Max Scheler e André Leroi-Gourhan: l’antropologia filosofica

Nel 1928, Max Scheler pubblica La posizione dell’uomo nel cosmo, opera che rappresenta la fondazione dell’antropologia filosofica. Le sue riflessioni risulteranno centrali per autori come Plessner e Gehlen, i quali si pongono in continuità rispetto a Scheler. Al contrario di questi ultimi, Leroi-Gourhan affronta il problema dell’uomo, rifacendosi a paradigmi interpretativi differenti e ricorrendo a strumenti di ricerca specifici della paleontologia.

Scheler e l’antropologia filosofica

Scheler
Max Scheler (1874-1928)

Che cos’è l’uomo? Qual è la sua posizione nell’essere?

Sono questi i quesiti che, sin dalle prime battute, compaiono nel testo di Scheler e ai quali egli cerca di offrire una risposta. In primo luogo, occorre evidenziare che, sebbene si tratti di un’opera di carattere filosofico, l’autore si richiama ad argomentazioni di carattere scientifico e biologico. Infatti, la peculiarità dell’antropologia filosofica consiste nel rapporto che essa istituisce con le discipline scientifiche. Si relaziona, ad esempio, alla biologia o alla psicologia, in quanto esse possono fornire importanti contributi alla sua indagine.

Dopo aver chiarito le premesse epistemologiche, Scheler intraprende un lungo discorso circa i gradi di articolazione dello pschico nel mondo organico. A partire dall’analisi delle piante, passando per il mondo animale, egli cerca di individuare quelle differenze specifiche che rendano tale l’uomo.

Uomo e animale a confronto

Scheler riconosce, in sostanza, quattro gradi fondamentali di articolazione del dato psichico. Il livello più elementare è la tendenza affettiva, propria di tutti i viventi, che si identifica con l’impulso vivente originario. Esso è l’unica manifestazione psichica che si può attribuire alle piante. Salendo di grado, incontriamo espressioni psichiche più complesse: l’istinto, la memoria associativa e l’intelligenza pratica. Per quanto concerne il primo, esso è legato all’ereditarietà biologica e al vincolo della specie. L’animale adotta, dunque, una serie di strategie rispetto all’ambiente che gli vengono suggerite dal suo corredo geneticoLa memoria associativa presuppone, invece, un certo grado di emancipazione della specie. L’individuo è in grado di apprendere dalle esperienze vissute e di mettere in campo soluzioni innovative. Scheler scrive infatti:

L’attività del principio associativo […] costituisce inoltre la crescente emancipazione dell’individuo organico dal legame della specie e dalla rigidità dell’istinto ribelle all’adattamento. […] Esso apre una dimensione del tutto nuova nelle possibilità di arricchimento della vita.

L’animale procede per “tentativi ed errori” cercando di riproporre quei comportamenti che risultano funzionali alle richieste ambientali. L’intelligenza pratica, al contrario, prevede la determinazione di un fine, che orienti l’azione. Essa è, dunque, finalizzata al conseguimento di un obiettivo. Al riguardo, sostiene:

Noi chiamiamo pratica questa forma di intelligenza perché il suo significato ultimo è quello di un’azione mediante la quale l’organismo raggiunge (o fallisce) l’oggetto della sua tendenza.

A questo punto, diventa evidente il problema di Scheler. Se, infatti, la biologia ci suggerisce di riconoscere una forma di intelligenza anche agli animali, esiste allora tra essi e l’uomo una «differenza di essenza»?

L’uomo come “asceta della vita”

L’indagine biologica si rivela, secondo Scheler, insufficiente. Bisogna, quindi, trovare un principio nuovo affinché si possa indicare la posizione dell’uomo nel cosmo. Tale principio non si può rinvenire «nella vita o nelle manifestazioni psichiche, in quanto esso è opposto a ogni forma di vita in generale e anche alla vita dell’uomo […]».

Per definire l’uomo, in sostanza, occorre rivolgersi ad un sostrato metafisico che Scheler indica nello spirito. L’azione del principio spirituale qualifica l’uomo come “persona”, ossia come manifestazione dello spirito stesso nella sfera finita dell’essere. In quanto persona, l’essere dell’uomo costituisce il culmine di quel processo di emancipazione dal vincolo della specie. Emerge, a questo punto, la contrapposizione di due termini: ambiente e mondo. La vita dell’animale si svolge all’interno dei limiti strutturali del suo ambiente, sul quale agisce e dal quale è condizionato. L’uomo, invece, realizza un vero e proprio rovesciamento: si libera dai vincoli ambientali e determina l’apertura del mondo.

