antitesi delle brutture del nuovo governo.

Non c’è modo di sostituire l’Ancien Regime, per quanto parassitario, perché questo conservava ancora un’aspirazione all’elezione. I borghesi sono, al più, comunemente meschini. Peppe ‘merda, padre di Angelica, è già nel nome simbolo forte della volgarità, quella della lotta animalesca della borghesia per la sopraffazione.

Come alla testa dello stato, così alla testa della famiglia si poneva una figura autoritaria, a cui far riferimento. Anche da questo punto di vista Fabrizio è un vinto, il rapporto con il nipote Tancredi è ormai alla pari, tra due uomini consci della futilità delle finzioni, che ammiccano l’uno all’altro dal loro gioco di potere. Il primogenito di Fabrizio, invece, ha rinnegato le radici, e il padre, in cambio di una vita da borghese.

Le conseguenze del cambio di regime familiare qui sono più positive che altrove: l’amore giovanile di Tancredi e Angelica stempera ben presto in affetto e rispetto reciproco, che permette loro di convivere con animi concordi per lunghi anni. Un esito molto meno crudele per quanti abbiano fatto esperienza di matrimonio ne I Viceré o ne I vecchi e i giovani.

Tomasi di Lampedusa e Fabrizio

Gattopardo
Ed. The Leopard, Tomasi di Lampedusa.

Il rapporto dell’autore con il suo Gattopardo è più docile di quello degli altri autori con i propri personaggi. Tomasi di Lampedusa infonde il romanzo di nostalgia e di uno spirito di profonda empatia.

L’Ancien Regime, ma più di esso ciò che vi ha trovato compimento, è stato spodestato da una carneficina di spiriti sopraffini, che mai più troveranno posto nella corsa al guadagno e al successo. L’uomo borghese è in costante lotta per l’affermazione di sé: non c’è spazio per la contemplazione.

Quando si legge il romanzo, è impossibile non essere trasportati in un universo ormai distante, che appare però così vicino, così infuso di tenerezza umana e sensazioni vivide. L’immaginario del lettore è colpito dai vivacissimi moti dell’animo, indagati con la più acuta lente di ingrandimento, e poi da quella realtà spiazzante, quasi grottesca.

Forse più che lo stile ricercato e abissale di Tomasi, poté avvincere i lettori la naturalezza con la quale ci si immagina principi di Salina, sull’orlo di una svolta epocale, mentre ogni certezza scivola tra le dita, e per quanto si possa cercare di appigliarsi al primo sperone di roccia, finiamo inevitabilmente al fondo, in un baratro di incertezza e sconforto.

È questo il grande segreto del Gattopardo che Vittorini mancò di scoprire. Forse questa la prospettiva sull’esistenza umana che più d’ogni altra sappia raccontare quella nuova epoca, di cui tutt’ora facciamo esperienza.

Oriana Mortale

Bibliografia

F. Orlando, L’intimità e la storia: lettura del “Gattopardo”, Einaudi, Torino-1995

Sitografia

E. Vittorini, Lettera a Tomasi di Lampedusa, su feltrinellieditore.it, La lettera di Elio Vittorini a Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

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