Femme fatale: la donna in Eva e Vita dei Campi di Verga

Femme Fatale: è questa l’immagine femminile dominante nei romanzi di Giovanni Verga.

La donna è una dominatrice che emana un fascino distruttivo. La seduzione femminile è associata a un particolare stato sociale (aristocratico) o ad un particolare ruolo (ballerina). Si tratta in ogni caso di una donna di lusso.

L’opposizione baudelairiana tra natura e artificio

La naturalezza è rifiutata poiché considerata materialità opaca e volgare. L’attributo fondamentale della donna è l’artificio, relativo sia alla persona (nel trucco o nell’abbigliamento), sia nell’ambiente in cui si muove (una festa, un ballo, un teatro).

Per questa ragione, il corpo femminile non è più sublimato come simbolo della divina armonia della natura. Il suo fascino ora dipende esclusivamente dall’artificio; il profumo, i veli, i gioielli, trasformano la donna in fata.

Da simbolo a Femme Fatale in Eva e Tigre reale

L’immagine della donna subisce un radicale cambiamento. Essa non è più simbolo dell’assoluto, attraverso cui l’uomo ha accesso alla dimensione più profonda dell’esistenza. La Femme Fatale ha aspetto divino, ma non è un angelo. Il suo è un travestimento: se questo scompare l’uomo non riesce ad adattarsi alla “cruda verità” di una donna senza veli, ridotta alla realtà di una donna casalinga.

Il carattere eccezionale della donna diventa per l’uomo uno strumento per raggiungere il successo e integrarsi nella società mondana o nel mondo dell’arte. Quando perde questa funzione e si rivela nella sua autonoma realtà e verità di sentimenti, la donna deve sparire. O fugge, come Eva (in Eva, 1873) o muore, come Nata ( in Tigre reale 1875).

Con Eva, Verga segna perfettamente il momento di crisi della rappresentazione ottocentesca della donna, denunciando l’incapacità maschile di vivere la pienezza del sentimento amoroso in una società dominata dalla logica del successo economico e sociale.  

La Lupa di “Vita dei campi”
Femme Fatale

Nella raccolta di novelle “Vita dei campi”,  Verga riscopre l’energia e l’autenticità dei sentimenti, scomparsi nella società borghese. La passione amorosa assume qui la necessità e la violenza di un istinto elementare, di una forza scatenata dalla natura. Motivi romantici e caratteri naturalistici si fondano nella nuova figura contadina, un femme fatale, rappresentata dalla Lupa.

La passione della Lupa è cieca spinta del sangue, non ha storia, ma la fissità di un’ossessione divorante che sfiora la malattia.

Isolata dalla comunità, la Lupa si integra perfettamente nella natura selvaggia dei luoghi, manifestazione estrema di una sensualità demoniaca. Non più dea che incanta e seduce, ma essere maledetto il cui potere terribile ha i caratteri del maleficio da esorcizzare

L’attributo animale fa della Lupa un archetipo dell’eros insaziabile e divorante, e insieme rivela un’ottica nuova: La paura con cui l’uomo dell’ottocento guarda alla donna, avvertita come minaccia per la propria integrità psichica e familiare. 

Nadia Rosato

Fonti:

Giovanni Verga,  La prefazione ad Eva, da Eva (1873)

Giovanni Verga, Vita dei Campi, La lupa (1880)