L’uomo come autocoscienza

La specificità umana si delinea nella capacità di trasformare “le resistenze” in oggetti. L’oggettivazione del reale, congiunta con la coscienza di sé, fa sì che l’uomo sia autocoscienza. Scheler scrive:

In forza del suo spirito, l’essere che chiamiamo uomo non è soltanto in grado di estendere il suo ambiente fino alle dimensioni ontologiche di un mondo […], egli è altresì in grado di oggettivare la propria costituzione fisiologica e pschichica […]. Perciò questo essere può rifiutare liberamente la propria vita.

Se all’animale è concessa una forma, seppur elementare, di conoscenza, allora all’uomo è riservata la conoscenza spirituale. Secondo il filosofo l’uomo ha accesso, in quanto persona, alla creazione continua di idee. Le idee sono poste in essere dallo spirito stesso e rappresentano l’ordine eidetico, che si concretizza nel mondo. L’atto di ideazione, ossia la produzione delle essenze, introduce un tipo di intelligenza estranea all’agire tecnico. Quest’ultimo, infatti, appartiene anche all’animale, che non è capace di astrarsi e trascendere il dato empirico.

La prospettiva di Leroi-Gourhan

Leroi-Gourhan
Leroi-Gourhan (1911-1986)

Leroi-Gourhan introduce invece una nuova interpretazione del problema distante dall’antropologia filosofica. Nel testo Il gesto e la parola, egli oppone al paradigma della carenza biologica quello bipedico. Secondo quest’ultimo l‘evoluzione del tipo uomo è fortemente segnata e condizionata da cambiamenti di ordine biologico. In quanto paleontologo, Leroi-Gourhan si impegna ad individuare quegli elementi funzionali che costituiscono le condizioni di possibilità dell’uomo.

Le evidenze scientifiche smentiscono un dato notevole: l’evoluzione dell’uomo si deve all’acquisizione della posizione eretta, piuttosto  che allo sviluppo dell’attività intellettuale. Leroi-Gourhan, dunque, ricostruisce la storia evolutiva dell’uomo a partire dalla stazione eretta. Ad essa, fanno seguito: la liberazione della mano, la perdita del prognatismo, la riduzione delle dimensioni della faccia e l’apertura del ventaglio corticale. Soltanto con la scomparsa della barriera orbito-frontale, si creeranno le condizioni favorevoli allo sviluppo del cervello.

L’apparizione del cervello, così come lo conosciamo, è tarda rispetto all’apparizione del tecnicismo. Leroi-Gourhan ritiene che l’attività tecnica dell’uomo sia un fatto principalmente biologico. La produzione di primi utensili non è da ricondurre ad un’elaborazione di tipo intellettuale, bensì alla sincronia gesto tecnico-cervello. Egli, infatti, scrive:

L’intellettualità ragionata, che non solo afferra il rapporto tra fenomeni, ma riesce a proiettarne verso l’esterno uno schema simbolico, è certo l’ultima arrivata tra le acquisizioni dei Vertebrati […]. Essa è debitrice di una organizzazione cerebrale la cui origine si colloca al momento della liberazione della mano […].

Scheler e Leroi-Gourhan: conclusioni

La differenza fondamentale tra l’antropologia di Scheler e la paleoantropologia di Leroi-Gourhan si situa, allora, nella valutazione della corporeità. Scheler ricorre ad un sostrato metafisico per individuare la specificità dell’essere dell’uomo, compiendo un salto rispetto al mondo organico. La struttura biologica del corpo appare insufficiente a giustificare l’apparizione di un soggetto capace di compiere operazioni spirituali. Al contrario, Leroi-Gourhan indica nella stazione eretta e nel gesto tecnico l’origine del pensiero simbolico.

Alessandra Bocchetti

Bibliografia:

A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, Einaudi, Torino 1977;

M. Scheler, La posizione dell’uomo del cosmo, Armando editore, Roma 2010;