Nave o cavallo di Troia? Un approccio filologico

Una notizia riguardante il celebre cavallo di Troia, comparsa recentemente su numerose testate, ma in realtà vecchia già di un anno, sta sconvolgendo il mondo dei classicisti e degli appassionati del ciclo troiano.

L’archeologo navale Francesco Tiboni, italiano ma ricercatore all’Università di Marsiglia, ha esposto in un volume, “La presa di Troia: un inganno venuto dal mare”, e in un articolo su Archeologia Viva, la sua ipotesi sulla caduta di Troia: gli Achei non si sarebbero nascosti dentro un cavallo, bensì all’interno di una nave.

Il cavallo di Troia nei poemi omerici

Partiamo dai presupposti: l’episodio troiano fu raccontato nell’Iliade, nell’Odissea e in alcuni poemetti minori, purtroppo perduti. L’Iliade si conclude coi funerali di Ettore, dunque non accenna (se non velatamente, per alcuni, nel penultimo libro) alla costruzione del cavallo di Troia.

L’Odissea, al contrario, presenta il racconto della presa di Troia, ma solo brevemente, per bocca di Demodoco.

I poemi in cui, al contrario, l’episodio del cavallo di Troia era descritto estesamente sono la Piccola Iliade e La distruzione di Troia, perduti ma appartenenti ad un’altra “stagione” dell’epica: sarebbero stati prodotti, infatti, da aedi di VII sec. a.C. (quindi un secolo dopo Omero) per sopperire ai “buchi narrativi” lasciati dal poeta nell’Iliade e nell’Odissea.

L’ipotesi di Tiboni: archeologia…

È a partire da questa distanza cronologica che Tiboni basa la sua teoria: tra Omero e gli aedi successivi si sarebbe persa la giusta interpretazione del termine hippos.

Tiboni, infatti, aggrappandosi alla decorazione di un palazzo a Khorsabad risalente proprio all’VIII sec. a.C., ha dimostrato che allo stesso livello cronologico di Omero esisteva presso i Fenici una nave con “testa” equina, conosciuta anche dai Greci.

 

 

 

cavallo di Troia
Una Hippos per Tiboni

Oltre all’archeologia, molto aiuterebbero le fonti: Plinio il Vecchio, infatti, testimonia l’esistenza di questa nave, attribuendo il suo nome all’inventore, Hippus. Anche un comune dizionario di greco riporta per il lemma hippos il significato di “battello da pesca con figura di cavallo a prora”, testimoniato da Posidonio.

… e filologia

Omero (o chi per lui) quando scrisse hippos all’interno dell’Odissea si rivolgeva dunque ad un pubblico che ben conosceva quella nave, e poteva intuire il significato metaforico della parola. In effetti, i poemi nati oralmente funzionano così: l’aedo parla per formule fisse e per immagini già conosciute, che il pubblico può intuire con immediatezza.

È dunque in quei due secoli che intercorrono tra Omero e i poeti del ciclo che l’immagine della nave-cavallo si perse; arrivati a Virgilio, la lettura del passo era ormai letterale, e il poeta latino non poté che tradurre hippos con equus nel secondo dell’Eneide.

Un primo criterio: la verosimiglianza

cavallo di Troia
Il celebre gruppo del Laocoonte

In effetti, se ci basassimo solo sulla verosimiglianza dell’episodio, sarebbe maggiormente plausibile una nave, piuttosto che un cavallo. Il dono, infatti, si trova al di fuori delle mura, vicino al mare, e l’animale sacro a Poseidone è proprio il cavallo.

Come spiegare, poi, che Laocoonte, colpevole di aver consigliato ai Troiani di non accogliere il cavallo di Troia all’interno delle mura, venga strozzato proprio da serpenti marini? E perché mai Elena dovrebbe sospettare che dentro un cavallo si trovino gli Achei, venuti dal mare?

Le interpretazioni degli antichi

È per questo motivo che già gli autori antichi discussero dell’interpretazione del passo. Il primo fu Pausania, secondo il quale:

«Che quello realizzato fosse un marchingegno per abbattere le mura e non un cavallo lo sa bene chiunque non voglia attribuire ai Frigi un’assoluta dabbenaggine. Tuttavia la leggenda dice che è un cavallo» (Periegesi della Grecia, I 23, 8).

Successivamente Servio, nel commentare l’Eneide, appuntò che:

«si trattava di una macchina da guerra chiamata “cavallo”, come c’è l’”ariete”, come c’è la “testuggine”, con cui si abbattono o scalzano mura» (Commento all’Eneide, II 15).

