Icaro: tracotanza tra mito e modernità

Icaro è uno dei personaggi della mitologia classica, noto a tutti per il famoso episodio del volo terminato nella caduta rovinosa a causa della sua tracotanza, quella che i greci chiamavano “Hybris”.

E’ il simbolo dell’Uomo che osa sfidare gli dei, un po’ come Ulisse, oltrepassa i limiti dell’umana comprensione per tendere verso qualcosa che lo elevi dalla sua condizione terrena verso una dimensione più alta ed irraggiungibile.

L’anelare ad un ideale di perfezione che non si può conquistare, la mancata misura, l’esagerazione, il desiderio estremo di spingersi oltre i confini in cui l’essere è destinato a rimanere in quanto perfettibile e non perfetto.

Questo personaggio leggendario è alquanto controverso e sottoposto ad interpretazioni discordanti: c’è chi in lui riconosce l’eroe ardito che con audacia spicca questo volo sconsiderato; chi, invece, gli attribuisce il senso di una superbia punita, di un’impresa troppo ambiziosa da essere destinata alla sconfitta.

Icaro è l’uomo che cerca di volare, l’uomo che si fa uccello, a cui sembra non bastare l’aver conquistato il cielo ma, avido, vuole ottenere di più: l’Olimpo! L’impossibile.

Icaro e Dedalo

Icaro
Icaro e Dedalo

Icaro era figlio di Dedalo che fu grande architetto ed abile scultore ateniese, il quale sarebbe stato condannato all’esilio dall’ Areopago per aver ucciso suo nipote discepolo Talo poiché lo avrebbe superato nell’arte e nel mestiere.

Dedalo si rifugiò a Creta, dove il re Minosse gli ordinò di progettare e costruire il labirinto per nascondere il Minotauro ma, avendo lo scultore, successivamente, aiutato Arianna nell’impresa di Teseo finalizzata ad uccidere il mostro taurino, fu punito dal re che lo imprigionò insieme al figlio Icaro nel labirinto.

L’unico modo per evadere era quello di librarsi in volo e fu così che realizzò due paia di ali fatte di cera e piume, una per lui e l’altro per il figlio.

Prima di partire, Dedalo raccomandò ad Icaro che gli volasse accanto, né troppo basso perché l’umidità del mare avrebbe appesantito le penne, né troppo in alto perché il calore del sole avrebbe sciolto la cera che era a sostegno.

Icaro, preso dalla forte ebrezza di quell’esperienza che lo sollevava da terra, dimentico dei consigli del padre, finì per avvicinarsi troppo al sole e, come previsto, la cera si sciolse. Precipitò verso il basso, fino all’isola di Samo dove morì nel mare che da lui prende nome: mar Icario.

Il padre, triste e disperato, pianse, le sue lacrime furono raccolte dalle Nereidi per farne perle di saggezza, e atterrò a Cuma dove innalzò un tempio ad Apollo, consegnando le ali che gli avevano restituito la libertà ma tolto suo figlio.

Ancora oggi, leggenda narra che Icaro, tutte le notti, risalirebbe dal mare per raggiungere il cielo e andare a toccare le stelle.

Icaro: un mito che vola oltre il tempo

Icaro
Icaro di Matisse

Nel mito di Icaro possiamo, per alcuni versi, ritrovare un racconto che sembra quasi narrare la realtà corrente, una metafora dell’Uomo attuale letto in chiave critico-realistica e filosofico-moderna.

Due importanti figure entrano in contrapposizione, ovvero: Dedalo che deve far riferimento e rimando solo alle sue forze per tirarsi fuori dal groviglio senza alcun aiuto divino trascendente, fare delle scelte che siano soluzione ad un problema – il labirinto- che lui stesso ha creato. Un po’ come l’Uomo che, psicologicamente tediato da problemi e dilemmi, deve cercare e trovare le risorse all’interno di sé per portarsi in salvo.

D’altro canto Icaro, invece, rappresenterebbe la proiezione dell’Uomo ambizioso che corre l’alto rischio del fallimento.

Il giusto mezzo aristotelico che accompagna il concetto di serenità e equilibrio, viene da Icaro abbattuto, messo in dubbio e affrontato andando incontro al delirio di conquistare l’Infinito.

La sua caduta e il perdersi nell’abisso del nulla e della morte per aver anelato a raggiungere gli dei (sogno impossibile), è l’emblema di chi non accetta la propria natura, di chi vive irretito dal desiderio di possedere l’inafferrabile a tal punto da perdere il senso della misura e della contingenza.

E’ la raffigurazione di colui che scambia il reale con l’astrazione, che esalta la singolarità sulla molteplicità e che si ritrova catapultato nella voragine come il Lucifero dantesco nelle profondità dell’Inferno dopo aver sfidato Dio, il Primo Mobile, non essendosi accontentato di essere il più bello tra gli Angeli.

Questa narrazione ha una portata attuale, fotografa perfettamente la condizione umana contemporanea – intesa sia in termini di individuo che di società- dove la morale riassunta sarebbe: “Più il mare ottiene e più vuole”  fino ad arrivare al disfacimento per l’incapacità di accettare la realtà e, dunque, di, in un certo senso, accontentarsi.

Agire in preda alla brama illogica di conquistare l’impenetrabile è una sconfitta annunciata poiché l’Uomo non è fatto per volare.  E’ un suicidio a priori.

Per l’Uomo il volo è un’invenzione meccanica come in Leonardo da Vinci; è puro sogno e desiderio come ne Il Piccolo Principe o in Peter Pan; una canzone comeVolare  di D. Modugno; può essere un’utopia incarnata in una poesia, un dipinto etc.

In ogni caso, il vagheggiamento di Icaro è l’eterna illusione, il sogno che si scontra con il crudo realismo e genera l’insoddisfazione, soprattutto se per “volo” intendiamo lo spingerci oltre nella conoscenza destinata a restare incompleta dal momento che … c’è sempre un pezzo d’Ignoto che non ci sarà mai dato sapere fino in fondo!

Pasqualina Giusto

Sitografia:

  • http://cultura.biografieonline.it/icaro/