David Hume e l’illusorio principio di causa ed effetto

Attraverso un’analisi dettagliata della natura umana, David Hume riadatta tanto lo scetticismo quanto l’empirismo ad una formula più equilibrata e razionale. Uno dei percorsi tematici aperti dal filosofo, per perseguire la finalità suddetta, lo porta a mettere seriamente in dubbio l’esistenza del principio di causa ed effetto.

Hume e un mondo fatto di idee

Hume
David Hume in un ritratto di Allan Ramsay

Per comprendere a fondo la critica al principio di causa ed effetto mossa da Hume occorre considerare in primo luogo quella di idea. Per fare ciò ci serviamo in primis del confronto con un empirista radicale: John Locke.

Mentre Locke infatti aveva riconosciuto, al di là delle idee, l’esistenza reale di alcuni concetti, per Hume le cose stanno in modo radicalmente diverso. Il filosofo scozzese parte dal presupposto che è impossibile comprendere in toto le idee, giacché esse appartengono alla sfera delle percezioni.

Queste sono di due tipi: le impressioni, che sono sensazioni molto intense, e le idee, che sono per l’appunto ciò che resta quando le impressioni tendono a svanire. Hume va ancora oltre e arriva a ritenere che la realtà che noi conosciamo sia basata sulla relazione che intercorre tra le idee. Parlando di Locke, nell’ Estratto del trattato sulla natura umana, Hume afferma:

Locke, d’altra parte, dovrebbe immediatamente riconoscere che le nostre passioni sono una sorta di istinti naturali, derivanti da null’altro che dalla costituzione originaria della mente umana.

Dunque le idee e le impressioni sono il vero contenuto della nostra conoscenza e, pur non essendo innate, non sono in grado di dimostrare l’esistenza esterna al soggetto. Le relazioni tra le idee possono essere accertate grazie al nostro intelletto, seguendo il principio di non contraddizione. Invece le relazioni tra oggetti o questioni di fatto si basano solo ed esclusivamente sull’esperienza e per questo non possono essere accertate. Questo è il primo passo per smentire il principio di causa ed effetto.

Contiguità, priorità e congiunzione costante

A questo punto possiamo concentrarci sulla causalità. Dal momento che tutti i nostri ragionamenti si basano sul rapporto tra causa ed effetto, Hume arriva a sostenere che anche la causalità, in quanto idea, non ha a che fare con oggetti reali e anzi il rapporto di causa ed effetto non è in grado di dimostrare la realtà di questi ultimi, soprattutto quando consideriamo altre due caratteristiche che riguardano la causalità e che egli connota come imperfette e non soddisfacenti: contiguità e priorità. Al riguardo Hume scrive:

Il movimento di un corpo viene considerato come la causa, in seguito ad una sollecitazione, del movimento di un altro corpo. Considerando questi oggetti noi scopriamo soltanto che un corpo si avvicina a un altro, e che il suo movimento precede quello dell’altro, ma senza alcun intervallo percepibile.

Ciò non implica per Hume alcun principio di causa ed effetto, poiché un oggetto può essere contiguo e precedente ad un altro, pur senza essere considerato la sua causa. Alla contiguità e successione va aggiunta un’altra circostanza, ovvero quella della congiunzione costante, secondo la quale ogni oggetto che opera come causa produce sempre un certo oggetto come effetto.

Anche in questo caso l’idea che noi ci facciamo quando una palla in moto colpisce una palla ferma, e ci porta a  concludere che sussiste una relazione di causa ed effetto, deriva direttamente da un’impressione e non ha in sé, secondo Hume, alcuna necessità.

Perché crediamo che ad ogni causa corrisponda un effetto?

La credenza che la fiamma provochi calore deriva dalla memoria di una esperienza precedente in cui questi due elementi erano congiunti. Per Hume anche la memoria, come l’immaginazione, deriva dalle idee e non può andare al di là delle percezioni particolari.

Dunque, se è solo la nostra esperienza che ci spinge a decretare che ad ogni causa corrisponda un effetto, c’è da chiedersi se la stessa esperienza possa essere considerata attendibile. La fallacità del principio di causa ed effetto risiede proprio nell’ascrivere all’esperienza anche la credenza e nel confondere quest’ultima con la concezione che possiamo avere di qualcosa. Un altro elemento che Hume adduce a favore della sua tesi è l’idea che il passato non possa apportare alcun contributo al presente.

Anche laddove volessimo ammettere che esistono oggetti che hanno avuto in sé una potenza tale da generare un effetto in un altro oggetto, ciò non prova che una particolare potenza possa sussistere in ogni momento. L’esperienza si fonda infatti sulla supposizione, che non ha alcun valore dimostrativo. Al lettore che contraddice le sue asserzioni Hume chiede:

Perché, a partire da quei casi passati, ci formiamo una conclusione che oltrepassa ciò di cui abbiamo avuto esperienza?

Ogni nostra risposta a tale quesito farebbe a sua volta leva su di una esperienza passata e dunque non risolverebbe in alcun modo il problema. In definitiva, Hume asserisce:

La ragione non ci può mai mostrare la connessione di un oggetto a un altro, sebbene coadiuvata dall’esperienza e dall’osservazione del loro costante congiungimento in tutti i casi passati. […] L’inferenza, dunque, dipende soltanto dall’unione delle idee.

Hume, il pioniere

È a seguito del discorso suddetto che Hume fa subentrare al principio di causa ed effetto quello dell’associazione tra le idee, cui il soggetto è per natura predisposto. In  base a questo principio vi è una forza che fa in modo che la mente venga trasportata da un’idea all’altra e che operi secondo tre criteri: somiglianza, contiguità e causazione. Gli unici criteri, questi, in grado di metterci in relazione con oggetti a noi esterni.

Il sistema filosofico di Hume ha delle ricadute su moltissimi altri temi filosofici di grande spessore come quello del libero arbitrio, giacché la vera volontà corrisponderebbe all’impressione che noi abbiamo di qualcosa e che ci spinge a compiere o meno un’azione, perché influenzata da tutto ciò che l’ha preceduta, nonché dal nostro carattere e dalle nostre abitudini. Altri risvolti riguardano l’esistenza di Dio e la riflessione sulla morale.

In definitiva Hume, ammonitore della ragione, è paradossalmente divenuto pioniere di alcune correnti di pensiero epistemologico e neuroscientifico, poiché ammette che la credenza nell’esistenza di oggetti fisici non possa essere dimostrata dalla ragione.

Così facendo, per un verso delega alla psicologia ogni possibilità di conoscenza, circa un secolo prima della nascita di Freud e, per l’altro, pone i germi che sono alla base di un attualissimo dibattito neuroscientifico, che vede opporsi gli internalisti agli esternalisti. I primi ritengono che gli stati mentali ineriscono alla mente stessa, mentre i secondi che siano influenzati dall’esperienza.

In conclusione il sistema di Hume, pur poggiando su di un paradosso, risulta incredibilmente coerente, perché mette in dubbio l’efficacia della ragione per conseguire la conoscenza, ma proprio grazie alla ragione giunge ad uno scetticismo moderato. Hume inoltre, opponendosi al principio di causa ed effetto, sostiene l’esistenza delle variabili senza però mai ricadere nel relativismo.

Giuseppina Di Luna

Bibliografia

David Hume, 

David Hume, Estratto del Trattato sulla natura umana, Editori Riuniti, Roma 2001.