Ditirambo: l’antenato della tragedia greca

I Greci hanno riflettuto spesso sul loro passato, per rinvenire le loro origini, e questo riguarda anche discussioni sull’arte, sulla filosofia, sulla letteratura. Mancando gli strumenti necessari per trovare la verità, i Greci tendevano a spiegare spesso le origini di un dato fenomeno attraverso un mito, e nel caso della letteratura, attraverso un personaggio mitico. Ogni genere ha un suo inventore. Non importa se sia esistito o meno, i Greci sono ossessionati dalla ricerca del cosiddetto “πρῶτος εὑρετής”. E ovviamente anche il ditirambo ce l’ha.

La testimonianza di Erodoto

Eracle

Ce lo racconta Erodoto: «Periandro, colui che aveva rivelato l’oracolo a Trasibulo, era figlio di Cipselo. Periandro, inoltre, era tiranno di Corinto. Raccontano dunque i Corinzi – ed i Lesbii sono d’accordo con questi ultimi – che nella sua vita gli capitò un prodigio enorme: Arione di Metimna – che era un citaredo, secondo a nessuno tra quelli della sua epoca e primo tra quelli di cui abbiamo conoscenza a comporre un ditirambo, dargli un nome e farlo rappresentare a Corinto – fu trasportato da un delfino a riva fino al Tenaro.

Raccontano che questo Arione, che passava la maggior parte del suo tempo presso Periandro, fu preso dal desiderio di recarsi per mare in Italia ed in Sicilia e che – guadagnate enormi ricchezze – volesse poi ritornare di nuovo a Corinto. Partì dunque da Taranto e – non fidandosi di nessuno più che dei Corinzi, noleggiò una nave gestita da Corinzi. Ma costoro in piena navigazione pensarono di impadronirsi delle sue ricchezze dopo averlo gettato fuori bordo.

Comprese le loro intenzioni, li supplicava, offrendo loro i suoi bene, pur di aver salva la vita. Non riuscì a persuaderli, anzi quelli gli ordinarono di uccidersi da solo – in modo da avere una sepoltura in terra – oppure di gettarsi immediatamente in mare. Allora Arione, vistosi alle strette, li pregò che – dal momento che quella era la loro decisione – gli concedessero di cantare, in piedi tra i banchi della nave, con tutta l’acconciatura. Promise che – dopo aver cantato – si sarebbe ucciso. A quelli fece immenso piacere la possibilità di stare per ascoltare il migliore di tutti i citaredi, e si ritirarono dalla prua verso il centro dell’imbarcazione.

Allora egli, indossato l’abbigliamento completo ed afferrata la cetra, in piedi tra i banchi eseguì il “nomos orthios” e, terminato il canto, si gettò in mare così com’era, completamente abbigliato. Quelli fecero rotta verso Corinto, ma si racconta che un delfino abbia portato Arione a riva al Tanaro dopo esserselo caricato sul dorso. Sceso a terra, si recò a Corinto con il suo abito di scena e – arrivato – raccontò tutto quanto era accaduto. Periandro, tuttavia, che non gli credeva, lo fece tenere in custodia, non permettendogli di andare in alcun luogo.

Contemporaneamente, però, attendeva l’arrivo dei marinai. Appena giunsero, dunque, dopo averli fatti chiamare chiese loro se gli potessero dare notizie di Arione. Mentre quelli affermavano che era sano e salvo in Italia e che lo avevano lascito in perfetta salute a Taranto, comparve loro Arione, vestito come quando era saltato in mare. Quelli allora, stupefatti e scoperti, non poterono più negare. Questi sono i fatti che raccontano sia i Corinzi che i Lesbii, e a Tenaro c’è una statua votiva di bronzo di Arione, non grande, che raffigura un uomo su un delfino.»
(Erodoto, Storie, I, 23-24)

Il ditirambo all’origine della tragedia

Il personaggio di Arione ricorre anche in altre opere, che aggiungono nuove informazioni. Arione avrebbe introdotto i Satiri nel coro[1] e avrebbe rappresentato anche il primo dramma tragico.[2] Cosa dobbiamo ricavarne?

Arione avrebbe trasformato l’antico ditirambo, genere lirico, in un nuovo genere che sarebbe invece dialogico-narrativo, sostituendo i Sileni, uomini-cavallo, della tradizione attica, ai Satiri, uomini-capro, delle saghe peloponnesiache, introducendo forse un nucleo mitologico di tipo eroico nel mito dionisiaco.[3]

Il risultato sarebbe stato l’anello mancante fra l’antico ditirambo e la tragedia come la conosciamo noi. Il genere satiresco di cui parla Aristotele non sarebbe il quarto elemento della tetralogia teatrale (il cosiddetto dramma satiresco), ma starebbe a indicare quella fase in cui si formò il coro dei satiri, la cui evoluzione avrebbe portato alla tragedia vera e propria.

Una prova a favore di questa tesi sarebbe rappresentata da un’opera del poeta lirico Bacchilide, una forma innovata di ditirambo costituita in realtà da un dialogo fra il re d’Atene Egeo e un coro composto dai suoi sudditi. Sarebbe il testo perfetto per risolvere il problema, ma Bacchilide scrisse in un periodo in cui la tragedia era già praticamente formata.

Davide Esposito

Note:

  • [1] Lessico Suda
  • [2] Giovanni Diacono, Commento ad Ermogene
  • [3] Casertano-Nuzzo, L’attività letteraria nell’antica Grecia, Palumbo,1997