Killer Joe: il destino secondo William Friedkin

William Friedkin è uno di quei registi, mai banali, i cui film non sono mai passati inosservati. Basti pensare al meraviglioso “Il braccio violento della legge” (1971), alla pietra miliare “L’esorcista” (1973) o al bellissimo ed iconico “Vivere e morire a Los Angeles (1985). Tuttavia, dalla fine degli anni ’80 in poi, Friedkin riesce a girare sette film abbastanza buoni, senza però riuscire mai a ritornare alle vette che lo avevano lanciato nel firmamento dei grandi cineasti. In molti cominciano a dare per finito il regista di Chicago, che sembra non avere più nulla da dire sul piano artistico. Non è così. Nel 2011 esce infatti il noir “Killer Joe“, una sorta di tragicommedia pulp che rompe, dopo anni, la sorta di limbo in cui Friedkin galleggiava.

A Dallas, in Texas, opera Chris Smith, un giovane spacciatore che si ritrova indebitato fino al collo dopo che la sua “merce” è stata rubata da sua madre Adele (scappata da tempo con un altro uomo). La partita di droga appartiene a Digger Soames, il boss locale, che ha dato pochi giorni di tempo al ragazzo per rimediare all’errore, pena la morte. Chris vive con suo padre, Ansel, un ottuso metalmeccanico e con la matrigna Sharla, una opportunista cameriera che tradisce ripetutamente Ansel. E proprio il tonto Ansel partorisce, insieme a Chris, un folle piano per recuperare il denaro: uccidere Adele, titolare di una polizza di ben 50.000 dollari sulla propria vita. Siccome Chris e Ansel sono dei personaggi squallidi e viscidi ma che mai avrebbero la forza e la destrezza di commettere un omicidio si rivolgono allora al vero protagonista del film, il sinistro poliziotto Joe Cooper. Joe è un colosso di quasi due metri, detective alla sezione omicidi di Dallas, che soffre di evidenti squilibri mentali e che nel tempo libero, per “arrotondare” e soprattutto per passione, commette omicidi su commissione. Joe inizialmente rifiuta l’incarico a causa dell’impossibilità dei due uomini di versargli un anticipo ma poi, innamoratosi perdutamente della bellezza puerile e candida di Dottie (sorella di Chris e figlia di Ansel), decide di accettare l’omicidio su commissione in cambio del possesso di Dottie come “caparra sessuale” come anticipo, in attesa dell’effettivo pagamento che avverrà a polizza incassata. Lo spettatore capisce praticamente fin da subito che il piano non potrà che fallire e, le conseguenze di questo fallimento, porteranno a dei risvolti veramente drammatici ed inquietanti

Killer Joe è uno di quei film che basta vedere una volta sola per ricordarne a memoria battute, espressioni degli attori ed addirittura inquadrature. E’ un incubo di un’ora e mezza da cui però non vorresti svegliarti mai, tanto è divertente. Non ci sono buoni in questo racconto, ma solo persone piccole ed egoiste, preoccupate solo di salvare se stesse e totalmente disamorate, incuranti dei legami di sangue e incapace di stabilire una qualsivoglia sincera relazione affettiva. Paradossalmente il più puro tra i protagonisti, a parte la giovane Dottie (una Juno Temple da brividi), è proprio Joe, che vive comunque di una sua etica distorta ma che però segue alla lettera, una sorta di bushido dell’assassino. Rappresenta il braccio armato del destino, la bilancia del fato su cui pesare il proprio spessore umano e i propri valori. Joe è il muro contro cui la propria pochezza va a sbattere, lo strumento vessatorio della propria coscienza, il treno che passa e che forse si farebbe bene a perdere. Una variante impazzita che non può che portare morte e distruzione all’interno delle vite di chi lo avvicina. L’unico modo in cui Joe può migliorare la vita di qualcuno è quello di non farne parte.

killer joe

Una menzione particolare spetta, ovviamente, al grande protagonista di questo film, quel Matthew McConoughey utilizzato quasi sempre per commedie stupide e sdolcinate e di cui invece il grande regista dell’Illinois ha intuito il potenziale immenso. L’attore texano infatti aveva preso parte, fino a quel momento, solo a commediole dove la sua unica funzione era, ad un certo punto, togliersi la maglietta per mostrare il fisico erculeo. Friedkin invece fiuta il suo potenziale e lo trasforma in quello che è: un attore immenso. Killer Joe rappresenta il punto di svolta della carriera di questo grande interprete che, da qui in avanti, interpreterà soltanto ruoli magistrali: si va “Dallas Buyers Club” per il quale vincerà un meritatissimo Oscar, al ruolo del broker senza scrupoli in “Wolf of Wall Street” di Scorsese, pochi minuti che gli bastano per ottenere un’altra nomination come migliore attore non protagonista. Senza poi dimenticare la stupenda serie “True Detective” in cui McConoughey dà prova, ancora una volta, del suo talento cristallino e della sua severità nello studiare i personaggi. Ovviamente si raccomanda ai lettori di vedere sia Killer Joe sia le opere sopracitate in lingua originale. Le “S” sibilanti e l’accento texano del grande Matthew meritano questo tipo di fruizione.

Domenico Vitale