Cecilio Stazio, il più grande commediografo latino perduto

A Roma la commedia fu genere di gran lunga più amato della tragedia. Nonostante la tradizione abbia fatto pervenire fino ai nostri giorni commedie intere di due soli autori, Plauto e Terenzio, le fonti antiche parlano con grande insistenza di un terzo nome, collocabile tra i due: Cecilio Stazio.

Cecilio Stazio verso la fama

Cecilio Stazio visse a cavallo tra Plauto e Terenzio, e come il primo scelse per la sua produzione il genere della palliata. Il successo, tuttavia, faticò ad arrivare, almeno fin quando Plauto fu in vita. Dopo la morte del poeta comico, Cecilio riuscì a conquistare il favore del pubblico e dei posteri, collocandosi al primo posto tra i commediografi più amati da Varrone.

Non era raro, infatti, l’uso da parte degli eruditi di creare delle “classifiche” di autori per genere letterario. Sia Varrone, sia Volcacio Sedigito, sia Aulo Gellio reputarono Cecilio Stazio il commediografo migliore mai vissuto a Roma, in quanto perfettamente a metà tra la poetica di Plauto e quella di Terenzio.

A metà tra Plauto e Terenzio

Cecilio Stazio, infatti, riuscì a fondere egregiamente nel suo teatro l’Italicum acetum e le spinte ellenizzanti. Egli continuò la strada di Plauto adottando un linguaggio colorito e vivace, senza però fare riferimento ad eventi dell’attualità, come aveva fatto il suo predecessore. Dall’altro lato, invece, scelse trame greche e si ispirò a modelli greci, senza risultare troppo lontano dalla realtà di Roma come, invece, fece Terenzio. Cecilio Stazio fu ritenuto, così, uno dei responsabili dell’approdo dell’ellenismo a Roma, per l’attenzione che egli riservò sempre ai modelli greci.

Cecilio Stazio

Il suo lavoro partiva dalle grandi commedie tardo-classiche, in particolar modo da quelle di Menandro. Egli, secondo quanto dice Cicerone, era così fedele al modello menandreo da essere ritenuto, al pari di Terenzio, quasi un suo traduttore.

Cecilio recuperò anche taluni personaggi che in Menandro erano stati di successo. Mentre Plauto scelse di approfondire la figura del servus, Cecilio decise di adottare spesso nelle sue opere la figura della meretrix dal cuore d’oro, figura che Menandro aveva inventato nel suo teatro (si ricordi Abrotono).

Rispetto a Plauto, tuttavia, egli preferì non “latinizzare” i titoli greci, lasciati, quindi, in lingua originale. Le trame, inoltre, non erano soggette a contaminazione: Cecilio prendeva un solo modello e lo rispettava totalmente. Aulo Gellio, infatti, nelle sue Noctes Atticae pose l’attenzione sull’estrema somiglianza tra il Plocium di Menandro e il Plocium di Cecilio Stazio. Anche Terenzio, nella sua Andria, lo escluse dai commediografi “contaminatori”, cioè Nevio, Ennio e Plauto.

L’humanitas a teatro

Altro aspetto che rese Cecilio ben più vicino a Terenzio che a Plauto fu l’approfondimento della psicologia dei personaggi: pare che Cecilio non arrivò mai alla “staticità” caratteristica di Terenzio, ma pose comunque grande attenzione al concetto di humanitas, il valore greco portato avanti dalla cerchia degli Scipioni.

Secondo le fonti antiche, sembra che Cecilio si sentisse così lontano dal “crudo realismo” di Plauto da rispondergli in una commedia. Plauto, infatti, compose un verso piuttosto pessimistico: «lupus est homo homini, non homo, quom qualis sit non novit» («l’uomo è un lupo per l’uomo, non un uomo, qualora si ignori chi sia»). Cecilio Stazio, di tutto punto, gli rispose così: «homo homini deus est, si suum officium sciat» («l’uomo è un dio per l’uomo, se conosce il proprio dovere»). Si tratta di una frase che anticipa di molto il «homo sum, humani nihil a me alienum puto» di Terenzio, quasi manifesto della politica culturale degli Scipioni.

L’insegnamento di Cecilio Stazio

Il successo di Cecilio fu tardivo: fino alla morte di Plauto egli dovette faticare per reggere la “concorrenza”, ma successivamente il successo fu tutto suo, come dimostrano i continui riferimenti positivi dei Romani a lui successivi. È strano, per questo motivo, che la sua opera sia andata totalmente perduta. Restano frammenti di circa quarantadue palliate, ma tutti molto esigui.

Il valore dell’opera di Cecilio Stazio resta comunque innegabile. A metà, sia cronologicamente sia culturalmente, tra Plauto e Terenzio, egli gettò le basi per il teatro del secondo, e a lui va riconosciuta buona parte della (difficile) accettazione a Roma dei valori greci, primo fra tutti l’humanitas. In terra di soldati, per la prima volta, un commediografo straniero riuscì ad insegnare che prima della guerra c’è qualcosa di più importante: sentirsi Uomo e rispettare, in ogni modo, l’Umanità attorno a noi.

Alessia Amante