Gli antichi, dunque, spiegarono il mistero del cavallo di Troia ricorrendo ad una metafora che indicava più una macchina da guerra, che una nave. È allora un equivoco irrisolvibile?

L’analisi filologica dei versi: il quarto libro dell’Odissea…

È qui che deve venirci in aiuto la filologia. Già Tiboni tenta di sostenere la propria ipotesi aggrappandosi ad un passo presente proprio nell’Odissea, nel quarto libro:

«Araldo, perché mio figlio è partito? Non c’era bisogno che si imbarcasse sulle navi veloci, che per gli uomini sono come dei cavalli del mare» (Odissea, IV 707-709).

Penelope si lamenta con Medonte della partenza del figlio Telemaco, e descrive le navi come cavalli del mare.

È tuttavia chiaro che l’attenzione debba essere posta non tanto su questi versi, quanto sul racconto fatto da Demodoco nell’ottavo libro.

… e l’ottavo

Quando Demodoco descrive la presa di Troia, parte proprio dalla descrizione dello stratagemma. Il cantore utilizza sempre il termine hippos, accompagnato da aggettivi che, per Tiboni, sono indizio di un riferimento ad una nave.

Tali prove, tuttavia, sono ancora deboli, fin quando non ci si imbatte nel verso 507, che riportiamo anche in greco:

«ἠὲ διατμῆξαι κοῖλον δόρυ νηλέϊ χαλκῷ» (“o spaccare il cavo legno col bronzo spietato”)

Plausibili indizi sono, infatti, nascosti in due termini: koilos (“cavo”) e doru (“legno”).

Il primo aggettivo è illuminante: è l’epiteto usato da Omero per descrivere le navi sia nell’Iliade che nell’Odissea (il primo esempio in Il. 1, 26 dove si parla di “concave navi”).

Il confronto col fr. 2 di Archiloco

Anche il termine “legno”, tuttavia, può risultare interessante sulla base di un raffronto con un frammento famosissimo di Archiloco:

«Sul legno sta la mia focaccia bene impastata, sul legno il vino ismarico: bevo, appoggiato reclino sul legno» (fr. 2)

Anche il poeta lirico utilizza il termine doru, “legno”. Tale parola, tuttavia, è impiegata in greco quasi sempre non in senso letterale, ma traslato: per metonimia, infatti, doru può significare anche “lancia (di legno)”.

È infatti in questo senso che il secondo verso del frammento archilocheo era stato sempre tradotto: “bevo appoggiato alla lancia”. L’immagine, tuttavia, risulta paradossale: come potrebbe bere senza cadere? Grazie ad una più accurata traduzione del verbo klino, i commentatori hanno così capito che doru non è impiegato nel senso di lancia, ma di nave: Archiloco beve disteso sul banco ligneo di una nave.

Un dilemma irrisolvibile

Alcuni indizi, dunque, portano effettivamente verso una nuova interpretazione del passo omerico, ma nulla può essere detto con certezza. Di contro, infatti, ci sono decine di raffigurazioni del cavallo di Troia, e una lunghissima tradizione (da Euripide fino a Virgilio) che parla chiaramente di una costruzione a forma di animale.

L’ipotesi di Tiboni, tuttavia, risulta interessante perché pone l’accento sul modo in cui i poemi omerici devono esser letti. Come detto all’inizio, i poemi orali funzionano per espressioni e immagini già conosciute dal pubblico, dunque non ci deve stupire che Omero non parli esplicitamente di nave, o non descriva remi o vele: evidentemente, se di nave realmente si trattava, il pubblico già conosceva l’uso di hippos con quel significato, senza bisogno di specificazioni.

Il mistero del cavallo/nave, dunque, probabilmente non sarà svelato mai, soprattutto a causa della perdita dei poemi del ciclo, ma dimostra la vitalità degli studi classici e l’importanza di un approccio filologico ai testi, nel tentativo di scovare all’interno della vivace lingua greca nuovi significati, nuove realtà, nuove verità.

Alessia Amante

Bibliografia:

  • Omero, Odissea (BUR)
  • Homer, Odyssey, books VI-VIII (Cambridge Greek and Latin classics)
  • Omero, Odissea, volume II, libri V-VIII (Fondazione Lorenzo Valla)

Sitografia:

http://www.ilpost.it/2017/11/09/cavallo-di-troia-nave/