“io sono …Alfie” al teatro elicantropo

Bauduin ripropone Alfie e lo porta in scena

“Alfie”, caso letterario del 1966, firmato da Bill Naughton, diventa spettacolo e viene presentato al teatro Elicantropo, con il titolo di “Io sono … Alfie!” in scena dal 23 al 26 marzo 2017, per la regia di Mariano Bauduin.

Maurizio Murano veste i panni di questo dandy  nostrano, senza età e senza epoca, che in circa settantacinque minuti di scena si offre al pubblico, si racconta, narra la sua storia, tramite le sue avventure, tramite le voci di chi vi ha preso parte, attraverso i ricordi, le opinioni, i pensieri. Un tripudio di vicende e condizioni. Un solo interprete. Difficile calzarne le scarpe senza incorrere nel rischio di banalizzarlo, o di annoiare lo spettatore, che si ritrova ad ascoltare faccende che a perdere per un secondo il filo sembrano tutte uguali.

Murano però, ha evitato lo scivolone, grazie non solo ad un’interpretazione frizzante, polifonica, viva, che mantiene l’attenzione finanche su un solo attore laddove i personaggi raccontati sono molteplici, ma anche poggiandosi su originali espedienti di regia, meritevoli di menzione.

Alfie
Alfie

Partiamo dalle musiche, di Gershwin, Berlin e Mancini.  Rendono bene il mondo interiore al protagonista, e contemporaneamente colorano l’appartamento di un amatore delle donne eppure single accanito, di tinte malinconicamente vintage, per una scenografia realizzata dal laboratorio del “ The beggar’s theatre”, teatro locato a San Giovanni a Teduccio che vedrà Alfie in scena il primo aprile 2017.

Vintage quanto un’ America anni sessanta, malinconiche  quanto l’atmosfera di solitudine dei quadri di Hopper. Di una malinconia che sembrerebbe, in teoria, stonare con il personaggio che Alfie si presenta essere. Ed è lì, invece, la sua grandezza. Alfie non è altro che l’essere umano in tutta la sua debolezza e  meschinità. L’essere umano giovane, adulto, maturo o immaturo, che nella sua parte più recondita non può fare a meno di mantenere una parte materiale, opportunista, superficiale, carnale, egoista; ma che, per una serie di circostanze e convenzioni, arriva ad affinare il suo comportamento secondo determinati stereotipi.

Stadio al quale non arriva Alfie.  Alfie è grezzo, a volte gretto, e si espone per quello che i suoi istinti gli suggeriscono. Per questo, per questa non affinazione di sé stesso, è , in realtà, un ingenuo. Non è calcolatore. Non è cattivo. Non è neanche troppo acuto. E non è neanche troppo gentleman. Eppure, è un seduttore. Perché, proprio in questo connubio fra rudezza ed ingenuità, fra l’uomo che si mostra per quello che è senza sforzarsi più di tanto di migliorarsi ma che per lo stesso motivo non scaglia neanche colpi bassi coscienti, non si può fare a meno di amarlo.

Alfie è l’umanità nella sua accezione più genuina. E gli esseri umani per quanto si critichino fra di loro, in realtà adorano la loro stessa natura. Alfie è tutti quanti, tutti quanti sarebbero potuti essere se non si fossero piegati sotto la sferza del buon gusto e del tiranno senso di responsabilità.

Fra i sopracitati accorgimenti registici, va sottolineata anche l’originalità della soluzione delle voci esterne, che pizzicano con un po’ di pepe il racconto rendendo più concretezza alle vicende.

Interessante l’idea di una comunicazione diretta con Bill, la voce della coscienza, che porta il nome, guarda caso, dello stesso autore del romanzo: il dialogo, inquisitorio o consigliere, di Alfie con se stesso, rende tangibile una situazione tanto surreale quanto in realtà verificabilissima, di relazione con se stessi.

Carina la soluzione scenografica delle proiezioni su un sipario di tripolina sempre chiuso, resa utile ancora di più dall’esigenza di movimentare il monologo nel suo spazio piccolo.

Adatta allo specifico contesto l’idea di integrare il pubblico, anche se attua un crollo della quarta parete non preferito dagli amanti del teatro “vecchio stampo”.

Letizia Laezza

Alfie – teatro Elicantropo- (sito ufficilale)