La nuova Germania di Heinrich Böll: il potere delle parole

Nel 1963, dopo aver tenuto presso l’università di Francoforte un corso sulla sua poetica, lo scrittore tedesco Heinrich Böll pubblica un saggio dal titolo “Lezioni francofortesi” che, oltre a chiarire i concetti chiave del suo lavoro, raccoglie una serie di riflessioni e considerazioni sulla situazione tedesca del dopoguerra.

La parola come azione secondo Böll

Prima di proseguire le sue “lezioni francofortesi”, Böll compie un’attenta e dettagliata analisi filologica (si era laureato in filologia classica all’università di Colonia nel 1939) del termine greco poieo e di tutti i suoi derivati, osservando come il significato del verbo poiein sia strettamente pratico (fare, preparare, organizzare, rappresentare). Al contrario, il sostantivo poietes può avere diverse accezioni: «il poietes (…) è creatore, autore, produttore, inventore, anche poeta e investigatore. Ma nel Nuovo Testamento poietes significa anche l’agente – colui che compie la parola». È da quest’ultimo significato che Böll fa iniziare la sua attività da visiting professor, la sua «azionalità».

Obbedienza e sottomissione

Heinrich Böll
Heinrich Böll

Böll individua nell’obbedienza e nella subordinazione l’unica realtà che i tedeschi vogliono accettare. L’obbedienza, però, non ha nulla a che vedere con la poesia. Anche nel momento poetico della liberazione, racconta lo scrittore di Colonia, i prigionieri tedeschi non si sono tirati indietro di fronte alla prospettiva che gli americani offrivano loro «di essere addestrati come propagatori di convinzioni democratiche». Come un poeta che, credendo di seguire la voce della sua musa, lancia tre pietre contro i vetri delle finestre più vicine, generando un gran fracasso, così fa il tedesco: a lui «è permesso obbedire (…). Però solo per lo stato, si capisce, non per sé, quindi può saccheggiare solo per ragioni innaturali». Al contrario, secondo Böll, lo scrittore e il poeta si rifiutano di obbedire a un terzo. Il loro unico scopo è quello di rendere abitabile la lingua in cui si scrive, renderla Heimat.

Heimat e buon vicinato

Le considerazioni di Böll in “Lezioni francofortesi” riguardano prettamente i concetti di Heimat e di buon vicinato che, dalla fine della guerra, non compaiono più in letteratura. I politici e l’opinione pubblica si sentono spesso toccati e minacciati dalla letteratura contemporanea, ma quest’ultima si limita semplicemente a mettere in luce una verità che la maggior parte della popolazione finge di non vedere, ossia la realtà di «non poter avere una dimora», di essere «sempre sul punto di partire per chissà dove». Il buon vicinato, quello a cui ci si sente legati e che ispira fiducia, non esiste più, «è stato ferito (…) su ordine, neanche sempre per odio o per fanatismo, bensì su ordine». La condizione del viaggio è, per Böll, qualcosa di concreto: nei loro spostamenti in treno, i tedeschi hanno perso qualsiasi contatto con il loro territorio e tale sensazione diventa ancora più evidente nei viaggi a est.

Una realtà letteraria tedesca stabile

Böll
Veduta del Muro presso la Porta di Brandeburgo, 1961.

Negli spostamenti a est, l’alienazione tedesca è visibile non solo nella scelta dell’aereo, il mezzo di trasporto per eccellenza che neutralizza qualsiasi «minimo contatto con la realtà», ma anche nel preferire ai testi dei grandi autori tedeschi la lettura della “Bild-Zeitung”. Si evitano, dunque, i romanzi ambientati in quelle città oramai perdute dopo la guerra. Il problema principale, secondo Böll, consiste nell’assenza in Germania di una realtà letteraria stabile «paragonabile a quella di Londra o Parigi, di Pietroburgo o Mosca». È quasi impossibile che Berlino riesca a svolgere tale ruolo, poiché la realtà del muro e la sua politicizzazione compromettono il suo posto nella letteratura tedesca:

non è buona cosa per una città non poter essere, non poter rimanere se stessa, diventare altro da sé, un simbolo, e venire confrontata continuamente, quotidianamente con questa simbolicità.

Creare una nuova Heimat attraverso la lingua

Ai giovani, alle nuove generazioni, Böll affida quel compito che i suoi contemporanei non sono riusciti a portare a termine, ossia costruire, anzi risistemare l’Heimat, in modo che si possa provare di nuovo nostalgia non solo per una Germania del passato, oramai distrutta dalla guerra, ma anche per quella presente, nonostante, secondo lo scrittore tedesco, sia diventata «un paese triste, (…) senza lutto; ha delegato il suo lutto, l’ha spinto a est, oltre il confine». Per poter rendere nuovamente abitabile un paese, però, si deve sempre partire dalla lingua, proprio come la letteratura tedesca del dopoguerra. Grazie a quest’ultima, Böll ha potuto riscoprire le proprie radici, il proprio linguaggio e anche il motivo per cui egli spesso preferisce la traduzione alla scrittura in prima persona:

portare qualcosa da una lingua straniera nella terra della propria è una possibilità di trovare terreno sotto i piedi.

Pia C. Lombardi

Bibliografia

H. Böll, Lezioni francofortesi, Milano, Linea d’ombra, 1990.